GLI INCOMBUSTIBILI
BIBLIOGRAFIA
LEONIANA scritti su Giuseppe Leoni, l'uomo incombustibile di Parè |
di Giorgio Castiglioni
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1
Le imprese di Leoni fecero molto parlare di lui e furono pubblicati alcuni
articoli e opuscoli. Uno di questi è Sulla pretesa incombustibilità
del sig. Giuseppe Lionnet : lettera di *** ad un suo amico A***,
pubblicato nel 1808 da Pirotta e Maspero. “Lionnet” è, ovviamente,
Leoni.
Lo scritto dell’autore anonimo è datato 20 gennaio 1808 e la pubblicazione
avvenne qualche settimana dopo. L’avviso dell’editore premesso al
testo porta la data del 24 febbraio 1808 e vi leggiamo che intanto, il 21 di
quello stesso mese, al teatro Carcano di Milano si era esibito, “con sufficiente
bravura”, un imitatore di Leoni, indicato come il “Secondo Uomo
Incombustibile”.
L’autore anonimo di questo opuscolo non ha in grande simpatia Leoni. Anzi,
lo attacca definendolo “un misero ciarlatano”. Tuttavia dalle sue
parole emerge anche la popolarità del nostro uomo incombustibile dato
che l’autore, dispiaciuto, rileva che “ha per più giorni
attirato la folla al teatro” e “fatto la meraviglia del volgo”.
Riferendosi ai numeri in cui Leoni faceva passare un ferro rovente sulla pelle,
sui capelli e sulla lingua, l’autore ne sminuiva la difficoltà.
Se il ferro non restava, “per il più piccolo attimo, permanente
sopra verun punto”, diceva, il calore non faceva in tempo a trasmettersi.
“Questi esperimenti” sosteneva “possono essere eseguiti da
qualunque siasi combustibilissima persona”. L’autore proseguiva
criticando altri numeri di Leoni. Il volto era sì esposto alle fiamme,
ma mantenendolo obliquo e ad una certa distanza e “destramente soffiando
contro le fiamme”. La candela accesa sotto il braccio non poteva nuocergli
perché Leoni, camminando per il palco, faceva inclinare la fiamma.
L’autore ricordava quindi che nei testi classici si riferiva che gli Irpini
e gli “adoratori della dea Bale e della dea Feronia passeggiavano egli
illesi sul fuoco” e imprese simili avevano compiuto le regine inglesi
Cunegonda e Emma per dimostrare che le accuse loro rivolte erano false (si riteneva
che tali prove avrebbero offeso il colpevole lasciando invece illeso l’innocente).
L’anonimo prendeva poi in esame l’ipotesi che Leoni si servisse
di qualche sostanza da spalmare sulla pelle per difendersi dall’azione
del calore e delle fiamme. Dopo aver ricordato vari esempi di tali preparati
testimoniati in libri e riviste, concludeva comunque che “per la maggior
parte delle sperienze che fa il signor Lionnet” non era “necessario
l’uso di questi preparati”: a permetterle era piuttosto, a suo parere,
la velocità di esecuzione e, in quelle in cui il contatto con la fonte
di calore era più prolungato, “quell’incallimento delle parti
che si acquista colla lunga abitudine di esporle all’azione del fuoco”.
Secondo l’autore, dove ciò non era possibile, come nel numero in
cui teneva un ferro rovente coi denti, Leoni soffriva come chiunque, ma fingeva
di non sentire nulla.
2
All’anonimo opuscolo Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe
Lionnet, rispose un altro libretto anonimo, intitolato Lettera sulla
pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet : in risposta a quella
del 20 Gennajo 1808 di ***, anch’esso pubblicato da Pirotta
e Maspero e datato 29 febbraio 1808.
Questo secondo anonimo scriveva che il primo anonimo sbagliava nel ritenere
che Leoni facesse uso di un preparato “con cui preservarsi dalle scottature”
(in realtà, come abbiamo visto e come gli fu fatto notare in un articolo,
anch’esso anonimo, pubblicato sul “Giornale italiano”
del 16 marzo 1808, p.306, il primo anonimo aveva detto piuttosto il
contrario, affermando che in qualche numero poteva forse usare qualche sostanza,
ma che nella maggior parte non ce n’era bisogno). Il parere del secondo
anonimo era che “il suo gran secreto altro non fosse che acqua fresca
e lestezza di mano”, ovvero, a suo giudizio, bastava inumidire la pelle
e far passare velocemente la fonte di calore: il leggero strato di acqua l’avrebbe
messa al riparo dalla scottatura.
L’autore riferiva anche che un suo amico gli aveva portato una boccia
dicendo che l’aveva sottratta a Leoni e che conteneva il liquido con cui
si rendeva incombustibile. Tale sostanza si era rivelata essere semplicemente
acqua. “Se è vero che il sig. Lionnet adoperava quest’acqua,”
scriveva il secondo anonimo “segno è che conosceva la necessità
di rendere la sua pelle umida prima di esporla all’esperimento”.
Comunque, aggiungeva, anche se non ne avesse fatto uso, poteva essere sufficiente
la “naturale traspirazione” della pelle.
Il secondo anonimo si diceva invece d’accordo con il primo nel giudicare
Leoni solo “un meschino ciarlatano da piazza” e ci teneva a precisare
che non era andato ai suoi spettacoli. “Io non l’ho veduto operare,
mentre creduto avrei di degradarmi”, scriveva, e alla fine del libretto
ribadiva di aver voluto togliere “il dubbio ch’io assistito abbia
ai giuocarelli del sig. Lionnet”.
