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MAH, n.26, dicembre 2011, pp.2-4
LIBRI
Andrea Vitullo, Leadershit
: rottamare la mistica della leadership e farci spazio nel mondo, Milano
: Ponte alle Grazie, 2011.
L’autore parte dalla premessa, indubbiamente corretta, che attorno alle
parole “leader” e “leadership” aleggia una sorta di
“mistica” che poco ha a che vedere con doti concrete e che sarebbe
utile “rottamare”. Nella prima parte del libro Vitullo si propone
di demolire questa concezione della leadership, paragonata ai “capricci
[…] di un bambino viziato” e al “disturbo narcisistico di
personalità” (pp.23-24), osservando, per esempio, come la struttura
gerarchica può essere un grosso freno all’attività (p.61)
e come suonino vuote “parole come performance, ottimizzazione, produttività,
previsione”. Peccato, però, che poche righe sopra lui stesso proponga
di “creare setting per progettare e ricercare un nuovo genere di umano”
(p.99).
Se nella critica alla “mistica della leadership” Vitullo mostra
un certo brio (a parte il gioco di parole un po’ scurrile che dà
origine al titolo), decisamente più debole è la parte in cui vuole
avanzare una proposta alternativa e, fatta eccezione per il valido intervento
della teologa Antonietta Potente, decisamente di altro spessore rispetto a tutti
gli altri, non più convincenti dell’autore sono le persone da lui
interpellate per una serie di interviste incluse nel libro.
Non mancano, nelle interviste, toni altisonanti, in particolare nelle risposte
di Lorella Zanardo che parla del “del coraggio di fare scelte alte, non
scegliere una professione ma scegliere di essere vivo” (p.153), ma, nonostante
la sua convinzione di aver addirittura dato una “dimostrazione che si
può cambiare il mondo” (p.161), neppure il suo intervento appare
molto concreto nel dare una proposta alternativa.
Molto fumosi appaiono i discorsi, disseminati qua e là nel testo dell’autore
(si vedano in particolare le pp.109-112) e nelle interviste, sull’opposizione
tra “femminile” e “maschile” e sul “lasciarsi
pervadere dal femminile”. Marina Terragni comincia così la sua
intervista: “Tutti questi dualismi sono invenzioni maschili. Come un ritorno
del rimosso. Nel momento in cui il maschio si concepisce come assoluto, l’altra
polarità viene annullata e negata. La madre è cancellata, dimenticata.
[…] Il privato è femminile e il pubblico è maschile, il
respiro individuale è maschile, quello cosmico più femminile.
Il corpo è femminile, la mente maschile” (pp.166-167). Parole come
queste potranno riscuotere l’approvazione di qualche personaggio del Codice
da Vinci di Dan Brown, ma hanno ben poco a che fare con le donne (e gli uomini)
reali.
Roberto Giacobbo,
Aldilà : la vita continua?, Roma : Rai Eri ; Milano : A. Mondadori,
2011.
Spinto dal successo della sua trasmissione televisiva “Voyager”,
Roberto Giacobbo ha pubblicato un altro libro. Il tema è, questa volta,
la vita oltre la morte.
L’autore cita (p.76) le sorelle Fox, figure ben note nella storia dello
spiritismo, ma non dice una parola sul fatto che i presunti fenomeni che le
resero celebri hanno spiegazioni del tutto terrene e che una di loro, Margaret,
aveva confessato che avevano fatto ricorso a trucchi (anche se poi cercò
di ritrattare l’ammissione).
Parla della sensitiva statunitense Sylvia Browne (pp.77-86) che avrebbe la “capacità
di percepire una gamma più ampia di frequenze vibrazionali” e grazie
a questa sua particolare sensibilità sarebbe in grado di cogliere anche
una “frequenza vibrazionale dell’aldilà” (p.78). Peccato
che si dimentichi di spiegare cosa mai sia questa “frequenza vibrazionale”.
Di certo non ha nulla a che vedere con ciò che la fisica chiama “frequenza”
e “vibrazione”.
Lo stesso si può dire per la parola “energia” usata da Brian
Weiss, il quale, in affermazioni riportate nel libro, che gli dedica ampio spazio
(pp.131-153) dice di credere che “tutto sia energia” (p.136) e che
“anche una piccola parte di questa energia è in grado di sentire
l’intero universo” (p.137). Weiss, psichiatra statunitense, è
uno dei più noti sostenitori dell’idea che le persone abbiano vissuto
vite precedenti e che sia possibile farle ricordare con l’ipnosi regressiva.
