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MAH, n.12, giugno 2008, pp.2-3

Fantaarcheologia
I TESCHI DI CRISTALLO
di Giorgio Castiglioni

Un caso piuttosto noto di archeologia “misteriosa” è quello dei teschi di cristallo. Si tratta, come dice il nome stesso, di sculture di cristallo che raffigurano teschi umani. Alcuni sono posseduti da musei, come quello acquistato dal British Museum nel 1897 o quello donato nel 1992 alla Smithsonian Institution, altri da privati come quello appartenuto a Frederick Mitchell-Hedges e poi a sua figlia Anna, quello dei coniugi Parks, chiamato “Max”, e quello di Nick Nocerino, chiamato “Sha Na Ra”. Secondo i loro cultori, questi oggetti sarebbero appartenuti a civiltà precolombiane e avrebbero un ruolo importante nelle loro culture. Su questi teschi è fiorita una serie di affermazioni sconcertanti, come si può constatare leggendo il libro di Chris Morton e Ceri Louise Thomas Il mistero dei teschi di cristallo, ripubblicato ora da Rizzoli (l’edizione originale è del 1997). Si legge che i teschi sarebbero giunti in America Centrale dal leggendario continente perduto di Atlantide (pp.56, 243, 422) e proverrebbero addirittura da un altro pianeta (pp.151-152, 337, 465-467, 512). Con i teschi si potrebbe comunicare per via medianica (pp.86, 89, 126, 133, 136, 435). Nel libro riescono a trovare spazio anche i Templari (p.141), la teoria (se così si può chiamarla) della terra cava (p.148) e la fotografia Kirlian (pp.341-344). Gli autori si lanciano pure in richiami alla fisica quantistica (pp.375-387) che dovrebbero dimostrare una presunta convergenza con presunte antiche conoscenze, ma che dimostrano piuttosto una scarsa conoscenza della fisica quantistica. Comunque anche senza prendere in considerazione queste stravaganti storie e le stupidaggini sul potere curativo dei teschi e in genere dei cristalli (pp.51, 89, 131-132, 228-229, 342) e limitandoci a considerare l’origine precolombiana dei teschi e dei presunti miti ad essi legati, i conti non tornano.
Non c’è un solo teschio di cristallo che provenga da uno scavo documentato.
Anna Mitchell-Hedges ha sempre sostenuto di aver trovato lei stessa il suo teschio di cristallo negli anni Venti del secolo scorso a Lubaantun, nell’Honduras Britannico (l’odierno Belize) durante una spedizione condotta da suo padre Frederick Mitchell-Hedges. Nei resoconti della spedizione, però, non c’è alcun cenno al teschio. Mitchell-Hedges ne parlò solo molti anni dopo e nel frattempo, come ha scoperto Jane Maclaren Walsh, della Smithsonian Institution, investigando sul caso, un teschio di cristallo era stato messo all’asta da Sotheby’s nel 1943 ed era stato poi acquistato, guarda caso, proprio da Frederick Mitchell-Hedges. Insomma, nonostante il tentativo di Anna di interpretare diversamente il fatto (un amico di famiglia avrebbe prestato dei soldi a Frederick ricevendo come pegno il teschio di cristallo e l’acquisto scovato da Walsh non sarebbe altro che la restituzione della somma all’amico e del teschio a Mitchell-Hedges – vedi Morton e Thomas, pp.70-71), parrebbe che il teschio non sia stato nominato ai tempi della spedizione per il semplice motivo che non c’era. E Walsh crede che non ci fosse neppure Anna. “Non penso che sia mai stata a Lubaantun” mi ha detto quando le ho chiesto della vicenda “Credo che Anna abbia inventato la storia del ritrovamento tra gli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70”.
Il teschio “Max” dei coniugi Jo Ann e Carl Parks, che dicono di averlo ricevuto nel 1980 da un guaritore tibetano, Norbu Chen (il quale a sua volta lo avrebbe ricevuto da uno sciamano guatemalteco), sarebbe stato trovato in Guatemala tra il 1924 e il 1926, ma non c’è nulla di documentato (Nickell 2007, p.71; Morton e Thomas 2008, pp.132-133).
Nick Nocerino, da parte sua, “liquida i siti ufficiali con un gesto sprezzante della mano” (Morton e Thomas 2008, p.143). Il suo teschio di cristallo l’ha trovato con l’archeologia “metapsichica”, ovvero “la capacità di localizzare antichi tesori e opere d’arte grazie a un’intuizione che entra in misteriosa consonanza con i luoghi in cui essi sono sepolti” (ivi, p.141). E sempre “per via metapsichica” il teschio gli avrebbe detto di chiamarsi Sha Na Ra (ivi, p.142). “Secondo Nocerino,” riferiscono Morton e Thomas (ivi, p.143) “gli archeologi sono eccessivamente burocratici: registrano con precisione il luogo in cui ogni pezzo è stato rinvenuto, ne misurano il livello rispetto al suolo, ed elencano tutti gli altri pezzi rinvenuti nelle vicinanze”. Insomma, per lui “in scavi del genere non si trova proprio niente!” (ivi, p.326) E in un certo senso ha ragione, perché sembra ovvio che lui ha potuto “trovare” un teschio di cristallo solo perché nessuno lo controllava.