Infatti, secondo l’autore dell’opuscolo, Leoni “non meritava
l’attenzione di un altro uomo che un grano avesse di sale in zucca”.
Considerando, però, che gli aveva dedicato la sua attenzione e aveva
addirittura scritto un sia pur breve trattatello su di lui e sui suoi numeri,
dobbiamo dunque concludere che il secondo anonimo si giudicava un uomo senza
un grano di sale in zucca?
Abbiamo già ricordato più sopra l’articolo che replicava
al secondo anonimo dalle pagine del “Giornale italiano”. Su questo
stesso giornale, alcuni giorni prima (4 marzo 1808, p.258), era comparso un
articolo firmato “Guill.” e intitolato Degli
antichi uomini incombustibili. L’autore, “giacché
molti non si stancano di parlare sull’uomo incombustibile ultimamente
comparso in questa capitale [Milano], e che qui se ne parla molto più
che se n’era parlato in Parigi ove fece un’egual comparsa”,
aveva voluto “dare un piccolo cenno sopra altri uomini incombustibili,
che a’ tempi remoti si videro” e affermava che “non avvi paese
che al pari dell’Italia non abbia prodotto altrettante cose maravigliose
in simil genere, progredendo dagl’Irpj od Irpiani […] fino all’odierno
Comasco Lionnet, il quale nella sua qualità d’Italiano potrebbe
derivare da essi”.
3
Il successo degli spettacoli in cui il parediense Giuseppe Leoni si presentava
come “uomo incombustibile” spinse il farmacista Giuseppe
Mora “ad indagare coll’occhio chimico un mezzo, che preservar
potesse dalle ingiurie, che produr può una pala di ferro rovente, allorché
si fa passare su qualche parte del corpo”.
Fece quindi degli esperimenti e pubblicò i risultati in un opuscolo intitolato
Memoria sulla pretesa incombustibilità del sig. Lionnet
ossia modo di rendersi incombustibile per un dato tempo anche dopo essersi bagnato
con acqua forte, e lavato con acqua e sapone, d’immergere i piedi nel
piombo fuso e di bere l’oglio bollente (nell’immagine
qui sopra, il frontespizio dell’edizione della stamperia di Pasquale Agnelli
di Milano, 1808 – un’altra edizione fu pubblicata da Giovanni Tomassini,
“in Milano ed in Fuligno”, sempre nel 1808).
In base alle sue prove, Mora ritenne che il metodo migliore per proteggersi
dall’azione di un ferro rovente, da passare “con lentezza sì,
ma senza fermarsi”, fosse quello di impiegare una soluzione di solfato
di zinco alla quale suggeriva di aggiungere “un poco di gomma arabica
polverizzata, e di zuccaro rossiccio, ossia grasso” per rendere il preparato
“più aderente alla cute” e, insieme, meno visibile. La stessa
mistura, ma senza lo zucchero, si poteva spalmare sui piedi per poterli poi
immergere nel piombo fuso. Per impedire che il lavaggio con acqua e sapone o
il versarvi sopra acido nitrico intaccassero il preparato spalmato sulla pelle,
secondo Mora, si poteva sovrapporre uno strato di una miscela ottenuta con “mastice
scelto sottilmente polverizzato, […] terebinto chiaro, […] spirito
di vino rettificatissimo”.
In bocca, osservava il farmacista, non si poteva usare alcun preparato, tuttavia
si poteva superare senza alcun danno o dolore la prova del bere l’olio
bollente se lo si inghiottiva in un modo particolare. Tenere un ferro rovente
tra i denti, secondo Mora, era possibile: “per le prime volte avrà
sofferto dell’incomodo, che poi reso per dir così morto il nervo
di questi lo farà senza pena”. Si diceva però convinto “che
in breve perderà i suoi denti”. Per quanto riguardava poi il numero
di mettere in bocca del piombo fuso, Mora pensava semplicemente che Leoni non
lo facesse davvero.
Una recensione decisamente ostile all’opuscolo di Mora fu pubblicata sulla
“Gazzetta di Milano” e poi inclusa in una Raccolta delle
lettere, risposte, memorie, articoli etc. sulla pretesa incombustibilità
di Giuseppe Lionnet (Milano : Pirotta e Maspero, 1808) che comprendeva
anche i due opuscoli anonimi di cui si è parlato nelle due puntate precedenti
di questa bibliografia leoniana, la risposta al secondo di questi pubblicata
sul “Giornale italiano” (citata anch’essa nel numero precedente)
e, con alcuni tagli, un articolo di Carlo Amoretti del quale parleremo nella
prossima puntata e quello firmato “Guill.” di cui abbiamo detto
nello scorso numero.
Il recensore del libretto di Mora sosteneva che il farmacista non avesse detto
nulla di nuovo rispetto all’opuscolo Sulla pretesa incombustibilità
del sig. Giuseppe Lionnet e che scrivesse in un pessimo italiano (“Di
simili inesattezze di locuzione occorrono più esempj in questo brevissimo
opuscolo. Gli errori di lingua sono poi infiniti”).
4
Il “Giornale della Società d’incoraggiamento delle scienze
e delle arti” si occupò di Giuseppe Leoni in un articolo intitolato
Degli uomini che diconsi Incombustibili (I, 1808,
pp.215-224) e firmato C. A., iniziali che ci conducono al naturalista Carlo
Amoretti.
