GIORGIO CASTIGLIONI
FALSO!
misteriosi reperti, foto di fate, corpi di alieni
e altre "prove" rigorosamente false
Maslianico, Cooperativa, 12 aprile 2013
I falsi sono ovviamente tantissimi. Ne vedremo alcuni significativi, anche se non necessariamente di ottima fattura. Di qualche falso tra quelli che vedremo viene da chiedersi, anzi, come è possibile che qualcuno ci abbia creduto. Cercheremo di capire perché questi falsi vengono realizzati e perché hanno successo. I falsi Vermeer di Han van Meegeren, passati per autentici, erano effettivamente fatti con maestria, ma in altri casi non conta tanto l'abilità tecnica quanto capire quello che la gente vuole credere. Se una persona vuole proprio credere a qualcosa, potrebbe finire per dar credito anche a "prove" che ai nostri occhi possono sembrare ridicole.
Cominciamo con la pietra di Kensington, nel Minnesota (foto
a fianco, da "Illustrated London News", 26 giugno 1909, p.918). Su
di essa è incisa un'iscrizione in caratteri runici, un alfabeto in uso
secoli fa nel nord dell'Europa. Questa iscrizione parla di un viaggio di esplorazione
compiuto da otto svedesi e ventidue norvegesi. L'iscrizione, che comincia su
una faccia della pietra e si conclude su un suo lato, termina con la data 1362.
Ciò vorrebbe dire che qualcuno dai paesi scandinavi era giunto in America
in tale anno, prima di Cristoforo Colombo. Per gli immigrati dai paesi della
Scandinvia ciò era un motivo di orgoglio.
L'ipotesi che viaggiatori scandinavi fossero giunti in America prima di Colombo
già circolava. Carl Christian Rafn aveva scritto un libro, Antiquitates
Americanae, raccogliendo i passi delle saghe nordiche nelle quali si racconta
di Bjarni Hjerulfson che aveva visto, senza sbarcare, le coste del Vinland,
terra da identificare con l'America, e poi Leif Ericsson, intorno all'anno 1000,
era sbarcato nel Nuovo Mondo e si era stabilta una colonia.
Mancava però la prova archeologica. Nel 1898 viene quindi "scoperta"
la pietra di Kensington. Gli esperti, come Olaus Breda, la bollano però
subito come un falso. La pietra viene messa da parte. Si racconta che sia stata
usata come fermaporta. Nel 1907, però, arriva un protagonista della vicenda
della pietra di Kensington, Hjalmar Holand (il nome già mostra la sua
origine scandinava), che scriverà una lunga serie di articoli e libri
per sostenerne l'autenticità. Gli esperti, tuttavia, continuano a ribadire
che si tratta di un falso. George Flom, dell'università dell'Illinois,
scrive nel 1910 un saggio che nega ogni pretesa di autenticità.
Gli studiosi fanno notare che il testo non sembra provenire dal Medio Evo, ma
piuttosto appare una costruzione contemporanea "tradotta" in parole
medievali, che il termine usato per dire "viaggio di esplorazione"
non ricorre mai nei testi originali, ma ricalca una parola contemporanea, che
lo stesso modo di esprimere l'anno, con l'anno dalla nascita del Signore anziché
il conteggio a partire dall'inizio di un regno, lascia qualche perplessità.
Già in precedenza, Rafn credeva di aver trovato una prova concreta dello
sbarco di viaggiatori scandinavi in America: la torre di Newport. Secondo il
suo giudizio, l'architettura dell'edificio sarebbe da ricondurre alla Scandinavia.
In realtà, però, non vi sono fondati motivi per questa attribuzione
e, anzi, è certo che è opera di coloni inglesi e che non è
stata costruita prima dell'arrivo di Colombo. Anche l'esame del carbonio 14
sulla malta ha confermato questa datazione.
