BIBLIOTOPIA

MAURO TETTAMANTI
SCELTE RAZIONALI NELLE TERAPIE
il farmaco dalla ricerca al mercato
il caso Stamina

Moltrasio, Biblioteca comunale, 14 maggio 2013

La serata si divide in due parti. La prima vuole spiegare, senza eccedere nella parte burocratica, quali sono le caratteristiche che fanno sì che un farmaco o una terapia possano essere messi in commercio e utilizzati in Italia e in generale in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. Tra Europa, Stati Uniti e Giappone è costituito un consorzio per stabilire le regole. La seconda parte sarà sul caso Stamina. La prima dovrebbe servire per interpretare la seconda.

Ognuno di noi ha un'idea abbastanza chiara di cosa sia la malattia. Il vocabolario dice: "una condizione abnorme e insolita di un organismo". Definiamo la normalità e di conseguenza cosa è anormale. Sembra una cosa semplice, ma in realtà non è sempre così. Vi faccio due esempi.
Il primo è quello dell'Aids. E' arrivato negli Stati Uniti nel 1979, ma lo si sa perché si è trovato il virus in provette congelate di sangue di quella data. L'Aids è stato però definito come malattia nel 1981. Prima c'erano i malati, ma non si sapeva che avevano quella malattia. Caso fortunato, il virus (l’agente che causa la malattia) è stato isolato poco dopo, nel 1983. Sono state anche trovate delle terapie. Per il momento non si è potuto eradicare il virus, ma lo si può tenere sotto controllo.
Un secondo caso riguarda la malattia di Alzheimer. Questa malattia è stata descritta per la prima volta nel 1906 da Alois Alzheimer. E' rimasta per molto tempo in una nicchia che riguardava persone con perdita della memoria e disturbi comportamentali con età relativamente giovane (approssimativamente con inizio della malattia sotto i 65 anni). Gli altri venivano messi sotto l'etichetta generale di "arteriosclerotici". Si pensava, quindi, a un meccanismo vascolare. Nel 1977, con una revisione delle definizioni, si è estesa anche a età più avanzate, grazie a diversi contemporanei miglioramenti nella diagnostica per immagini, in neuropatologia e in biologia. Prima del 1977 si poteva ovviamente avere la malattia, ma è solo dopo che si poteva avere anche la diagnosi “corretta”. Si è fatto quindi un passo in avanti, anche se le cose sono sempre più complicate di quel che si può pensare. Per esempio, in persone dementi molto anziane, sopra i 90 anni, è molto difficile che troviamo una sola causa di malattia (ad esempio solo la malattia di Alzheimer). Molto spesso troviamo anche una componente vascolare. Viceversa, in un paziente con diagnosi di demenza vascolare facilmente troviamo dei marcatori specifici della malattia di Alzheimer, ovvero placche e grovigli che sono associati alla morte dei neuroni.
Dunque il concetto di malattia è insieme semplice da capire, ma non così semplice nella pratica. Lo stesso vale per terapia e cura. Spesso vengono usate come sinonimi, ma in realtà non sono la stessa cosa. La terapia è un metodo, uno studio dei mezzi per combattere le malattie. La cura è il complesso delle terapie usate per far guarire da una malattia.

Come si valuta una terapia? Dobbiamo avere due obiettivi: una buona efficacia e il non avere troppi effetti collaterali. La valutazione delle terapie farmacologiche (e in diversi casi anche non farmacologiche) si può dividere in due tipologie: gli studi clinici controllati e quelli non controllati. Gli studi clinici controllati seguono una serie di prescrizioni che non sono solo legali, ma derivano dalla logica della sperimentazione, mentre gli studi clinici non controllati non hanno questi vincoli. Per esempio in letteratura medica si possono trovare rapporti su singoli casi specifici, detti casi-studio in cui viene analizzato a fondo un singolo paziente, oppure studi di confronto in cui osserviamo due popolazioni senza intervenire. Il problema degli studi non controllati è che non ci danno una risposta chiara. Poniamo, per esempio, di voler vedere se il diabete è collegato all'insorgenza di una certa malattia: prendiamo due gruppi, uno di diabetici e uno di non diabetici, e vediamo se la malattia è diffusa in misura diversa nei due gruppi. Appare un metodo giusto, ma non è così semplice. Per esempio il diabete di tipo 2 in genere parte da una certa età: il gruppo di controllo ha pari età? Ci potrebbe anche essere un legame con il censo: il diabete è più diffuso nella popolazione meno abbiente a causa della peggiore alimentazione. Quando facciamo il confronto, teniamo presente tutte queste cose? Dunque, gli studi clinici non controllati sono molto più semplici da fare, ma hanno dei problemi grossi.
Poniamo di invece di voler immettere un farmaco sul mercato. In questo caso c’è bisogno (dal punto di vista legale ed euristico) di una serie di passaggi che vanno sotto il nome di studi clinici controllati. Tutti i farmaci sul mercato in Italia sono passati da questi studi. Gli studi clinici controllati sono divisi in una serie di fasi successive.
Tutto inizia quando si scopre qualcosa di nuovo nella letteratura medica o si nota qualcosa nei pazienti o si vede qualcosa che è stato fatto da altri e si pensa di provare una certa molecola in una certa terapia.
Prima di provare il composto sull'uomo c'è una fase preclinica (pensate di essere un volontario che si presta ad assumere un farmaco mai provato prima sull’uomo: non pensate che possa essere rischioso?). Una volta si poteva fare solo sugli animali. Ora c'è la possibilità di farlo anche sulle cellule. La sperimentazione con animali porta una serie di problemi ed è costosissima, quindi, se si può, si lavora su tessuti cellulari creati ad hoc o addirittura su modelli al computer.