Secondo Amoretti i trucchi erano eseguiti in modo tale “che gli spettatori
poterono bensì sospettare, ma non accorgersi che il Lionetti [ovvero
Leoni] adoperasse alcun mezzo per impedire l’azione del fuoco sulle sue
membra”.
Tuttavia, di fronte ad osservatori particolarmente attenti, trovandosi –
scrive il naturalista – “sul procinto di essere scoperto”,
l’uomo incombustibile “stimò opportuno di confessare che
d’una certa unzione si valea, raccomandandosi al tempo istesso di non
ismascherarlo presso il pubblico, che altronde da’ suoi cimenti tanto
traea diletto quanto egli ne ricavava vantaggio. Così fu fatto”.
Amoretti ricordava che era anche comparso un emulo di Leoni che era chiamato
il “Secondo uomo incombustibile” e che faceva “a un di presso
le medesime prove”. Il naturalista passava quindi a indicare “brevemente
[…] alcuni dei mezzi che gli antichi per quest’oggetto [ovvero per
difendersi dalle ustioni] conoscevano e che ci hanno trasmessi”. Citava
Apollonio Rodio, Pierio Valeriano, Alberto Magno ed altri, ricordando anche
un altro personaggio che si era esibito come uomo incombustibile, l’inglese
Richardson, di cui aveva parlato il “Journal de Sçavans”
nel 1680. Concludeva quindi che non era “né maraviglioso né
nuovo lo spettacolo di persone, che sostengono altissimi gradi di calorico,
e maneggiano il vivo fuoco”.
Questo articolo di Amoretti fu poi riproposto in una raccolta di scritti su
Leoni (Raccolta delle lettere, risposte, memorie, articoli etc. sulla pretesa
incombustibilità di Giuseppe Lionnet, Milano : Pirotta e Maspero,
1808, pp.37-44) in una forma un poco ridotta (manca una parte che nell’articolo
originale è alle pp.219-221 e la parte finale posta dopo la firma “C.
A.”, alle pp.223-224 – la nota alle pp.221-222 è incorporata
nel testo).
Ad Amoretti sono da attribuire anche le recensioni a tre scritti
su Leoni firmate con una A maiuscola pubblicate sotto il titolo Transunto
d’altre Memorie pubblicate su quest’oggetto sulla
rivista “Nuova scelta d’opuscoli interessanti” (II, 1808,
pp.245-250) in coda ad un articolo sull’uomo incombustibile parediense
di Giambattista Giovio di cui parleremo prossimamente. I tre scritti recensiti
sono l’opuscolo anonimo Sulla pretesa incombustibilità del
sig. Giuseppe Lionnet del quale abbiamo detto più sopra in questa
“Bibliografia leoniana”, l’articolo di Amoretti presentato
qui sopra e il libretto di Giuseppe Mora.
Amoretti non condivide la “soverchia non necessaria asprezza” che
l’anonimo usa contro Leoni, “che senza nuocere a nessuno, e divertendo
i curiosi si studia d’acquistar danari con un mezzo non vietato dalle
leggi. Oh! Se tutti quei che veggiamo ricchi fossersi locupletati sì
innocentemente!”
5
Alcuni degli scritti che abbiamo presentato e altri di cui parleremo nei prossimi
hanno il grande merito di aver descritto i numeri che Giuseppe Leoni presentava.
Pochissimo, invece, possiamo ricavare da essi sulla persona di Leoni. Per questo
è di fondamentale importanza, nella bibliografia leoniana, l’articolo
scritto dall’erudito comasco Giambattista Giovio (Su
Giuseppe Leone detto l’Incombustibile, in “Nuova scelta
d’opuscoli interessanti”, II (1808), pp.239-245).
Carlo Amoretti, nell’articolo per il “Giornale della Società
d’Incoraggiamento” di cui abbiamo parlato nello scorso numero e
che Giovio lodò dicendolo “pieno di saggia ed amena erudizione”,
diede ai suoi lettori un’indicazione sulla provenienza di Leoni presentandolo
come “il Comasco Giuseppe Lionetti” e anche Giorgio Follini (del
cui interessantissimo libretto non mancheremo di parlare) lo disse “di
nazione comasco”. Giovio fu ancora più preciso e segnalò
che il paese dell’uomo incombustibile era Parè, dove era nato il
5 aprile 1778 da Caterina Bianchi e Gregorio Leoni. Aveva lavorato come garzone
a Como e poi, passato al servizio di tale Galeazzo Serbelloni, lo aveva seguito
in Francia. Tornato poi in quel paese, aveva sposato una francese, dalla quale
aveva avuto una figlia, morta di rosolia a soli sette anni in Olanda.
Secondo il giudizio di Giovio, Leoni parlava “con istento” in italiano,
ma padroneggiava bene il francese. Non sapeva leggere né scrivere, cosa
che era per lui una “gran pena”.
Giovio, che ebbe modo di conoscere personalmente Leoni a Como nel febbraio del
1808, riferì che l’uomo incombustibile gli era sembrato fin ingenuo.
Più accorta doveva essere la moglie che, quando pensava che Giuseppe
avrebbe potuto dir qualcosa che facesse scoprire i trucchi del mestiere, “gli
lanciava talvolta occhiate, talvolta un imperioso = tais-toi” (“taci!”).