Oltre all'orgoglio etnico, c'è un altro motivo per cui la presunta autenticità
della pietra di Kensington e la presunta attribuzione della torre di Newport
a un periodo che precede la scoperta di Colombo trovano ancora oggi sostenitori:
il successo degli autori che vogliono andare sempre contro l'archeologia e la
storia che definiscono "ufficiali". I libri che spacciano tesi pseudostoriche
e fantaarcheologiche hanno un grande successo. Ci sono per esempio molte storie
su sbarchi precolombiani in America: africani, gallesi (con la storia delle
popolazione indiane che sarebbero discendenti degli esploratori gallesi), ecc.
Quando poi si parla di misteri nel Medioevo, come diceva Umberto Eco nel Pendolo
di Foucault e come si può vedere guardando qualche puntata di "Voyager",
prima o poi saltano fuori i Templari. Succede anche in questo caso. Come esempio
divertente di questa mania vediamo (immagine sotto, da qui)
un intervento nel forum di David Icke, uno che nei suoi libri sostiene che la
casa reale inglese e altri potenti del mondo siano in realtà alieni "rettiliani"
camuffati da esseri umani. Un utente del suo forum scrive che la pietra di Kingston
(sbaglia pure il nome della località) dimostra l'arrivo di vichinghi
templari guidati da Henry Sinclair, personaggio reso famoso dal Codice da
Vinci di Dan Brown.
Resta da aggiungere che nel 1960 uno scavo archeologico serio ha rivelato la
reale presenza di un insediamento vichingo in America. Dunque i Vichinghi sono
davvero arrivati in America prima di Colombo, intorno all'anno 1000. Nel 1362,
anno indicato sulla pietra di Kensington, se ne erano però già
andati.
Per alcuni aspetti è simile la storia degli idoletti "fenici" del museo di Cagliari. Vi giunsero durante l'Ottocento, un periodo in cui c'era una ricerca dell'identità sarda, anche attraverso falsi come le carte di Arborea, con le quali si voleva far credere che in Sardegna c'era stato un uso letterario dell'italiano prima che altrove, con personaggi (inventati) come Torbeno Falliti, il "Petrarca sardo". Altro motivo di orgoglio erano appunto gli idoletti attribuita a Fenici stanziatisi in Sardegna. Gaetano Cara, allora direttore del museo, ne acquistò un gran numero. Per i falsari che realizzavano questi presunti manufatti fenici, la motivazione era ovviamente il guadagno che avevano. Ci fu chi fece notare che si trattava certamente di contraffazioni, ma la produzione dei falsi e il loro acquisto da parte del museo proseguono fino al 1883 quando un nuovo direttore del museo, Ettore Pais, tolse dall'esposizione al pubblico questi idoli da lui definiti "falsi e bugiardi".
Per realizzare dei falsi di successo, come si diceva prima, non c'è
bisogno di essere dei maestri della falsificazione come Han van Meegeren o Eric
Hebborn. Talora basta inserirsi nel filone giusto. Le foto delle fate
di Cottingley sono un falso che appare evidentissimo. Si vede benissimo
che sono disegni e non presunti esseri viventi. Eppure ebbero un grande successo.
Le autrici delle foto sono due ragazzine, Elsie Wright, che aveva 16 anni, e
sua cugina Frances Griffiths, che ne aveva 10. La famiglia di Frances viveva
in Sudafrica. Quando il padre partì per la guerra, la madre e Frances
andarono dai parenti a Cottingley, in Inghilterra.
Siamo nel 1917. Le ragazzine si fanno prestare la macchina fotografica dal padre
e fanno una foto che dimostrerebbe che hanno incontrato le fate. Nella foto,
davanti a Frances ci sono alcune piccole figure femminili alate che danzano.
Le due cugine scattano poi un'altra foto, con Elsie e uno gnomo. Il padre non
crede alle foto e la prende per quello che era: un gioco da ragazzine. Tempo
dopo, la madre porta le foto a un incontro sullo spiritismo organizzato dalla
Società Teosofica e in quel contesto vengono prese sul serio. In particolare
ne resta affascinato Edward Gardner che le ritiene autentiche foto di fate.