Quindi si passa alla fase clinica, divisa in quattro fasi.
Fase I. Lo studio di fase I è la prima volta in cui una persona prende il farmaco. Sono studi per valutare la tollerabilità. Dalla fase preclinica sappiamo che sulle cellule funziona, e non abbiamo visto effetti collaterali, ma come si comporta il composto una volta somministrato ad una persona? Forse lì ha qualche effetto non previsto? Si va in ospedale e si fanno una serie di esami perché ovviamente bisogna valutare la situazione di partenza. Per esempio, se uno ha già un'aritmia prima di assumere il farmaco, questa deve essere registrata in modo da non essere scambiata per un effetto collaterale che appare dopo aver assunto il farmaco. Dopo questa valutazione basale si somministra il farmaco ad un ristretto numero di volontari e, dopo un tempo congruo, ad esempio la sera stessa, si rifanno gli esami per vedere se è cambiato qualcosa. Spesso questi stessi esami vengono nuovamente ripetuti dopo una settimana per controllare che non ci siano problemi anche dopo un certo periodo. In certi casi (se tutto va bene) segue una ulteriore fase I (fase Ib) in cui il farmaco viene dato per un certo (breve) periodo. Si dà ai soggetti una scatola del farmaco con le modalità con cui lo deve prendere e dopo una settimana questo torna in ospedale per effettuare di nuovo un controllo, cioè per assicurarsi che il farmaco sia ben tollerato anche dal punto di vista degli esami medici. Ovviamente il soggetto non deve barare, fingendo soltanto di prendere il farmaco: se dovesse imbrogliare viene comunque scoperto subito quando si fanno gli esami del sangue (non ci sarebbe traccia del farmaco nel sangue o nelle urine). I soggetti della fase I sono un numero ristretto, di solito una decina, e di solito sono su volontari sani. L'idea è che, se insorge qualche problema, è meglio che sia in una persona sana con capacità di recupero alte. Però ci sono anche terapie particolarmente pesanti o anche pericolose (spesso quelle sui tumori) e in questo caso non è etico coinvolgere volontari sani, quindi si sperimenta direttamente sui malati. Generalmente, però, i malati entrano solo in fase II. Dopo la fase I, il procedimento può essere interrotto. Se si scopre, per esempio, che il farmaco causa un’alterazione rilevante al fegato, si interrompe il procedimento a causa della scarsa tollerabilità.
Fase II. La fase II è uno studio preliminare di efficacia, anche se pure la tollerabilità viene tenuta in considerazione. Si svolge su gruppi un po' più grandi, di 50-100 soggetti malati. Anche qui si fanno gli esami prima e dopo (per la tollerabilità), ma si fanno anche test specifici sulla malattia. Si fa il test prima di iniziare, poi il soggetto prende il farmaco per esempio per un mese e poi si vede se i valori dei test sono migliorati, cioè se la malattia è migliorata, o guarita, o almeno non peggiorata.
La fase II è un momento cruciale per decidere se proseguire. Gli studi di fase II sono costosi, ma gli studi di fase III sono costosissimi. Le aziende quindi puntano sui cavalli migliori: non è raro che, a fronte dei risultati ottenuti dallo studio di fase II, si decida di non continuare. Questo succede di norma quando si valuta che il farmaco non mostra l’efficacia sperata.
Fase III. Gli studi di fase III sono quelli registrativi, cioè quelli che permettono al farmaco di entrare sul mercato. Il numero dei soggetti coinvolti diventa molto più alto. Quanto più alto, dipende dall'effetto che si vuole vedere. Se si pensa, in base ai risultati della fase II, di vedere un effetto molto grande, la popolazione può essere anche di 100 - 200 persone. Se gli effetti sono più lievi, si va sul migliaio di persone. Se si vuole essere molto sicuri, si possono fare anche mega-trial da 10.000 persone. Questo implica che non si può far tutto in un centro solo. Saranno coinvolti diversi centri, spesso in paesi diversi.
Se si dimostra che il farmaco è ben tollerato e ha un effetto sulla malattia, si chiede la patente.
Di solito, per la registrazione sono richiesti due studi di fase III e in entrambi si deve dimostrare sicurezza ed efficacia.
Potrebbe capitare che il farmaco funzioni bene solo su un sottogruppo. In questo caso, comunque, l'ente regolatore chiede di fare un nuovo studio mirato su quel sottogruppo.
Fase IV. Esistono altri studi, post-registrativi, detti di fase IV. Si è già ottenuta la registrazione, ma si vuol fare un ulteriore studio. Ci sono ragioni nobili e meno nobili per questi studi. Per esempio, l'ente regolatore potrebbe non essere pienamente convinto dell'efficacia e della sicurezza e potrebbe chiedere di seguire, per esempio, i primi diecimila pazienti per uno o due anni per verificare che non ci siano problemi.