In un suo articolo per “Archaeology” Jane Walsh fa notare che i teschi di cristallo “dal punto di vista stilistico o tecnico hanno ben poco a che fare con qualunque raffigurazione veramente precolombiana di teschi, che sono un motivo importante nell’iconografia mesoamericana”.
I sostenitori dei teschi di cristallo dicono che se ne parlava già nelle leggende dei popoli americani. Morton e Thomas dedicano alcuni capitoli ai racconti di presunti custodi di tradizioni secolari di popoli maya e nativi americani, racconti nei quali i teschi di cristallo hanno un ruolo importante. Tuttavia di queste presunte tradizioni non si trova traccia alcuna prima che comparissero sulla scena i teschi e la “mitologia” legata ad essi (c’è anche un tocco di comicità involontaria quando i due autori parlano con enfasi di “insegnamenti segreti […] che fino a quel momento non erano mai stati divulgati” – p.449). Questo fa pensare che in realtà si tratti di un folclore inventato negli ultimi decenni che si vuole far passare per antico. Anche Jane Walsh la pensa così. “Hai ragione quando dici che è folclore dei nostri giorni applicato retrospettivamente” mi ha detto “Io credo che abbia origine dal teschio Mitchell-Hedges una volta che è diventato di proprietà di Anna”.
Nel 1996 al British Museum sono state analizzate le tracce di lavorazione presenti sul teschio là conservato e su quello della Smithsonian Institution, confrontandole anche con quelle rilevabili su un oggetto sicuramente precolombiano, un calice di cristallo trovato a Oaxaca. Il verdetto degli studiosi che hanno condotto le analisi è che i segni riscontrati sui teschi, a differenza di quelli trovati sul calice, indicano una lavorazione con strumenti non conosciuti in America prima dell’arrivo degli europei (Sax et al. 2008). Morton e Thomas (pp.324-328) hanno affermato che il British Museum non avrebbe però rivelato i risultati delle analisi sui teschi dei Parks e di Nocerino. Secondo Jo Ann Parks gli studiosi dovevano aver “scoperto qualcosa che non volevano far sapere al pubblico”. Anche il programma di Rai Due “Voyager” ha affermato che il museo si sarebbe rifiutato “inspiegabilmente” di comunicare i risultati. In realtà, una spiegazione è stata data. Gli stessi Morton e Thomas mostrano nel loro libro di essere a conoscenza del fatto che il British Museum ha come norma quella “di non eseguire analisi di oggetti di proprietà privata” (p.324). “Morton e Thomas lo sapevano sin dall’inizio” mi ha detto Jane Walsh, che faceva parte del gruppo che aveva analizzato i teschi “Hanno portato Max e Sha Na Ra senza consultare me o il British Museum e di conseguenza il British Museum si è attenuto alla sua norma”. E i presunti risultati non svelati? Anche qui Walsh è categorica: “Non c’era alcun risultato da svelare perché i soli esami veramente scientifici sono stati condotti sul teschio del British Museum, su quello della Smithsonian e sul calice di cristallo di rocca precolombiano trovato a Oaxaca”.
Nonostante i tentativi dei loro cultori di attribuirli ad età più antiche, non c’è alcuna prova che un solo teschio di cristallo sia mai esistito prima del XIX secolo. Solo allora cominciarono ad apparire per essere venduti a musei o a privati spacciandoli per opere di civiltà precolombiane (Walsh 2008; Nickell 2007). In tempi ancora più recenti, poi, è nata quella sorta di mitologia che li accompagna.

FONTI:
Chris Morton e Ceri Louise Thomas, Il mistero dei teschi di cristallo, Milano : Rizzoli, 2008 (ed. orig. 1997, 1a ed. italiana: Milano : Sonzogno, 1999)
Joe Nickell, Adventures in paranormal investigation, Lexington : University of Kentucky Press, 2007, pp.67-73.
Jane Maclaren Walsh, Legend of the Crystal Skulls, in “Archaeology”, 61 (2008) – in rete qui: http://www.archaeology.org/0805/etc/indy.html
Margaret Sax, Jane M. Walsh, Ian C. Freestone, Andrew H. Rankin, Nigel D. Meeks, Study of two large crystal skulls in the collections of the British Museum and the Smithsonian Institution, 2008 – in rete qui: http://www.britishmuseum.org/research/research_news/studying_the_crystal_skull.aspx
Il mistero dei teschi di cristallo, “Voyager”, Rai Due, 26 maggio 2008; riassunto di Fljll Flòi nel forum di Bibliotopia: http://bibliotopia.forumfree.net/?t=28453647
Jane Maclaren Walsh, comunicazione all’autore, 28 maggio 2008.