Le porta anche a un (presunto) esperto di fotografia che afferma che non ci
sono trucchi fotografici. In un certo senso, l'affermazione è corretta,
perché non c'è una manipolazione delle lastre: semplicemente sono
state messe in posa delle figure disegnate. E' una foto autentica di finte fate,
un trucco molto ingenuo - e d'altra parte era un gioco di due ragazzine. La
vicenda si fa ancora più grossa quando Gardner mostra le foto a un personaggio
famosissimo, uno degli uomini più celebri dell'Inghilterra dei tempi:
Arthur Conan Doyle, lo scrittore che ha inventato Sherlock Holmes. A chi non
conosca la biografia di Doyle potrà sembrare strano che l'inventore di
un investigatore che con la razionalità risolve ogni enigma creda a un
falso tanto evidente. In realtà, Doyle era un po' credulone ed era un
sostenitore dello spiritismo. Doyle parlò delle foto di Cottingley sulla
rivista "Strand Magazine". Il titolo dell'articolo diceva che le foto
avrebbero fatto epoca. Doyle sostenne per tutta la vita l'autenticità
di queste foto e di altre tre che le due ragazze fornirono in seguito.
Si fecero anche ipotesi divertenti. Mentre noi umani discendiamo da mammiferi
primati, le fatine alate si sarebbero evolute dai lepidotteri, ovvero dal gruppo
delle farfalle.
Ci furono ovviamente anche molti scettici, ma le foto delle fate divennero famose.
Una spiegazione del loro successo la possiamo trovare in un passo del libro
che Doyle dedicò alla vicenda (The coming of the fairies, tradotto
in italiano con il titolo Il ritorno delle fate). Doyle pensava che
se la gente avesse cominciato a credere a questi esseri, sarebbe stata più
pronta a credere anche allo spiritismo. Doyle voleva crederci perché
avrebbero portato un vantaggio alla causa dello spiritismo, di cui era, come
si è detto, un acceso sostenitore, a differenza del suo amico Harry Houdini,
il famoso illusionista che dedicò invece molto impegno a smascherare
i trucchi dei medium.
Elsie e Frances proseguono a sostenere che le fate c'erano davvero, forse anche
perché si sono rese conto che il loro gioco ha ormai coinvolto la reputazione
di Gardner e di Doyle e non osano dire che era solo uno scherzo. Lo faranno
solo più avanti, quando sia Gardner che Doyle erano già morti
e dopo che era emerso qualcosa che era difficile da spiegare se si voleva far
passare le foto per autentiche. Nel 1977 un tale Fred Gettings, autore di un
libro sulla fotografia dei fantasmi, scopre che in un libro per ragazzi uscito
pochi anni prima delle foto di Frances e Elsie c'erano delle illustrazioni con
figure femminili che danzavano uguali (a parte le ali) alle fatine della prima
foto. Elsie poi ammise che la aveva copiate da quel libro.
Un'obiezione che facevano dagli scettici (a parte quella più ovvia, ovvero
che si vede subito che sono disegni e non esseri viventi) è che le fatine
sono immobili. Stanno danzando, ma non si vede alcun segno di movimento. I sostenitori
delle fate replicavano che apparivano immobili perché il tempo di posa
era brevissimo, pari a un cinquantesimo di secondo. Tuttavia gli esperti di
fotografia ritenevano che con quel tipo di lastre non sarebbe stato possibile
fare una foto con un tempo di esposizione così breve. Inoltre si notava
che l'acqua della cascata a sinistra nella prima foto è mossa: perché
allora le fatine non lo sono?
Nella foto di Elsie con lo gnomo, almeno se era stampata con alta definizione,
si poteva vedere anche la capocchia di uno spillone che teneva in piedi la figura.