I regolamenti da seguire per le singole fasi di sperimentazione sono stringenti perché si vuole valutare per bene se il farmaco funziona. La ragione per cui queste regole sono state introdotte è che, in buona fede o in mala fede, ci si può “dimenticare” di fare qualcosa che è importante per valutare la bontà del farmaco (si può ricordare a questo proposito che all'interno di Tangentopoli ci fu un capitolo Farmacopoli). Quello che viene richiesto è in definitiva la prova che il farmaco 1. non faccia male e 2. sia efficace.
Il disegno dello studio deve essere ben definito. Solo in questa maniera possiamo interpretare i risultati:
- La popolazione: si deve specificare su quali malati il farmaco viene sperimentato
- L'esito cercato: per esempio, un miglioramento di almeno tre punti su una scala del dolore oppure il fatto che dopo un anno ci saranno più vivi da una parte rispetto all'altra. Deve essere ben definito.
- La modalità di analisi dei dati: prima di iniziare lo studio, si deve dire quale analisi statistica si userà. Non si può ripensarci dopo. E' importante la formulazione a priori. Quando si era meno rigidi poteva capitare che, se un'analisi non dava il risultato voluto, se ne adottava un'altra che lo dava, e questo è chiaramente sbagliato: basta mettere abbastanza criteri e finiremo con il trovarne uno che dà risultati positivi
E' necessario avere il consenso informato dei soggetti e ci vuole l'assenso del comitato etico.

La forma classica dello studio controllato è lo studio in doppio cieco a due bracci randomizzato contro farmaco o contro placebo. Si prende la popolazione considerata e la si divide in due gruppi, ma in modo randomizzato, ovvero non devono finire da una sola tutti quelli con una certa caratteristica. Per essere più sicuri, lo si fa "in cieco": ogni malato sarà assegnato al farmaco A o al farmaco B, ma né il soggetto né lo sperimentatore sanno quale è quello assegnato. Un soggetto non sa neppure se il soggetto precedente ha avuto il suo stesso trattamento: le scatole sono identiche, i farmaci sono di aspetto identico. L'importante è non perdere le liste di randomizzazione (dove è segnato quali soggetti ricevono l'uno e quali l'altro).
Gli studi vengono fatti contro placebo o contro farmaco. Se non c'è un farmaco di riferimento, si dà il placebo, ovvero un composto inerte: la pastiglia è uguale nell'aspetto, ma dentro non c'è il prinicipio attivo. Anche il sapore dovrebbe essere uguale. Se esiste un farmaco di riferimento, bisognerebbe usare quello. Nel caso della malattia di Alzheimer esiste un farmaco di riferimento, anche se ha risultati scarsi, tanto che magari qualcuno pensa di dare il placebo perché tanto il farmaco fa poco, ma non è corretto perché comunque qualche risultato c'è.