Egli stesso dice che “la terapia di regressione e l’esistenza di
vite passate non sono ancora accettate” dall’American Psychiatric
Association (p.134). Tuttavia né per Weiss né per Giacobbo, che
lo cita con approvazione, sembra essere un grosso problema l’uso di una
terapia che tale prestigiosa associazione professionale e, più in generale,
la comunità scientifica ritengono del tutto priva di fondamento. Si può
notare, d’altra parte, il trucco linguistico con cui affermazioni o pratiche
non accettate vengono presentate come “non ancora accettate”. E’
un classico delle pseudoscienze il tentativo di far credere che il rifiuto delle
loro idee dipenda non dalla mancanza di prove a favore, ma dal presunto fatto
che sarebbero tanto all’avanguardia che la scienza (anzi, la “scienza
ufficiale”) non sarebbe ancora pronta ad accoglierle.
Il fatto che l’ipnosi regressiva non abbia fondamento scientifico non
impedisce al libro di usarla come base per speculazioni che, ovviamente, altrettanto
mancano di scientificità: troviamo così la domanda se può
essere che sia in altre dimensioni “che vanno, grazie all’ipnosi
regressiva, le menti di alcuni uomini che sostengono di ricordare altre vite”
(p.165). Non sarebbe l’unico modo per raggiungere altre dimensioni: Giacobbo
riferisce che lo “zed” nella piramide di Cheope sarebbe per Mario
Pincherle e Graham Hancock “una macchina che serviva per “viaggiare”
verso altre dimensioni” e, visto che è in tema di piramide, aggiunge
pure che “secondo altri ricercatori, nella piramide di Cheope il tempo
scorrerebbe in alcuni rari momenti in maniera diversa.” (p.30).
Parlando di Gustavo Rol, l’autore si chiede “quali sarebbero le
grandi prove fornite dai denigratori”. E’ facile notare come la
questione sia impostata al contrario di come si dovrebbe fare: se qualcuno fa
un’affermazione che esce dalle conoscenze scientifiche, è a lui
che va chiesto di portare delle prove, sottoponendole al controllo degli studiosi.
In caso contrario, diffidare di tale asserzioni non è certo “denigrare”,
ma semplicemente usare il buon senso. Giacobbo prosegue con la risposta alla
sua domanda: “In realtà è una, una soltanto: Rol ha sempre
rifiutato di sottoporsi a un confronto con un prestigiatore” (p.74). Sembra
non rendersi conto che il permettere la verifica delle proprie affermazioni
non è “una soltanto” delle richieste perché siano
accettate scientificamente, ma ne è un imprescindibile fondamento.
Giacobbo riesce comunque a regalarci un sorriso quando, come premessa al resoconto
di un’esibizione di due sensitive inglesi in un albergo romano a cui aveva
assistito, scrive: “mi sforzai di mettere da parte il mio scetticismo”
(p.68). Non è certo necessario un grande sforzo per rimuovere la quantità
di scetticismo che è solito mostrare! In ogni caso, basta leggere la
sua stessa descrizione per capire il trucco, peraltro ben noto. Giacobbo riferisce
che una sensitiva, per individuare chi tra il pubblico fosse legato allo spirito
contattato, aveva cominciato a “fare domande per operare una prima selezione”.
Poi “la medium continuò a fare domande e, via via che forniva ulteriori
dettagli, sempre più mani si abbassarono” (pp.68-69). Il procedimento
usato dalla sensitiva è simile a quello usato in alcuni giochi in cui
una serie di domande o la scoperta di successivi indizi fanno escludere oggetti
o persone finché non resta che quello che doveva essere indovinato.
Severino Colombo,
101 stronzate a cui abbiamo creduto tutti almeno una volta nella vita,
Roma : Newton Compton, 2011.
Il titolo non è proprio elegante, ma il libro è
ben fatto e raggiunge il suo obiettivo di raccontare, in modo sintetico, ma
preciso, una cospicua quantità di storie false che si è voluto,
in diversi tempi e modi, far passare per vere. Ci sono leggende metropolitane
come l’autostoppista fantasma (pp.9-10) o il furto di rene (pp.61-62),
gli alligatori nelle fogne di New York (pp.75-76) o il topo esotico scambiato
per un cagnolino (pp.81-82). A proposito di topi, gli elefanti ne avrebbero
paura: una storia molto conosciuta, ma falsa (pp.113-114 – anche se non
è del tutto preciso dire che è il film Dumbo “all’origine
della convinzione che gli elefanti abbiano paura dei topi”: la storia
era raccontata già nei secoli passati). Sono ricordati falsi e truffe
come la donazione di Costantino (pp.44-45), il gigante di Cardiff, una scultura
di pietra spacciata per i reali resti pietrificati di un antico uomo di altezza
spropositata (pp.92-93), il caso di Binjamin Wilkomirski, che si inventò
un passato nei campi di concentramento nazisti (pp.171-173), le teste scolpite
nello stile di Amedeo Modigliani (pp.18-19). C’è la storia dell’albero
degli spaghetti di cui si parlava un documentario della prestigiosa BBC trasmesso
l’1 aprile 1957: non c’è bisogno di aggiungere che si trattava
di un pesce d’aprile (pp.125-127). Non mancano bufale recenti come il
viaggiatore nel tempo John Titor (pp.85-86) e la storia dei “gattini bonsai”,
che scatenò indignazione e proteste di chi credeva che davvero i micetti
fossero cresciuti, tarpandone lo sviluppo, in barattoli di vetro (pp.78-79),
la Biowashball, la “pallina magica” per fare il bucato (pp.53-54
– cfr “Mah”, n.10, giugno 2009), e le presunte piramidi di
Bosnia, in realtà colline (pp.122-123 – cfr “Mah”,
n.18, dicembre 2009).