Come si diceva, però, se uno proprio vuole crederci, troverà la
spiegazione per tutto: Doyle aveva pensato che fosse l'ombelico dello gnomo.
Le statuette di Acámbaro, anche se non in modo perfetto,
raffigurano dinosauri. Sono state collezionate da un immigrato tedesco in quel
paese messicano, Waldemar Julsrud. Dato che Julsrud pagava le statuette, gli
abitanti della zona hanno fatto in modo di "trovarne" tante. Ciò
che rendeva interessanti queste statuette è che venivano fatte passare
per opere di qualche millennio fa. Questa datazione porterebbe un grosso problema:
a quei tempi gli uomini non potevano conoscere i dinosauri (a parte i dinosauri
aviani, ovvero gli uccelli: si userà in seguito il termine "dinosauri"
escludendo questi). Al di là di quello che si vede talora in fumetti,
film e cartoni animati, dinosauri e uomini non si sono incontrati: i primi si
sono estinti piùdi 60 milioni di anni prima che comparisse il primo uomo.
Quindi se un uomo ha raffigurato un dinosauro, può averlo fatto solo
dopo che ne è stata scoperta con i fossili la passata esistenza (quindi
non prima del XIX secolo). L'altra ipotesi (ma sappiamo che non è così)
è che i dinosauri non siano così antichi come dice la paleontologia.
Un primo esame con il metodo della termoluminescenza sembrava confermare che
le statuette avevano qualche migliaia di anni. Tuttavia quando due studiosi
hanno provato a fare lo stesso esame, hanno trovato un risultato ben diverso
e le hanno potute datare come contemporanee.
Il motivo della falsificazione è ovviamente il guadagno: se Julsrud le
pagava, qualcuno era pronto a modellarle e a vendergliele. Il caso è
simile a quello delle pietre di Ica, sulle quali erano incisi dinosauri insieme
a uomini e altre stranezze (ne avevo parlato in una conferenza sui falsi tenuta
due anni fa a Moltrasio). Anche in quel caso c'era un collezionista che pagava
una somma per ogni pietra che gli portavano.
Un motivo che ha contribuito al successo di questi falsi è l'ideologia
della "Terra giovane", secondo la quale il nostro pianeta avrebbe
solo poche migliaia di anni, come risulterebbe dalla loro interpretazione della
Bibbia. Le lunghe ere sarebbero per i sostenitori della Terra giovane un'invenzione
di geologi e paleontologi e i dinosauri non sarebbero vissuti molti milioni
di anni fa, ma in tempi molto più recenti. Le statuette di Acámbaro
ne sarebbero una prova. Tale interpretazione dei testi biblici, comunque, non
è sostenuta dalla Chiesa cattolica né dalle altre principali confessioni
cristiane.
Anche in questo caso, poi, la falsa datazione dei reperti può piacere
a coloro che prediligono le interpretazioni che vanno contro l'archeologia e
la paleontologia da loro definite "ufficiali". Forse il successo di
queste idee pseudoscientifiche sta anche nel fatto che, a differenze delle vere
scienze, ci si può improvvisare "esperti" senza approfonditi
studi.
Uno dei più noti sostenitori delle statuette di Acambaro è stato
Erle Stanley Gardner, l'inventore di Perry Mason. Come nel caso di Arthur Conan
Doyle e Sherlock Holmes, uno scrittore che ha creato un abile investigatore
non ha sempre necessariamente il medesimo acume del suo personaggio.
Un'altra curiosa collezione è quella del missionario italiano Carlo
Crespi Croci a Cuenca, in Ecuador. Ne parlò uno dei più
nomi più noti nel mondo della pseudoscienza, Erich von Daeniken, che
inventò idee strampalate sull'antica storia dell'umanità, infilando
ovunque gli extraterrestri. Von Daeniken racconta che un tale Juan Moricz l'aveva
guidato in misteriose caverne piene di oggetti d'oro e da lì provenivano,
a suo dire, gli oggetti che persone del posto avevano regalato al missionario.