Quando abbiamo cominciato a parlare di questa serata, si pensava a più esempi, sia riferiti alle case farmaceutiche sia alle cure alternative. In questi ultimi due mesi, però, mi sono arrivate sempre più email sul metodo Stamina. Tutti quelli che mi scrivevano mi dicevano che non aveva un'efficacia provata. Un paio di settimane fa sono andato sul sito delle "Iene" e ho visto un filmato. L'ho guardato e mi sono detto: "Ma allora funziona?" Era un filmato su una bambina affetta da atrofia muscolare spinale (SMA) e il filmato diceva che con la cura cominciava a fare cose che prima non riusciva a fare. Era una cosa che ti prendeva allo stomaco e non ti lasciava ragionare. Riguardando il filmato un paio di volte, però, qualcosa cominciava a non quadrare.
La questione fondamentale è che manca una prova di efficacia, uno studio come si diceva prima. Anzi, non c'è proprio nulla.
Già nel 2009 il programma "Le Iene" avevano riferito che in Thailandia si potevano fare terapie con le cellule staminali e che funzionavano. Dopo un anno o un anno e mezzo vengono fatte di nuovo le interviste a chi aveva provato la terapia e la maggior parte dicono che non ha funzionato. Alla fine il presentatore dice che comunque lui non ha mai detto (esplicitamente) che funzionava. Se si va a vedere la puntata, però, il messaggio però era proprio quello. Non ti dico che funziona, ma te lo faccio vedere.
Un'altra vicenda in cui erano entrate le Iene era quella dell'Escozul, il farmaco antitumorale ricavato dal veleno di scorpione, che aveva portato molti italiani ad andare a Cuba per avere il rimedio. Delle quattro o cinque persone da loro intervistate, dopo un anno un paio erano morte e le altre non stavano per niente bene. Hanno anche parlato della tecnica Zamboni per la sclerosi multipla, lodandone la bontà (ora due studi scientifici hanno dimostrato che non funziona). Mi sono quindi occupato di questo metodo Stamina sia sotto l'aspetto scientifico sia sotto quello giornalistico.

Le cellule staminali sono cellule che proliferano per tenere in ordine il nostro corpo, come quando si riforma la pelle dopo un taglio.
Le cellule nel nostro corpo sono di diverso tipo, a seconda della loro capacità di produrre “figlie”:
- staminali embrionali pluripotenti (possono generare qualunque tipo di cellula)
- staminali adulte multipotenti (possono generare diversi tipi di cellule, di una classe specifica)
- precursori (possono generare cellule di un solo tipo)
- cellule mature (non si dividono)
Poi ci sono le cellule pluripotenti indotte che hanno fruttato il premio Nobel per la medicina del 2012 a Shinya Yamanaka e John Gurdon: prendendo una cellula qualsiasi e attivando quattro geni, la cellula diventa (quasi) equivalente a una staminale embrionale. E' come se fosse stata deprogrammata.

Le cellule staminali usate nel metodo Stamina sono staminali adulte multipotenti mesenchimali. Possono dare origine a osso e cartilagine. Si discute se possano diventare neuroni. Vannoni dice di sì, ma molti altri dicono che possono fare cellule simili a neuroni, ma che non si comportano poi come neuroni. Non c'è chiarezza su questo punto.
Le cure compassionevoli sono presentate spesso come le cure fatte per compassione quando non c'è più niente da fare. In realtà le cure compassionevoli sono legate a una legge specifica che le ammette se ci sono già buoni indizi che la cura funzioni (e nel caso Stamina non è così), con dati disponibili e pubblicati. Per Stamina non ci sono dati disponibili. Vannoni non ha mai pubblicato nulla. Non si capisce per quale motivo non venga pubblicato nulla se ci sono dati così importanti (forse perché i dati non ci sono?)
Mi dicono che "le Iene" fanno anche dei servizi utili, ma servizi basati su bambini malati secondo me sono una cosa deleteria. Parlando di bambini con una speranza di vita di solo 18 mesi di vita, si crea una sensazione di emergenza che prende alla gola e non lascia ragionare.
Anche se il primo servizio che ho visto era su una bambina malata di SMA (una malattia molto specifica), il metodo Stamina promette di guarire molto altro: tutte le malattie neurodegenerative, la retinopatia diabetica, la psoriasi... praticamente tutto. L'idea sarebbe che siccome le staminali sono alla base di tutto, allora possono curare tutto. Nei miracoli si può sempre sperare, però è veramente improbabile che una terapia abbia la possibilità di curare così tante malattie. Questo è un punto che mi fa pensare che la terapia Stamina sia senza valore.