Diversamente da altri autori, come i due anonimi di cui abbiamo detto nelle
prime due puntate, Giovio mostra simpatia per Leoni e sottolinea l’affetto
mostrato per la madre e la generosità di cui diede prova: “Il denaro
raccolto all’ingresso nella prima volta dello spettacolo [al teatro di
Como] si distribuì da lui a poveri della parrocchia del Duomo, e di Parè
sua terra natale”.
Per quanto riguardava i numeri di incombustibilità, Giovio era del parere
“che si adoperino dallo stesso unzioni e rimedj, ma certo in gran parte
avvezzò egli la cute a soffrire”. Il vedere “fumar forte”
un piede che Leoni aveva appoggiato su una lama rovente gli faceva pensare che
vi avesse spalmato qualche sostanza. L’anonimo autore dell’opuscolo
Sulla pretesa incombustibilità del sig. Giuseppe Lionnet aveva scritto
che i denti di Leoni, per aver stretto più volte un ferro rovente, dovevano
certamente essere malconci, ma Giovio, in base all’osservazione diretta,
lo smentiva: “io con altri per più ore li vidi bianchi con mia
meraviglia e parvermi sodi”.
6
La sera del 16 dicembre 1807 Giuseppe Leoni eseguì i suoi numeri davanti
a un gruppo di studiosi guidato dall’abate Giorgio Follini, professore
di fisica al seminario di Torino. Ne dava notizia il giornale torinese in lingua
francese “Le Courrier de Turin” (n.251, 26
dicembre 1807, p.1178). In un breve resoconto si riferiva che Follini,
prima delle dimostrazioni, aveva fatto strofinare per bene con alcool le mani,
le braccia e i piedi dell’uomo chiamato “le véritable incombustible”
(“il vero incombustibile”). L’intento era ovviamente quello
di rimuovere un eventuale sostanza protettiva spalmata sulla pelle e in effetti
Leoni aveva riportato una bruciatura quando era stato versato acido nitrico
sul suo braccio e aveva “dovuto dichiarare che non era fatto di ferro,
ma un uomo come gli altri”. Anche il piede sinistro aveva subito una bruciatura.
Il giornale annunciava che Follini avrebbe dato alle stampe un rapporto su quelle
“esperienze”.
L’autore dell’opuscolo Sulla pretesa incombustibilità
del sig. Giuseppe Lionnet : lettera di *** ad un suo amico A***, di cui
abbiamo parlato all'inizio di questa “bibliografia leoniana”, scriveva
in una nota (p.29) che “finora non è comparso questo rapporto”
e aggiungeva questo commento: “Forse il sig. abate Follini, dopo maturo
pensamento, avrà temuto con un suo scritto soverchia importanza a cosa
che molta veramente non ne merita”.
Follini, invece, pubblicò il suo libretto su Leoni: Osservazioni
fisiche dell’abate Giorgio Follini professore di filosofia e di fisica
e geometria nel seminario metropolitano di Torino sul preteso vero uomo incombustibile
signor Giuseppe Lionnet di nazione comasco (Torino : dalla stamperia
di Bernardino Barberis, 1808). Il fatto che Follini e gli altri che furono con
lui poterono osservare da vicino e effettuare controlli sui numeri presentati
da Leoni rende ovviamente di estremo interesse questo opuscolo. L’autore
descrive tali numeri e aggiunge le sue osservazioni con l’intento di dimostrare
che il successo delle sue prove poteva essere spiegato con “l’uso
di qualche sostanza poco conduttrice del calorico, l’abitudine, e la destrezza
di mano”.
Per quanto riguarda l’impiego di qualche preparato, Follini riferì
di aver osservato al microscopio l’alcool “con cui strofinato esso
venne” e di essere così giunto alla conclusione che Leoni utilizzava
l’allume. Anche l’esame “col gusto” confermò
il verdetto. Anche sulla lingua dell’uomo incombustibile era stata osservata
“una densa, e bianca mucillagine”.
La relazione di Follini prova anche che Leoni era dotato di prontezza e abilità.
In un suo numero, l’incombustibile parediense apparentemente si metteva
in bocca del piombo fuso, lo masticava e lo sputava solidificato. L’ovvio
sospetto è che Leoni di nascosto si mettesse in bocca un pezzetto di
piombo non liquefatto e fingesse soltanto di porvi quello fuso. Per impedirgli
di usare questo trucco, si ebbe cura di sciogliere tutto il piombo. L’incombustibile
concluse comunque la prova sputando un frammento metallico. Era però
di stagno e non di piombo. Leoni, per dimostrare che il piombo era davvero fuso,
vi aveva immerso un cucchiaio di stagno: la parte introdotta nel metallo liquido
si era sciolta. Gli studiosi pensarono quindi che Leoni, senza farsi notare
da chi lo controllava, fosse riuscito a “destramente togliere dal manico,
che sopravanzò la porzione di stagno, che sputò fuori” e
il fatto che “veramente il manico del cucchiajo più non si ritrovò”
avvalorava l’ipotesi.
7
Quando Luigi Sementini, professore di chimica all’università di
Napoli, sentì annunciare l’arrivo del “Signor Lionetti”,
ovvero Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile di Parè, pensò
che fosse un caso molto interessante. Così decise di “assistere
assiduamente agli sperimenti” di Leoni cercando di avvicinarsi il più
possibile “onde osservar minutamente quanto di più significante
potesse esservi”.