Per inciso, Moricz, intervistato da un giornale tedesco, negò di aver
mai guidato von Daeniken in queste caverne.
Da padre Crespi Croci in seguito andò anche una persona più affidabile,
James Randi, un ex prestigiatore canadese che si è specializzato nel
combattere pseudoscienza e irrazionalità. Quando ha visto la collezione
è rimasto molto perplesso: era un ammasso di cianfrusaglie. Su un "reperto"
vide la scritta "Made in Argentina" che mostra quindi una datazione
non certo antica.
Un falso di grande successo è il "filmato Santilli",
che mostra la presunta autopsia di una creatura aliena che sarebbe stata in
un ufo schiantatosi a Roswell, nel New Mexico, e poi sarebbe stata portata nella
base militare chiamata Area 51. A metterlo in giro è, nel 1995, Ray Santilli.
Secondo la sua versione, era andato negli Stati Uniti per comprare un filmato
di Elvis Presley, ma gli avevano proposto qualcosa di ancor più prezioso:
il filmato dell'autopsia dell'alieno. Santilli riuscì a vendere il filmato
a televisioni di tutto il mondo, compresa la Rai. Viene però osservato
che il modo in cui viene eseguita l'autopsia non sembra corretto e che il tutto
viene eseguito in poco tempo, mentre, se davvero avessero avuto a che fare con
un essere extraterrestre, si può supporre che avrebbero fatto un esame
ben più accurato e dettagliato, prendendosi un tempo ben più lungo.
Quando viene trasmesso dalla televisione italiana, in studio c'era l'astrofisica
Margherita Hack, che liquida la faccenda dicendo che è "un pupazzo".
L'ufologo Roberto Pinotti se la prese per l'ineccepibile commento e anche nell'appendice
a un libro sul caso di Roswell scriverà: "Si è così
falsamente imposta l'idea che il supposto «alieno» dissezionato
fosse, come insulsamente affermato da una astronoma, [...] un «manichino»".
Quando Santilli vede che è difficile sostenere l'autenticità del
filmato, lo ammette, ma si inventa una nuova versione: c'era un filmato vero,
che lui ha visto, ma il contatto con l'aria l'ha presto deteriorato. Così
Santilli avrebbe girato un falso che ricalcava quel che aveva visto nel filmato
originale. Siccome ha certamente il fiuto degli affari, questa nuova versione
viene esposta in un film, Alien autopsy, che gli garantisce nuovi guadagni.
Ciò che è raccontato nel film è presentato come la vera
storia del filmato dell'autopsia aliena, ma se vedete come è scritto
il titolo, la parola "Alien" ha le tre lettere centrali di un colore
diverso e queste tre lettere formano la parola "lie" (bugia).
Un caso italiano di foto di ufo è quello del comandante Vincenzo Garofalo, un pilota. Garofalo ha raccontato che aveva ricevuto in dono una macchina fotografica e aveva avuto subito un'occasione per usare: aveva visto un ufo. La forma dell'ufo è però uguale a quella delle astronavi che compaiono nel film di animazione Chicken Little. Quando era uscito il film, la Kinder aveva messo come "sorprese" nei suoi prodotti i pupazzetti dei protagonisti e anche un modellino dell'astronave. Inclinandolo opportunamente, l'ufo giocattolo è identico all'ufo fotografato da Garofalo. Verrebbe quindi da pensare che il comandante Garofalo abbia preso un esemplare di quell'astronave giocattolo, l'abbia lanciata in aria e abbia scattato la foto. Lui, però, messo di fronte a tale uguaglianza, replicò che era indignato da tali insinuazioni. Se si vuole prestargli fede, si può pensare che gli alieni siano arrivati sulla Terra, abbiano comprato una merendina della Kinder trovando come sorpresa l'astronave di Chicken Little e ne abbiano tanto apprezzato la linea da costruire, una volta tornati sul loro pianeta, un mezzo identico e che con questo siano tornati sulla Terra, venendo in tale occasione fotografati da Garofalo. Scegliete voi quale ipotesi vi sembra più convincente.
