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MAH, n.17, settembre 2009, pp.3-4
LIBRI
Dennis Mercury, I
maestri dell’inganno : storie, documenti e rivelazioni di falsi clamorosi
e di abili falsari, Milano : Vallardi, 2009.
Il libro presenta una serie di storie di frodi compiute in vari campi. Ci sono
falsari, come Han van Meegeren e Eric Hebborn, che hanno dipinto quadri che
tanti critici e acquirenti (musei compresi) hanno preso per originali. C’è
chi ha stampato in proprio banconote o francobolli. C’è la truffa
del cranio di Piltdown: presentato come il cranio di un progenitore dell’uomo,
era stato assemblato con un teschio umano e una mandibola di scimmia nella quale
erano stati inseriti denti umani.
Per quanto riguarda l’archeologia, l’autore ricorda le tavole di
Sinaia, che si voleva far passare per cronache redatte dai Daci. Prosegue con
i guerrieri di terracotta acquistati dal prestigioso Metropolitan Museum of
Art di New York che li presentò al pubblico nel 1933. Non tutti furono
però convinti che fossero opere etrusche e le analisi chimiche rivelarono
che si trattava in effetti di falsi. In tempi più recenti, il Royal Ontario
Museum ha esposto la presunta urna funeraria di Giacomo, fratello di Gesù.
Il reperto è realmente antico, ma l’iscrizione che la attribuisce
a Giacomo è un’aggiunta fraudolenta di questi anni. D’altra
parte, anche il solo fatto che un oggetto che avrebbe dovuto avere un tale valore
storico fosse stato inviato in “una semplice scatola di cartone protetta
unicamente da un leggero foglio di plastica a bolle d’aria” (p.132)
avrebbe dovuto far sorgere più di un dubbio.
La sezione sulle frodi scientifiche comprende Albert Abrams e le sue presunte
cure elettromagnetiche, il sudcoreano Hwang Woo-suk e il suo annuncio, che si
scoprì presto essere falso, di aver clonato un essere umano, e Paul Kammerer.
Kammerer voleva dimostrare l’ereditarietà dei caratteri acquisiti,
ma quando si analizzò la colorazione scura sugli arti di un suo esemplare
di rospo ostetrico si scoprì che non era il risultato di una presunta
trasmissione ereditaria, ma di una fraudolenta iniezione di inchiostro (si è
poi discusso se il colpevole dell’imbroglio fosse lo stesso Kammerer o
altra persona). Nel libro sono ricordati anche gli esperimenti con i quali lo
studioso austriaco intendeva dimostrare che, in virtù della trasmissione
alla prole di caratteri acquisiti, nel giro di alcune generazioni si poteva
passare da una specie di salamandra ad un’altra affine, ma distinta. Le
specie in questione erano Salamandra atra e S. salamandra.
Nel libro (p.150) invece di quest’ultima è citata erroneamente
un’altra specie, Ambystoma maculatum, chiamata in inglese spotted
salamander, nome usato anche per S. salamandra – potrebbe
essere stato questo a creare l’equivoco. Le due specie sono molto simili
nell’aspetto, ma appartengono a famiglie diverse. Le affermazioni di Kammerer
erano comunque infondate, ma non avrebbe certo osato sostenere che un salamandride
(come S. atra) potesse trasformarsi in un ambistomide (come A.
maculatum), o viceversa, nel giro di qualche generazione.
Altre due parti del libro sono dedicate a falsi letterari (tra i quali i famigerati
Protocolli dei Savi di Sion) e a impostori e usurpatori. Il libro manca purtroppo
di note e di bibliografia, che sarebbero invece utili al lettore che volesse
approfondire la conoscenza dei casi trattati.
Alex Boese, Elefanti
in acido e altri bizzarri esperimenti, Milano : Baldini Castoldi Dalai,
2009.
Il libro presenta il resoconto di diversi esperimenti, quasi
tutti descritti in pubblicazioni su riviste anche quotate, ma che, per il tema
scelto, le conclusioni tratte, il modo in cui sono stati condotti, appaiono,
come dice il titolo, “bizzarri”. Decisamente bizzarri furono, per
esempio, gli esperimenti di James McConnell con le planarie (pp.83-90). McConnell
somministrava a questi animaletti uno stimolo luminoso e quindi una scossa elettrica,
in modo che associassero l’uno all’altro. Se una planaria viene
tagliata a metà, entrambe le parti generano la parte del corpo mancante.
Secondo McConnell, se si tagliava una planaria addestrata, non solo la bestiola
derivata dalla parte con la testa, ma anche quella derivata dalla parte con
la coda manteneva memoria dell’esperienza fatta e di fronte allo stimolo
luminoso si comportava come se stesse per essere colpita da una scossa. E non
era tutto: a suo dire, se planarie non addestrate erano nutrire con frammenti
di planarie addestrate cominciavano a mostrare gli atteggiamenti indotti dall’addestramento.