Enzo Pennetta, Gianluca
Marletta, Extraterrestri : le radici occulte di un mito moderno, Soveria
Mannelli : Rubbettino, 2011.
Nella prima parte del libro, Enzo Pennetta ripercorre alcuni
momenti della storia dell’ufologia, sottolineando come molti personaggi
dell’ufologia fossero legati a occultismo e new age (con l’interpretazione,
a tratti forzata, del film 2001 odissea nello spazio come “un vero e proprio
«manifesto» della Nuova Era” – p.51).
La seconda parte, di Gianluca Marletta, si apre con un’analisi della “archeologia
astronautica”, ovvero le idee di quegli autori, come i famosi Erich von
Däniken e Zecharia Sitchin, che ritengono che in tempi passati viaggiatori
alieni hanno raggiunto la Terra influenzando lo sviluppo delle civiltà
e magari, addirittura, l’evoluzione umana con interventi di ingegneria
genetica (p.72). L’autore analizza anche i rapporti tra queste fantasie
e la religione e sostiene che, nella loro reinterpretazione dei testi sacri,
questa fantaarcheologia diventa uno “strumento di critica non solo della
storiografia ufficiale, ma anche della religiosità di tipo tradizionale”
(p.74).
Marletta si mostra alquanto dubbioso non solo sul fatto che creature extraterrestri
abbiano visitato o visitino la Terra, ma anche sulla possibilità stessa
dell’esistenza di vita aliena. Citando la famosa equazione di Frank Drake,
che indicherebbe in base a una serie di parametri il numero di possibili civiltà
aliene, sostiene che uno di questi parametri, ovvero la frazione di pianeti
su cui si è sviluppata la vita, sarebbe stato in genere sovrastimato
dagli studiosi che hanno voluto provare a definirlo. Secondo l’autore,
sarebbe più corretta la valutazione di Chandra Wickramasinghe, per il
quale tenderebbe a zero. Con un fattore tendente a zero, anche l’intero
prodotto tenderebbe a zero (p.121 – si deve osservare, comunque, che Wickramasinghe
arriva a una conclusione diversa, ovvero all’ipotesi della “panspermia”,
secondo la quale la vita sul nostro pianeta - e potrebbe valere anche per altri
– sarebbe partita da microrganismi giunti dallo spazio).
Piuttosto contorta è l’argomentazione che porta l’autore,
sulla base di queste speculazioni, a polemizzare con l’evoluzionismo.
Secondo Marletta, “per salvare la possibilità dell’incontro
con altre forme di vita nell’universo bisognerebbe quindi aumentare di
molto la possibilità della formazione spontanea della vita, ma questo
[…] significherebbe […] dover ammettere che la vita stessa non si
sia formata ed evoluta secondo le modalità puramente «casualistiche»
teorizzate dai biologi evoluzionisti. L’affermazione che possano esistere
civiltà extraterrestri avrebbe quindi come prezzo la rinuncia alla teoria
evoluzionistica darwiniana” (pp.121-122).
Già in precedenza l’autore aveva messo nel mirino l’evoluzionismo
scrivendo che l’“archeologia astronautica” è la “controparte
«eretica» dell’evoluzionismo dominante”: a suo parere
in una “visione rigidamente evoluzionistica della storia” sarebbe
difficile spiegare le piramidi di Giza o i templi di Malta e quindi scrittori
come Sitchin, colmando tali presunte “aporie evoluzionistiche” con
l’intervento degli alieni, “null’altro fanno che portare alle
«logiche conseguenze» i presupposti concettuali della cultura in
cui sono nati” (pp.73-74). In realtà, Marletta cade anch’egli
nell’errore di prospettiva degli autori che critica, dal momento che non
vi è nessuna ragione per ritenere improbabile o addirittura impossibile
che l’evoluzione dell’uomo e delle sue conoscenze, come la scienza
e la storia ce le descrivono, abbiano portato a tali risultati.