Nella SMA il problema è la proteina SMN1 che permette la sopravvivenza dei motoneuroni. Il metodo Stamina è l'unica terapia proposta? No, ce ne sono altre:
- terapie geniche (frammenti di dna vengono messi in fagi)
- * attivazione di geni simili (oltre all'SMN1, c'è l'SMN2: si cerca di fare in modo che il gene che produce SMN2 faccia anche SMN1)
- * splicing alternativo di geni simili (modificare SMN2 per farlo diventare come SMN1)
- stabilizzazione del modello difettoso
- * neuroprotezione senza SMN1
Tre di queste terapie (quelle contrassegnate con un asterisco) hanno studi clinici in corso. Dovremmo forse abbandonare questi studi condotti in maniera scientifica per affidarci a Vannoni?

La bambina del servizio delle "Iene" è affetta da SMA di tipo I, la più grave, che porta alla morte perché i muscoli non rispondono più, compresi quelli per respirare. La SMA di tipo II non è altrettanto pesante: i bambini possono incontrare grossi problemi, ma possono anche riuscire a fare una vita abbastanza normale. La SMA III comporta qualche problema neurologico, ma non grave. C'è infine una SMA che sopraggiunge in età adulta.
Il metodo Stamina è plausibile? Le cellule mesenchimali danno davvero origine a veri neuroni? O solo a cellule simili a neuroni che, però, non possono sostituirli? E come è fatto questo metodo?
Vannoni dice che il suo metodo è disponibile online e che basta digitare in un motore di ricerca "brevetti Davide Vannoni". Un brevetto serve a tutelare l'inventore impedendo ad altri di fare quel che lui ha inventato. Vannoni, comunque, rigetta questa interpretazione e dice di aver brevettato il suo metodo solo per evitare che altri se ne approprino e lo vendano. Il problema è che non ci sono brevetti, ma solo due domande di brevetto fatte negli USA, che sono state respinte perché il metodo non è stato ritenuto sufficientemente innovativo e non è stato trovato descritto in modo sufficiente. Insomma, per l'ente americano, il metodo non è né nuovo, né ben descritto. Anche questo ci fa pensare che non sia un gran metodo.

Nei filmati trasmessi in tv sono sempre mostrati dei miglioramenti. Il genitore dice che, dopo un’iniezione, ha visto miglioramenti nella figlia. Ci sono, però, delle possibilità per cui ciò possa avvenire senza che si debba attribuirne il merito alla terapia in modo specifico.
- Una delle ipotesi possibili è che questo cocktail di cellule possa avere un effetto aspecifico generale, per esempio un effetto antinfiammatorio. Uno dei problemi legati al mancato funzionamento della cellula è il processo infiammatorio (avremmo un miglioramento dei sintomi ma nessun effetto sulla progressione della malattia).
- Potrebbe anche esserci un effetto placebo e il genitore che vede una cura per il figlio è portato a vedere dei miglioramenti anche se non c’è molto.
- Una malattia può avere un decorso variabile: se si mostrano in televisione solo quelli che hanno avuto un decorso positivo, sembra che la terapia porti un miglioramento.
Il mio parere è comunque che i miglioramenti siano legati soprattutto alla fisioterapia che, su questi bambini, può dare risultati importanti. In particolare è fondamentale tenere in forma i muscoli che servono per la respirazione.

Nei filmati i genitori dicono che i risultati li hanno ben visti, ma i risultati richiesti per valutare l’efficacia di una terapia sono altro. Sono dati, misurazioni: un giorno è 100, poi 120, poi 150 e dopo un anno 300: questo è un miglioramento.
In un caso come questo, per come è stato presentato, non ci sarebbe neppure uno stretto bisogno di avere un gruppo di controllo: se c’è una malattia che ha esito letale nel giro di sei mesi e si può dimostrare che dopo un anno sono ancora vivi, è chiaro che c’è un miglioramento. In un filmato un genitore dice che i bambini non arrivano a 18 mesi e che non possono mai stare seduti. Così quando viene mostrata la bambina seduta, lo spettatore pensa che allora questa terapia qualcosa deve fare. Ma non è così. L’associazione onlus Famiglie SMA, che raccoglie famiglie con figli con questa malattia, dà dei dati diversi. Ci sono bambini con SMA che hanno 5, 6, 10 anni. Non è neppure vero che non possono mai stare seduti: possono farlo se ricevono una fisioterapia specifica. I servizi delle “Iene” sono un mix tra cose con qualche verità e cose abbastanza false.