McConnell ipotizzò che la memoria fosse conservata nell’Rna. George
Ungar presentò risultati simili con i topi, asserendo che, dopo aver
addestrato alcuni topi ad aver paura del buio, aveva iniettato estratti del
loro cervello in altri esemplari e questi avevano cominciato a mostrare tale
paura. Tuttavia in nessun esperimento condotto rigorosamente si è mai
riusciti a ripetere i loro risultati.
Per Lawrence Le Shan era possibile l’apprendimento durante il sonno. I
suoi esperimenti sembravano dimostrare che, anche se addormentata, una persona
poteva catturare delle nozioni che venivano enunciate. William Emmons e Charles
Simon vollero provare a ripetere la prova, ma, prima di dare inizio alle prove,
verificavano con l’elettroencefalogramma che il soggetto stesse davvero
dormendo. Non riscontrarono alcun apprendimento (pp.104-108).
Può sembrare curioso il ruolo dello psicologo che finge di credere alla
profezia di un’imminente fine del mondo per farsi accogliere nella comunità
degli adepti in modo da poterla studiare dall’interno e vedere cosa sarebbe
successo quando il fatidico giorno fosse arrivato e passato senza problemi.
E’ quanto fece Leon Festinger, con alcuni collaboratori, con i seguaci
di Dorothy Martin, che aveva annunciato la fine del mondo per il 21 dicembre
del 1954. Festinger e colleghi riferirono che, contrariamente a quanto ci si
sarebbe potuti aspettare, il fallimento della profezia non aveva sancito la
fine del ruolo della profetessa, ma aveva addirittura consolidato la fiducia.
Invece che prendere atto che la predizione era errata, conclusero che la catastrofe
era stata sventata grazie alla loro opera. Festinger lo definì un caso
di “dissonanza cognitiva”: se si è investito molto su un’idea,
di fronte alla smentita, invece che abbandonarla, si cercano improbabili conferme
(pp.273-281).
Nancy Snyderman,
Il libro che il tuo medico non ti farebbe mai leggere, Milano : Sperling
& Kupfer, 2009.
Cominciamo dicendo che il titolo scelto per l’edizione
italiana è davvero infelice. Infatti l’autrice, lei stessa un medico,
non dice affatto che quanto scrive nel suo libro sia qualcosa che “il
tuo medico non ti farebbe mai leggere”. In questo stesso libro, anzi,
definisce “calunnie belle e buone […] tutte le affermazioni che,
anche se girate in modi diversi, alla fine equivalgono alla frase «ciò
che il medico (o il governo) non vuole farvi scoprire»” (p.190).
L’intento di Snyderman non è certo quello di svelare presunte verità
tenute nascoste dalla medicina, ma, al contrario, quello di smentire, sulla
base della scienza medica, alcuni “miti” che possono essere pericolosi
(il titolo originale del libro è Medical myths that can kill you).
L’autrice invita per esempio a diffidare di chi presenta tanti prodotti
“naturali” come un’alternativa più salutare ai farmaci,
facendo notare che non è affatto vero che “ciò che è
«naturale» è automaticamente «sicuro»”.
Anzi, scrive, “vitamine, minerali, erbe e altre sostanze naturali in vendita
sugli scaffali dei negozi non sono sottoposti ai rigorosi controlli riservati
ai farmaci” e “alcuni di questi rimedi possono essere pericolosi
e in alcuni casi mortali” (pp.164-165).
Un’altra pericolosa ideologia è quella di coloro che promuovono,
senza una base scientifica, campagne contro le vaccinazioni ai bambini. L’autrice
ritiene al contrario che “i vaccini rappresentino il più grandioso
progresso messo a segno dalla medicina nel secolo scorso” e ribadisce
che “sono tuttora indispensabili”. Non bisogna credere, ammonisce
Snyderman, che certe “malattie del passato siano completamente debellate.
Se smettessimo di vaccinarci, queste patologie diventerebbero nuovamente moneta
corrente”, come lo sono, purtroppo, in paesi del Terzo Mondo dove si può
“toccare con mano cosa significhi non vaccinare una popolazione”
(pp.52-56).
Proprio perché l’autrice dà prova altrove di un sano atteggiamento
scientifico, si resta un po’ sorpresi quando l’autrice scrive che
ci sono alcune “zone grigie” in cui l’omeopatia sembra essere
efficace, anche perché poco prima aveva giustamente citato il noto studio
pubblicato nel 2005 sulla prestigiosa rivista medica “Lancet” che
aveva portato alla conclusione che i presunti benefici dell’omeopatia
siano in realtà da attribuire semplicemente all’effetto placebo.
Snyderman comunque non ha dubbi sul fatto che l’omeopatia non possa essere
usata per malattie gravi, né per sostituire le vaccinazioni infantili
(pp.181-182).