Sulla base di quanto vide e degli esperimenti che poi compì scrisse un
opuscolo, Sul preteso fenomeno del incombustibilità : memoria
del Dottor Fisico Luigi Sementini professore primario di chimica nella regale
Università degli Studj in Napoli (edito da Vincenzo Cava).
Il chimico descriveva i diversi numeri fino a quello “col quale soleva
il Sign. Lionetti terminare lo spettacolo” che consisteva “passarsi
attraverso la cute del braccio una grossa spilla d’oro” (questo
numero – che è di insensibilità piuttosto che di incombustibilità
– non è citato dagli altri autori che abbiamo ricordato nelle precedenti
puntate di questa bibliografia).
Sementini non voleva limitarsi a “semplici congetture” e fece esperimenti
sulla sua pelle (in senso letterale) e sulla sua lingua. Scoprì così
che usando allume o “acido zolforoso” e sapone (che “uno strato
sottile di zucchero ridotto in polvere finissima” poteva rendere più
aderente) poteva metterle al riparo dall’azione del fuoco.
Sementini riteneva di avere “sciolto dunque il mistero della pretesa incombustibilità”.
Il saggio di Sementini fu apprezzato anche fuori dai confini italiani. Il “Philosophical
Magazine” e pubblicò una traduzione in inglese (Memoir on the
Incombustible Man; or the pretended Phenomenon of Incombustibility) che
comparve poi anche sulla rivista statunitense “Select Reviews, and Spirit
of the Foreign Magazines” (vol. III, 1810, pp.133-138). La “Bibliothéque
britannique” di Ginevra (14 : 41 (1809), “Science et arts”,
pp.383-394) pubblicò la traduzione in francese (compiuta sulla traduzione
inglese del “Philosophical Magazine”).
La rivista inglese “Retrospect of philosophical, mechanical, chemical,
and agricultural discoveries” (vol. IV, 1809) presentò un sunto
dello scritto di Sementini e riferimenti a tale opuscolo comparvero ancora in
seguito in riviste, per esempio in “The Edinburgh Magazine, and Literary
Miscellany”, in un articolo scritto in occasione degli spettacoli a Edimburgo
di una donna incombustibile, la signora Girardelli (Some account of signora
Girardelli, the incombustible lady now exhibiting in Edinburgh…,
II (1818), pp.437-448) e in “The Gentleman’s Magazine and Historical
Chronicle”, in un articolo ispirato dal successo di un altro incombustibile,
Chabert (On resisting the effects of fire, XCVI (1826), pp.601-606),
e in libri come il Traité des erreurs et des prejugés
di Gratian de Semur (Paris : Alphonse Levavasseur, 1843), che dedica a les
hommes incombustibles un capitolo (pp.325-338) nel quale molto spazio è
dato a “Lionetti” e a Sementini (cfr anche A World of Wonders
with anecdotes and opinions concerning popular superstitions, London :
Richard Bentley, 1853, pp.11-22, dove “Lionetti” diventa non si
sa perché “a Sicilian” – p.20) o il Nouveau manuel
complet de physique amusant di Jean-Sébastien-Eugène Julia
de Fontenelle e François Malepeyne (Paris : Roret, 1860, pp. 36-37).
8
Il 26 gennaio 1808 Alessandro Volta scrisse una lettera
a Giuseppe Comparini per ringraziarlo delle notizie che gli aveva comunicato
su alcune scoperte fatte dal chimico inglese Humphry Davy.
Proprio in quei giorni l’incombustibile parediense Giuseppe Leoni si era
esibito a Milano nei suoi numeri, guadagnando una grande popolarità.
Volta, anzi, scriveva un po’ amareggiato che, fatta eccezione per gli
addetti ai lavori, tra la gente destavano molto più interesse i numeri
di Leoni che le “stupende scoperte” di Davy.
Trascriviamo le righe in cui Volta parla dell’uomo incombustibile (l’intera
lettera può essere letta nell’Epistolario di Alessandro Volta,
vol. V, Bologna : Zanichelli, 1955, pp.117-118 – la parte citata è
a p.118):
“Anche tra noi le scoperte del Davy hanno eccitato un grande entusiasmo,
presso i pochi però che delle Scienze fisiche o chimiche sono professori
o dilettanti, nel resto, non dirò solo del popolo, ma del bel mondo ancora,
ne’ crocchj, nelle conversazioni, e teatri, molto maggior ammirazione
e stordimento va eccitando il sedicente uomo incombustibile che di
presente trovasi a Milano, ed ha dato già più volte lo spettacolo
delle sue prove coi ferri roventi, piombo fuso, olio bollente, ecc. da cui sembra
non soffrire scottatura. A fronte di queste imponenti esperienze (che pure si
sa da alcuni, e dovrebbe sapersi da moltissimi, che non si sono sostenute all’esame
accurato e giudizioso di professori ed Accademici, che a Parigi, ed altrove
ne hanno dissipato il prestigio) sembrano qui comunemente cosette da nulla e
le suaccennate scoperte chimiche, ed altre simili; si stima solo, si ama il
mirabile spettacoloso; e poi è di moda, che le cose che han fatto per
qualche tempo romore a Parigi, ancorché siano colà già
cadute e sventate, faccian la stessa romorosa comparsa anche fra noi.”