Ho fatto l’esempio della SMA. La Stamina Foundation dice di poter curare più di 60 malattie. E’ chiaro che non si può qui valutarle tutte una per una. Dalle cronache dei giornali, si vede che questa fondazione operava già nel 2009. Dovrebbe avere quindi una buona mole di dati. Vannoni a volte dice che i dati li hanno e che, se di va da loro, li può mostrare. Non è così che funziona la medicina. E’ chi fa l’affermazione che deve mostrarli. Ci sono migliaia di persone che dicono di avere cure. Non è possibile spostare l’onere della prova da chi propone a chi deve controllare. Se uno dice che la sua terapia funziona, è lui che deve dimostrarlo. E’ così non solo per legge, ma anche per logica. Dovremmo dare retta a tutti quelli che dicono di avere una cura senza avere fra le mani qualcosa di chiaro? Non distingueremmo più quello che funziona da quello che non funziona.

Per quanto riguarda l’aspetto giornalistico della vicenda, il sito del Corriere della Sera ha una sezione apposita, fatta bene. Le notizie a seguito sono tratte dal sito.
Una prima cosa che colpisce è che Vannoni non ha una formazione medica. E’ laureato in lettere e filosofia e insegna psicologia della comunicazione. Non è che sia necessario essere medici per inventare qualcosa in campo medico, però è un po’ strano. Comunque non ha nessuna pubblicazione in campo medico.
Vannoni è arrivato a occuparsi di cellule staminali in seguito a vicende personali. Aveva avuto un’emiparesi facciale (sulla causa ci sono indicazioni diverse) e, non soddisfatto delle cure ricevute in Italia, era stato in Ucraina e afferma che, dopo un ciclo di iniezioni di cellule staminali, era guarito.
La prima volta che le cronache si occupano di Stamina è quando, a Torino, viene aperta un’inchiesta dal procuratore Guariniello perché la sua fondazione afferma di guarire più del 70% dei casi di una lunga serie di malattie come SMA, ictus, paralisi, ecc. (a pagamento: dai 20 ai 50mila euro) facendo fare la coltivazione delle cellule staminali in un laboratorio che non è abilitato a ciò.
La Regione Piemonte, comunque (in modo bipartisan), cercò di fargli avere 500.000 euro per fare un suo laboratorio. Da una persona era stato obiettato che era meglio finanziare l’università piuttosto che un privato, ma il consiglio regionale aveva optato per Vannoni. Poi, comunque, i soldi non si trovarono e quindi non andarono a nessuno. Comunque Vannoni riuscì a trovare i soldi, non si sa come.
Intanto arriva una normativa sulle cellule staminali che impone controlli analoghi a quelli sui farmaci. Vannoni allora si sposta a San Marino, che è fuori dalla Comunità Europea, anche se non ci rimane molto.
Vannoni dice che le cellule staminali non sono farmaci e non devono essere quindi trattate come tali, ma la normativa dice un’altra cosa, ovvero che se si vuole che siano considerate utili, va usata una procedura simile a quella usata per verificare l’utilità dei farmaci.
Nel 2010 si sposta a Trieste, dove conosce un chirurgo. Mentre per i farmaci c’è tutto il procedimento di cui abbiamo parlato, la chirurgia è una specie di Far West della medicina nel quale l’unico “controllo” è la denuncia del paziente. E’ vero che è difficile dare normative sulle tecniche chirurgiche, ma forse ora c’è troppa libertà di azione.
Poniamo anche che uno sia in buona fede. Conosco diversi clinici certamente in buona fede che però non comprendono il metodo scientifico. Quando si espone loro il risultato di un trial clinico, ti guardano un po’ perplessi e ti dicono “Quella è roba tua. Io faccio quello che mi sembra giusto”. In generale, non dovete pensare che il clinico sia più logicamente attrezzato del paziente. Purtroppo è un problema della medicina di oggi, ma anche dell’istruzione. I trial controllati andrebbero spiegati a scuola, anche ai bambini, e si può farlo, per evitare che si venga tratti in inganno.
Facciamo l’esempio di un farmaco antiulcera, l’esomeprazolo. C’era già l’omeprazolo, che non è più sotto brevetto ed è quindi venduto come farmaco generico. La casa farmaceutica che aveva il brevetto sull’omeprazolo ha allora proposto l’esomeprazolo. L’omeprazolo ha una forma racemica, ovvero lo si trova in due forme speculari: una ha effetto, l’altra no. L’idea della casa farmaceutica è fare una nuova formulazione che contiene solo la forma che funziona. Il tutto si riduce dunque al fatto che invece che prendere 80 mg di omeprazolo, si prendono 40 mg di esomeprazolo. Se quando si fa il trial si fa il confronto tra 80 mg di esomeprazolo e 80 mg di omeprazolo, risulta che il primo funziona di più. Il risultato è che, passando per nuovo farmaco, si può venderlo a prezzo più alto.
Nel 2010 abbiamo l’unico risultato pubblicato sulla terapia Stamina con bambini affetti da SMA I. Quelli che hanno fatto lo studio dicono di aver seguito le direttive del metodo Stamina, ma Vannoni, pur ammettendo che si sono seguite tali direttive, dice che però è stato fatto non con le staminali del suo laboratorio di Brescia, ma con quelle del San Gerardo di Monza e lì, secondo lui, non sono in grado di produrle adeguatamente. Lo studio è stato fatto su cinque bambini. Dopo un anno, due erano morti e gli altri tre erano peggiorati.
Quando Guariniello ha mandato i NAS e poi l’Agenzia del Farmaco ha mandato i suoi ispettori a Brescia, è stata trovata una situazione non buona per un laboratorio in cui ci si occupava di cellule staminali. In Italia ci sono tredici laboratori autorizzati a trattare cellule staminali e quello di Brescia non è tra questi. Insomma, c’è un laboratorio che non dovrebbe esistere che fa una terapia che non si dovrebbe fare.