L'ufo di Vincenzo Garofalo (riquadro in alto a sinistra) confrontato
con
l'astronave di Chicken Little (immagine da Chicken Little : amici per le
penne,
Milano : Disney Libri, 2005, pp.92-93, immagine rovesciata orizzontalmente)
Astronave giocattolo dei prodotti Kinder confrontata
con l'ufo di Vincenzo Garofalo (in basso a destra).
(immagine di Paolo Bertotti)
Una delle più note falsificazioni in Italia è quella delle teste
di pietra di Modigliani. Una sorta di leggenda metropolitana raccontava
che nel 1909 Amedeo Modigliani aveva scolpito delle teste di pietra con il suo
caratteristico stile, ma, dovendo lasciare il suo studio a Livorno, non sapeva
dove metterle e aveva chiesto consiglio al bar. Con tono scherzoso gli era stato
detto che poteva pure buttarle nel fosso (ovvero il fossato che circonda il
centro della città). Modigliani, offeso e amareggiato dalla mancanza
di tatto, le buttò davvero in acqua.
Nel 1984, in occasione del centesimo anniversario della nascita di Modigliani,
pensando che la storia potesse anche essere vera e che in fondo all'acqua del
fossato potesse esserci qualche scultura, si pensò di dragare il fondo.
L'occasione era davvero ghiotta per i burloni che scolpirono teste in stile
Modigliani e le buttarono nel fossato sperando che la draga le raccogliesse.
Forse i ragazzi che architettarono la beffa buttando in acqua una testa saranno
rimasti peprlessi quando la draga ne trasse fuori tre. Le altre due erano autentiche?
No: semplicemente un'altra persona aveva avuto la loro stessa idea facendone
e buttandone nel fosso due.
Gli esperti d'arte ritennero autentiche le teste e subirono poi una dose di
scherno fin eccessiva, dal momento che il fuorviante responso dei periti scientifici
era stato che le incrostazioni di fango e la presunta presenza di alghe dicevano
che erano in acqua da qualche decennio. Il gruppo di ragazzi che aveva realizzato
una testa, però, rivela la burla. Qualche critico replica che non è
possibile che le abbiano fatte loro e gli autori della testa (tranne uno che
nel frattempo aveva rotto con il gruppo), per dimostrare che sono in grado di
farle, vanno in televisione e ne realizzano una davanti alle telecamere. La
Black & Decker, produttrice di un trapano usato nell'impresa, fece una pubblicità
che citava l'impresa. Ci furono anche ripercussioni politiche con polemiche
in consiglio comunale a Livorno.
Minore notorietà ebbe l'altro falsario, un artista che non voleva fare
semplicemente una burla, ma anche suscitare una riflessione sulla critica d'arte
e sulla vicenda girò un documentario.
Al Museo di storia naturale di Londra è conservata una mosca rinchiusa nell'ambra che dopo essere stata annoverata per decenni nelle collezioni come un reperto autentico si è rivelata un falso. L'ambra è resina fossile. La resina, colando, può inglobare frammenti vegetali, microrganismi, piccoli animali, che possono restare così conservati all'interno e giungere a noi dopo milioni di anni. Sono fossili preziosi e qualche falsario pensò quindi di realizzarne uno. Il fossile apparteneva allo studioso tedesco Hermann Loew, che lo descrisse nel 1850, e nel 1922 fu acquisito dal museo di Londra. Nel 1966 il reperto fu esaminato dall'entomologo Willi Hennig, il padre della cladistica, che identificò la mosca inclusa nell'ambra come una Fannia scalaris, ovvero una comune mosca delle latrine. Questo suscitò grandi perplessità. L'ambra era databile a 38 milioni di anni prima: come poteva un insetto di 38 milioni di anni prima appartenere a una specie tuttora vivente? Gli animali si evolvono e una specie di quell'epoca verosimilmente dovrebbe essere estinta da un pezzo. Non si era però visto motivo per dubitare del reperto e si era pensato che quello della Fannia scalaris potesse essere un raro caso di stasi evolutiva. Nel 1993, però, un altro studioso Andrew Ross stava osservando questo reperto con una lampada che emanava un po' troppo calore, tanto che fece aprire una piccola fessura. Ross si avvide quindi che una mosca contemporanea era stata inclusa da un falsario in un'ambra di milioni di anni prima, un'operazione decisamente abile dato che era passata inosservata per decenni e persino dopo i dubbi derivanti dall'identificazione della mosca come appartenente a una specie vivente.