Nel 1927, Felice Scolari scrisse per il “Corriere della Sera” (5
marzo 1927, p.3) un articolo su Volta nel suo carteggio. Tra le lettere
citate come esempi c’era anche questa in cui compariva Leoni, che Scolari
presenta come un “gabbamondo” per il quale le gente era pronta a
“buttar denari”, “un ciurmadore, che [...] aveva accumulato
un buon gruzzolo dando ai gonzi la persuasione” di poter trattare senza
danno con ferri roventi, piombo fuso e olio bollente.
Qualche mese dopo, lo stesso Scolari ricordò nuovamente la lettera di
Volta in un articolo per il “Corriere delle Prealpi” (Volta,
Fucini e l’“uomo incombustibile”, 7-8 agosto 1927, p.1).
Anche in questa occasione definì Leoni come “un ciurmadore”
dotato di grande “faccia tosta”, un “gabbamondo che girò
quasi mezza Europa facendo denari a tutte spese della credulità del prossimo”.
In questo articolo Scolari ricorda però anche che l’incombustibile
aveva fatto una donazione ai poveri di Parè. Questo “atto generoso”,
secondo Scolari, sarebbe stata “la sua rovina” in quanto avrebbe
rivelato che l’uomo che si presentava con il nome francese di “Monsieur
Lionnet” altri non era che il parediense Giuseppe Leoni: a suo parere
i suoi compaesani potevano ricordare i “primi tentativi”, ancora
“ingenui”, nella sua arte e questo avrebbe nuociuto alla sua fama
di vero uomo incombustibile.
9
Il “Giornale dell’I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed
arti e Biblioteca italiana”, t. IX (1844), pp.33-34, riferiva, sotto i
titolo Appendice alla Memoria del professore Belli intorno ai fenomeni
della evaporazione, i contenuti di una “lettura” di
Angelo Bellani all’adunanza del 2 maggio 1844 in cui
veniva ricordato Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile di Paré:
“Ma fra tutte le sperienze, quelle che faceva al principio di questo secolo
un certo Leone comasco, detto l’uomo incombustibile, di bevere
cioè il piombo fuso, e l’olio bollente senza soffrirne, erano le
più straordinarie, e credute piuttosto un prestigio da coloro medesimi
che lo vedevano coi proprj occhi”. Bellani “assicurò non
esservi finzione” e il segretario dell’istituto “ben si rammenta
di aver veduto in casa sua lo stesso Leone ripetere le principali prove”.
Ciò non doveva però fare “maraviglia”, si spiegava,
“quando si rifletta che per quanto sia caldo un corpo non può comunicare
ad un liquido che una temperatura non superiore al suo grado di ebullizione”
e quindi né l’olio né il piombo “potevano comunicare
nel loro ripido passaggio lungo l’esofago, del continuo umettato, una
temperatura superiore all’acqua bollente; e questa stessa temperatura
doveva molto perdere della sua intensità nel diffondersi e comunicarsi
alle parti sensibili, non essendo stato che superficiale e durativo un solo
istante il passaggio di quella sostanza riscaldata”.
Anche Giovanni Polli, curatore degli “Annali di chimica
applicata alla medicina” ricordò in un articolo su questa rivista
(Sulla incombustibilità e sulla insensibilità al fuoco:
nota di G. P., VIII (1849), pp.186-194) “Giuseppe Lionetto
da Como” come “più maraviglioso degli altri” uomini
incombustibili (p.188). In un successivo articolo su tale rivista (Continuazione
dell’Esame critico delle ultime esperienze annunziate da Boutigny (d’Evreux)
e da altri, sull’azione innocua dei metalli roventi sopra il corpo umano,
ivi, pp.276-306; la nota su Leoni è alle pp.295-297) Bellani
svelava quelli che, a suo avviso, erano i trucchi impiegati da Leoni. Secondo
lui, Leoni spalmava su braccia, gambe e capelli una sostanza, che supponeva
fosse sapone, che lo salvava da bruciature e di proposito teneva i suoi numeri
a ora tarda quando alla luce artificiale, meno forte di quella del giorno, era
difficile per chi non si avvicinasse molto vedere tale materia. Inoltre, proseguiva
Bellani, la paletta da fuoco rovente veniva fatta scorrere solo “coll’estremità
di quella, ossia col suo spigolo non più rovente”. Secondo lo studioso,
era anche possibile che, prima del numero in cui “tranguggiava qualche
oncia di piombo fuso, o qualche cucchiajo di olio in apparenza bollente”,
inghiottisse un pezzo di sapone molle. La nota di Bellani è interessante
anche per la biografia dell’incombustibile parediense. Riferisce infatti
che, dopo gli spettacoli in Lombardia, “partì pel resto dell’Italia
con certo Noseda; e si vuole che sia morto in Napoli volendo far la prova di
entrare in un forno molto riscaldato”. Lo studioso ricordava anche che
altri a Milano vollero imitarlo, “però si riducevano a far scorrere
la paletta sulle braccia”.
Bellani citò Leoni ancora nell’articolo Se con la sola legge
della tensione dei vapori e della diminuzione di temperatura prodotta dalla
loro formazione, si possano spiegare i fenomeni stati ultimamente annunziati
da Boutigny e da altri, in il “Giornale dell’I. R. Istituto
lombardo di scienze, lettere e arti e Biblioteca italiana”, t. II (1850),
pp.3-27 (Leoni è citato alle pp.20-21).