A questo punto possiamo farci due domande.
Quando il bisogno è impellente, è giusto appoggiarsi a qualunque proposta ignorando le regole?
La mia risposta è no (anche se io la vedo dall’esterno e so che vista dall’interno è veramente difficile). Ci sono problemi etici, legati alla sicurezza: non abbiamo nessun dato non solo sull’efficacia, ma neppure sulla sicurezza. Ci sono anche dei problemi economici. Se lo Stato si assume il pagamento di tutte le cure non provate dandole come “cure compassionevoli”, si arriva presto alla bancarotta. Quando si fa questa osservazione, salta fuori sempre la replica “ma per la salute si deve far tutto”. Ma non è questo il punto. Ci sono dei farmaci che hanno fatto tutta la trafila che abbiamo visto che costano magari 10.000 euro al mese ed è giusto che vengano dati perché sono necessari per la vita del paziente. Ma per una cosa che non funziona, non si dovrebbero dare nemmeno cinque centesimi. Se uno le vuole, le paghi da sé: ci sarebbe una differenza tra chi ha i soldi e chi non li ha, ma, visto che tanto non funziona, la differenza è fasulla.

L’altra domanda è questa: è possibile migliorare la comunicazione medica e scientifica relativamente alle malattie gravi?
Quando vedo filmati come quelli delle “Iene”, mi si chiude lo stomaco. Non riesco a pensare a un modo di comunicare in maniera efficace. Da un punto di vista logico dico che non hanno assolutamente senso.
Guardate sul sito del Corriere il dibattito tra Vannoni e Andolina da una parte e dall’altra la direttrice di Telethon, un ricercatore dell’università dell’università La Sapienza e una persona che lavorava per il ministro Balduzzi dall’altra. In sala ci sono dei pazienti che dicono di volere la cura. L’unica cosa che si può rispondere loro è che non è una cura, ma loro rispondono che la vogliono comunque. Di fronte a una situazione del genere, non riesco a pensare a un modo di far capire le cose.
C’è il paziente che dice “io non voglio più fare questa vita”. Il medico deve potere anche dire che per alcune malattie non c’è rimedio. Riconosciamo l’amara realtà: la medicina non è onnipotente.
Qualche anno fa c’era stata una polemica tra un’associazione di familiari di malati di Alzheimer e l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) perché l’AIFA non voleva concedere che i farmaci per gli schizofrenici fossero passati per i malati di Alzheimer. L’Agenzia spiegava che quei farmaci erano stati testati per una diversa patologia e che, se si voleva che fossero indicati per la malattia di Alzheimer, ci voleva uno studio ad hoc. La presidente dell’associazione era andata a fare una protesta con un cartello davanti a Montecitorio dicendo che non si sarebbe mossa finché non fosse stato deciso di passare il farmaco ai malati di Alzheimer. Due giorni dopo uscì uno studio che mostrava che i soggetti malati di Alzheimer che prendevano quel farmaco avevano un rischio di ictus dieci volte più alto.