FONTI:
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Idoletti "fenici" del museo di Cagliari: Gaetano Cara, Sulla genuinità degli idoli sardo-fenici esistenti nel museo archeologico della regia università di Cagliari, Cagliari : Tipografia Cattolica, 1875 (qui nella Sardegna Digital Library); Fabrizio Frongia, Le torri di Atlantide, Nuoro : il Maestrale, 2012, pp.109-117.
Fate di Cottingley: Arthur Conan Doyle, The coming of the fairies, New York : George H. Doran Company, [1922] (qui in Internet Archive) (tr. it. Il ritorno delle fate, Carnago : SugarCo, 1992); James Randi, Flim-flam! Fandonie : sensitivi, unicorni e altre illusioni, Roma : Avverbi, 1999 (ed. orig.: 1982), pp.29-62; Fake? : the art of deception, ed. by Mark Jones with Paul Craddock and Nicolas Barker, Berkeley – Los Angeles : University of California Press, 1990, pp.87-90; Joe Nickell, Entities, Amherst : Prometheus Books, 1995, pp.259-266; Mike Dash, Al di là dei confini, Milano : Tea, 2002, pp.325-328; Massimo Polidoro, Grandi misteri della storia, Casale Monferrato : Piemme, 2004 (1a ed.: 2002), pp.321-335; Donald E. Simanek, Arthur Conan Doyle, spiritualism, and fairies, 2001, last edit: 2009 (qui).
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Collezione di Carlo Crespi Croci: Erich von Däniken, Il seme dell’universo, Milano : Ferro, 1972, pp.30-57; James Randi, Flim-flam! Fandonie : sensitivi, unicorni e altre illusioni, Roma : Avverbi, 1999 (ed. orig.: 1982), pp.153-160.
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extraterrestri sono già qui?, Roma : Edizioni Mediterranee, 1997,
pp.201-214, e appendice di Roberto Pinotti, pp.217-223; Andy Roberts, David
Clarke, Santilli’s Alien Autopsy film, “Fortean Times”,
maggio 2006 (qui);
Alien Autopsy, 1995, in "Museum of hoaxes" (qui);
Margherita Hack, Gianluca Ranzini, Stelle da paura, Milano : Sperling
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L'ufo di Chicken Little: Paolo Bertotti, PF-2: il caso
"Punta Raisi-Kinder", blog "Photobuster", 15 aprile
2009 (qui);
Flavio Vanetti, La vicenda dell’ufo di Punta Raisi. Il comandante
Garofalo replica, blog "Mistero bUfo", 17 aprile 2009 (qui).
Falsi Modigliani: Gianni Pozzi, Teste a sorpresa, Firenze : Ponte alle Grazie, 1989.
Mosca nell'ambra: Erica McAlister, Piltdown Fly,
"Nature Plus, Curator of Diptera’s blog", 21 dicembre 2012 (qui);
Silvano Fuso, La falsa scienza, Roma : Carocci, 2013, pp.88-90.
Giorgio Castiglioni, bibliotecario a Parè e Moltrasio,
è redattore di "Mah".
Comunicazioni: mah.giorgio AT gmail.com