10
Giberto Scotti fu uno dei più autorevoli medici comaschi
del XIX secolo. Oltre ad esercitare la sua professione, si dedicava anche alla
scrittura e fu autore del romanzo Il tesoro che fu
dapprima pubblicato a puntate sul “Corriere del Lario” nel 1851
e poi raccolto in un volume (Il tesoro : racconto del D.r G. S., Como
: Annibale Cressoni, 1852) nel quale era preceduto da un racconto più
breve intitolato Le brache di pelle.
Le vicende del romanzo Il tesoro sono ambientate tra Moltrasio, paese
che Scotti ben conosceva essendone stato per alcuni anni medico condotto, e
Como.
Il tesoro del titolo è quello che il ciarlatano Trincavelli promette
di far trovare al moltrasino Giacomo Spelazzani se seguirà i suoi consigli.
Inutile aggiungere che Trincavelli punta in realtà ad arricchirsi a spese
del povero Giacomo il quale, da parte sua, è prontissimo a farsi abbindolare
da Trincavelli. Anche Ghitta, figlia di Giacomo, per quanto più accorta
del padre, finisce per subire il fascino del truffatore che appare di uno stato
sociale superiore a quello del suo fidanzato, il cavapietre Baldassare.
Il giovedì santo, Giacomo, Ghitta e Baldassare si recano a Como per andare
a baciare, secondo l’uso, il Crocifisso della chiesa dell’Annunciata
e per visitare la fiera che si tiene in quella occasione. Passano tra venditori
di tortelli e di panni e hanno modo di vedere attrazioni come un orso che danza,
“balli acrobatici” e “piramidi viventi”, un cammello
e una scimmia e ad un certo punto si imbattono nell’annuncio di uno spettacolo
dell’uomo incombustibile parediense. Ecco come Giberto Scotti immagina
la scena (“Il Corriere del Lario”, n.46, 12 novembre 1851, supplemento;
nel libro è alle pp.144-145):
“Poi sopra un’asta elevata leggevasi un gigantesco avviso, dipinto
a caratteri fantastici e barocchi, dinnanzi al quale arrestavasi tanto più
curiosa la folla, in quanto che erane straniero il linguaggio. Sopravveniva
allora qualche dotto, qualche scienziato, che tutto pago di poter dare pubblica
mostra di poliglottismo, ne faceva la spiegazione, e diceva esser quello un
annunzio in francese di certo Monsieur Joseph Lyonnet, come qualmente
nelle prossime feste avrebbe fatte nel Nuovo Teatro (accanto al Duomo, dove
esiste ora l’archivio comunale) mirabili sperienze di incombustibilità,
passeggiando su lastre infuocate, maneggiando palle arroventate, ingojando olio
bollente, ed altre simili galanterie”.
Seguiva un dialogo in cui una persona si chiedeva se quel personaggio capace
di compiere simili prodigi non fosse “dunque fratello del diavolo”,
ma un altro rispondeva che era, al contrario, “un buon cristiano”.
In una nota, Scotti precisava che Lionnet era “posteriore d’alquanto
all’epoca che descriviamo; ma in questa generale rivista di tanti ciarlatani
di ogni razza e colore, era proprio un peccato dimenticarlo”. Ricordava
quindi che, “benché infranciosato il nome, egli è comasco:
chiamavasi Giuseppe Leone ed era nato da poveri genitori a Parè”
e dava qualche notizia su di lui traendola dall’articolo di Giambattista
Giovio di cui abbiamo parlato di cui abbiamo parlato nella quinta puntata di
questa bibliografia leoniana (“Topo” n.72, maggio 2008).
11
Nel primo numero del “Periodico della Società Storica Comense”
(1878) fu pubblicata una biografia sino allora inedita di Candida Lena Perpenti
scritta da Maurizio Monti, seguita da alcune aggiunte di Gaetano Bonizzoni.
Candida Lena Perpenti aveva, tra l’altro, ideato un modo di effettuare
la filatura dell’amianto e Bonizzoni ricordava quindi gli abiti di amianto
che Giovanni Aldini e Antonio Vanossi avevano realizzato proponendo di farli
usare ai pompieri per difenderli dalle fiamme (Abiti incombustibili ed esperienze
del cav. Aldini e di Vanossi, ivi, pp.62-63).
Dato che si parlava di incombustibilità, poi, Bonizzoni pensò
bene di aggiungere un contributo su Giuseppe Leoni (Monsieur Lionnet,
ivi, pp.63-64). Dopo qualche cenno biografico, tratto dall’articolo di
Giambattista Giovio, così concludeva: “Noi siamo d’avviso
che il Leoni si procurasse la sua incombustibilità con una mescolanza
d’allume e d’amianto legata con glutine o con argilla”.
Anche un altro articolo su Candida Lena Perpenti, scritto da Felice
Scolari (Candida Lena-Perpenti, in “Novocomum”,
n.12, 24 marzo 1901, pp.90-92), citava l’incombustibile parediense. Scolari
cominciava il suo articolo scrivendo che il 9 febbraio 1812 una ragazza che
si faceva chiamare “Nannetta l’incombustibile” si era esibita
a Como con numeri nei quali “toccava ferri infocati con la lingua, batteva
fortemente, coi piedi nudi, spranghe arroventate, beveva dell’olio bollente,
si lavava le mani nell’acqua forte. Ma i comaschi non vi fecero gran caso,
perché quattro anni prima […] avevano assistito in teatro ad esperimenti
di incombustibilità, ben più straordinari, eseguiti da Monsieur
Lionnet. Questi non solamente danzava sopra ferri roventi, ma li percuoteva
e storceva coi pugni; versava piombo fuso nel cavo della mano, esponeva il viso
a fiamme violentissime”. Scolari ricordava che Leoni, “furbo ed
intraprendente”, aveva raccolto “applausi e quattrini” con
i suoi spettacoli e che, quando si era esibito a Como, aveva fatto una donazione
ai poveri di Parè, suo paese nativo.