Dunque, per concludere, ci sono dei motivi per cui non posso dire che il metodo Stamina sia valido.
Se è così efficace, perché non è stato fatto nessuno studio clinico controllato?
Perché non ci sono risultati osservazionali a lungo termine? (se non quelli presentati dalle “Iene” con i problemi di cui abbiamo detto)
Infine dobbiamo ribadire: la prova di efficacia deve essere a carico di chi propone. Non è possibile il contrario.

Sul blog Medbunker si propone di pensare a un modo diverso di vedere la notizia da parte dei media. Se invece di presentare Vannoni come il genio incompreso che viene ostacolato, fosse stata presentata così?

“Associazione privata somministrava cure non provate e secondo le indagini della magistratura, questo avveniva in locali inadeguati e non a norma su adulti e bambini gravemente malati. Sempre secondo le indagini, ancora in corso, ciò avveniva in cambio di donazioni di migliaia di euro. L'inventore della cura, che non è un medico, prometteva la guarigione da malattie inguaribili senza aver mai dato prova delle sue affermazioni. Il ministero della salute era al corrente di tutta la vicenda e, nonostante le diverse irregolarità ed i potenziali pericoli per la salute rilevati dalle ispezioni dei NAS, non ha subito impedito che ciò avvenisse”


Aggiungiamo alcune risposte del relatore alle domande del pubblico.

Una decina di anni fa è stato il momento delle cellule staminali. Sembrava che si potesse guarire tutto con le staminali. Purtroppo i risultati sono stati limitati. Ci sono alcuni casi in cui funzionano, soprattutto nella parte riparativa. Recentemente ho visto un articolo sulla riparazione del cuore dopo un infarto.
Quelle del cordone ombelicale sono conservate e dovrebbero funzionare soprattutto per malattie come la leucemia.
Il problema è che, nonostante i molti studi, i risultati pratici sono inferiori a quanto ci si aspettava. Probabilmente c’è qualcosa di più complesso che non siamo ancora riusciti a capire.

Non è la prima volta in Italia che c’è un caso come questo. C’è stato il caso Di Bella. Anche la scelta del ministro Balduzzi è stata fatta per tenere calme le acque. In sostanza, quel che ha detto è che la terapia è illegale e doveva essere fermata. E’ insorta la piazza e allora si è permesso di continuare, ma solo nei laboratori autorizzati. Di nuovo si è mossa la piazza e allora si è riportato tutto uguale a prima, ma solo per chi aveva già cominciato la terapia. E’ una scelta esclusivamente politica.
All’estero l’Italia è stata bastonata. Su “Nature”, una delle più importanti riviste scientifiche, un articolo diceva che in tutti gli altri posti, quando c’è una terapia non riconosciuta, è come il gioco del gatto col topo, con chi la propone che cerca di sfuggire allo Stato, mentre in Italia viene riconosciuta dallo Stato.
C’è stato un momento in cui si pensava che potesse essere accolta la proposta di Andolina di considerare il metodo Stamina non come i farmaci, ma come i trapianti. E qui si è mossa l’Ema, l’ente regolatore europeo dei farmaci, che ha chiarito che se l’Italia avesse fatto una cosa del genere sarebbe stata buttata fuori.
Mi è capitato di conoscere una persona che conosce Andolina da dieci anni e dice che è considerato persona eticamente irreprensibile. Ma siamo al solito discorso: il clinico può vedere i suoi casi, ma poi non ha i dati per la valutazione.

Sui giornali trovate un giorno che i pomodori fan bene per il cancro allo stomaco, il giorno dopo che fanno male. Alle “Iene” lo presentano proprio come un pugno allo stomaco, ma anche le agenzie di stampa non sempre presentano le notizie in modo chiaro. Vi posso fare l’esempio di una molecola sperimentata contro l’Alzheimer. C’è un modello di topo che imita l’Alzheimer. E’ un topo transgenico con un gene difettoso che fa accumulare nel cervello una proteina. Si fa la prova sul topo ed è perfetto: dopo il vaccino, tutto torna a posto. I giornali scrivono: “Trovata la cura per l’Alzheimer”. Si fanno i trial clinici e non si vede nessuna differenza tra chi ha ricevuto il vaccino e chi la soluzione fisiologica se non per due punti: tra quelli che han fatto il vaccino ci sono stati più casi di meningite e, tra coloro che sono morti, l’autopsia ha rivelato un calo del peso del cervello di un etto. Finché non si prova sulle persone, non si può dire con certezza.


Mauro Tettamanti - ricercatore dell'Istituto Mario Negri di Milano