Anche il famoso illusionista Harry Houdini, nel suo libro Miracle
Mongers and their Methods (New York : Dutton, 1920; ristampato
nel 1929, p.41), ricordava il “Señor Lionetto” che avevano
guadagnato l’attenzione del professore di chimica “Dr. Sementeni”
(ovvero Luigi Sementini – vedi sopra).
In tempi più recenti, Giancarlo Pretini, nel suo volume
Il palcoscenico incantato : dall’illusione della Magia Nera a quella
proclamata del trucco che c’è ma non si vede (Udine : Trapezio
Libri, p.152), ha citato le “esibizioni straordinarie” del “comasco
Giuseppe Lionnet” con i suoi numeri di incombustibilità. Pretini
cita come fonti l’opuscolo di Giuseppe Mora (di cui abbiamo parlato nella
terza puntata di questa bibliografia, sul “Topo” n.70, del marzo
2008), quello dal titolo Sulla pretesa incombustibilità del Sig. [Giuseppe]
Lionnet (prima puntata, “Topo” n.68, gennaio 2008) e quello di Giorgio
Follini (sesta puntata, “Topo” n. 73, giugno 2008).
12
Anni fa mi ero imbattuto nella vicenda di Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile
di Parè.
Nell’agosto del 2001, quando andai a Parè per visitare l’archivio
parrocchiale per il Censimento degli archivi dei Comuni e delle Parrocchie
della Provincia di Como (pubblicato come cd da Regione Lombardia e Provincia
di Como nel 2002), approfittai quindi dell’occasione per cercare l’atto
di battesimo ed eventuali altri documenti su Leoni (trovai il suo nome in alcuni
“stati d’anime”) e, visto che la mia ricerca aveva suscitato
curiosità verso questo personaggio nativo del paese, ma dimenticato,
promisi di mandare un articolo su di lui. Questo mio contributo fu poi pubblicato
con il titolo Giuseppe Leoni: l’uomo inconbustibile [sic] di
Parè sul bollettino della parrocchia di Parè “L’amico”,
n.33, aprile 2003, p.10.
Nel frattempo, dall’inizio del 2003, ero stato assunto come bibliotecario
del comune di Parè. Questo, ovviamente, mi ha dato un’ulteriore
motivazione per occuparmi dell’incombustibile parediense.
Nello stesso 2003, scrivendo alcuni Cenni storici di Parè per
una cartina del paese (Comune di Parè : cartina toponomastica,
Adro : Eurgrafica, 2003), ho inserito qualche riga su Leoni (e da qui sembra
essere ripreso il cenno sull’incombustibile parediense in Renato Manzoni,
Parco Spina Verde, Como : Enzo Pifferi, 2005, p.38).
L’occasione per parlare in modo più esauriente di Leoni mi è
stata offerta dalla rivista “Magia”, diretta da Massimo Polidoro.
In un numero dedicato alle “Magie del corpo” è stato pubblicato
il mio articolo dal titolo L’incombustibile Leoni (“Magia”,
n.5, 2007, pp.42-48), nel quale ho descritto i numeri presentati nei suoi spettacoli
dall’uomo incombustibile e ho riferito come i suoi contemporanei cercavano
di spiegarli.
A questo articolo fa riferimento la breve nota su Leoni presentata su “Mah”
alla fine del 2007 (Giuseppe Leoni, l’uomo incombustibile, “Mah”,
n.10, dicembre 2007, p.1).
Nel 2008 ad ospitare un altro mio articolo su Leoni è stata la rivista
“Dialogo” (Giuseppe Leoni, l’incombustibile Parediense,
“Dialogo”, n.15, aprile – maggio 2008, pp.36-37).
Nel marzo del 2008 ho creato la voce su Giuseppe Leoni nella Wikipedia in lingua
italiana.
Per tutto il 2008 la terza pagina di questa rivista è stata dedicata
a questa “bibliografia leoniana”, nella quale ho ricordato quanto
dai suoi tempi ad oggi è stato scritto sull’incombustibile parediense.
Per chi fosse interessato a leggere i testi citati, presto la biblioteca di
Parè renderà disponibili le ristampe di opuscoli e articoli, con
mie prefazioni e note al testo.
A questo proposito, colgo l’occasione per ringraziare Giovanni “Roxy”
Pasqua, proprietario della libreria “Mirabilia” di Torino, specializzata
in testi sull’illusionismo, e di una collezione personale di testi su
tale argomento, per averci gentilmente (e del tutto gratuitamente) mandato le
fotocopie di alcuni opuscoli sull’uomo incombustibile in suo possesso.
Per concludere ricordo che il sito di Bibliotopia ha una sezione “Il mondo
di Giuseppe Leoni”:
http://bibliotopia.altervista.org/leoni/
Questa "bibliografia leoniana" è stata pubblicata a puntate
nei numeri del 2008 su "Il topo di biblioteca", foglio informativo
delle biblioteche di Drezzo, Gironico, Moltrasio e Parè.