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MAH, n.28, giugno 2012, pp.1-4

LIBRI

David Goodstein, Il Nobel e l’impostore : fatti e misfatti alla frontiera della scienza, Bari : Dedalo, 2012.
L’autore del libro è un fisico che si è occupato in prima persona, per conto del California Institute of Technology, del problema dei comportamenti scorretti nelle scienze. Goodstein ritiene inutile “stilare una lista di princìpi etici apparentemente plausibili per poi scoprirne l’inapplicabilità o addirittura la pericolosità per l’attività scientifica” (p.21). Uno scienziato, per esempio, dovrebbe mettere in luce allo stesso modo punti forti e deboli delle sue idee? Un senso critico è senza dubbio auspicabile, ma uno scienziato non lavora in isolamento e i suoi contributi saranno presi in considerazione e messi alla prova da altri e dunque, “finché c’è qualcuno che lo fa al posto suo, il nostro scienziato non ha bisogno di impegnarsi a fare l’avvocato del diavolo di se stesso” ed è normale che dia “il massimo risalto possibile alle idee importanti, lasciando agli altri il compito di metterne in evidenza limiti e difetti” (pp.26-27). Ci sono invece principi che non possono essere elusi e comunicare dati falsi è evidentemente uno di questi. “Quando leggete un articolo scientifico” scrive Goodstein “siete liberi di accettare o meno le sue conclusioni ma dovete aver sempre la certezza che la descrizione delle procedure utilizzate e dei risultati ottenuti sia affidabile” (p.19 – è stata leggermente modificata la parte finale della traduzione dell’edizione italiana, che si concludeva con “e i risultati ottenuti siano affidabili”. Il testo originale è “[…] you must always be confident that you can trust its account of the procedures that were used and the results produced by those procedures” – On fact and fraud, Princeton : Princeton University Press, 2010, p.2).
Ciò non fu garantito da Vipin Kumar e da James Urban, due ricercatori del Caltech. Il primo manipolò una figura di un suo articolo per far sembrare che avesse lavorato su un numero maggiore di linee cellulari, mentre il secondo inventò dei dati per un articolo pubblicato poco prima che si scoprisse l’inganno. Jan Hendrik Schön divenne celebre per i suoi studi sui semiconduttori organici, ma si scoprì che i dati da lui presentati erano falsi. Victor Ninov affermò di essere riuscito a produrre nel ciclotrone di Berkeley l’elemento 118. Tuttavia, nessuno riusciva a riprodurre il suo risultato e un’inchiesta trovò le prove della falsificazione dei dati.
Goodstein assolve invece Robert Andrews Millikan, premio Nobel per la fisica nel 1923, cui è dedicato il secondo capitolo del libro. Contro Millikan è stata avanzata l’accusa che, per un suo famoso articolo sulla determinazione della carica elettrica elementare, abbia selezionato, tra le prove effettuate, quelle che confermavano la sua ipotesi, scartando le altre. In effetti lo scienziato riportò i dati relativi a 58 delle gocce di olio studiate, mentre nei suoi appunti sono registrate prove con 175. Goodstein fa però notare che Millikan non prese in considerazione nessuna delle prove svolte prima di una certa data, compresa una che nei suoi appunti era definita “la migliore che abbia mai trovato”, e quindi ritiene che l’omissione sia legata semplicemente al fatto che “quegli esperimenti iniziali appartenessero tutti a una fase preparatoria”. Ci sono anche omissioni successive, ma Goodstein non rileva “pregiudizi particolari” e ritiene che siano state scartate solo perché le misurazioni non avevano la qualità desiderata. Inoltre, anche utilizzando i dati di tutte le gocce, i risultati non sarebbero stati molto diversi. La conclusione di Goodstein è che non ci fu alcuna frode e che il lavoro di Millikan merita di essere ricordato come “un puro e semplice capolavoro”.
Un capitolo è dedicato alla fusione fredda. L’autore afferma chiaramente di non credere che si tratti di un fenomeno reale. Altrettanto chiaramente, però, scrive che gli esperimenti di Stanley Pons e Martin Fleischmann, di Steven Jones, di Francesco Scaramuzzi e dell’Enea erano “errori in buona fede che nulla avevano a che vedere con la frode”, non inganno, ma “autoinganno”.

Claudio Bossi, Titanic, Milano : De Vecchi, 2012.
In questo libro dedicato al più noto disastro navale, l’autore dedica un capitolo alle “leggende e voci” sorte intorno alle drammatiche vicende (pp.225-244). Nacque, per esempio, la leggenda metropolitana che il Titanic trasportasse un sarcofago con una mummia egizia. Secondo questa storia, nella camera del tempio in cui era stata trovata, era stata incisa una maledizione contro i profanatori che avessero portato via il sarcofago e una serie di disgrazie e morti avrebbe accompagnato le sue vicende fino all’affondamento con il Titanic. Secondo un’altra versione di questa leggenda, il sarcofago sarebbe stato recuperato e si sarebbe tentato nuovamente di spedirlo prima con la Empress of Ireland, affondata nel 1914, e poi con il Lusitania, colpito e affondato da un sommergibile tedesco nel 1915.
Un’altra leggenda racconta che allo scafo del Titanic era stato assegnato dai protestanti dei cantieri irlandesi il numero 390904 che, se scritto con il 4 aperto in alto, letto allo specchio si trasformava nella scritta “No Pope” (niente papa). L’affondamento sarebbe stato quindi un castigo divino per l’atto offensivo.
Ci sono poi le “straordinarie affinità” tra le tragiche vicende del Titanic, accadute nel 1912, e quelle descritte anni prima nel romanzo Futility di Morgan Robertson (1898), nel quale una nave di nome Titan e con caratteristiche tecniche molto simili a quelle del Titanic va a picco dopo la collisione con un iceberg. Come nel caso reale, anche nel romanzo il numero delle scialuppe di salvataggio era drammaticamente insufficiente. Come scrive Bossi, però, “diverse informazioni potevano già essere disponibili all’autore”. La White Star Line, che poi realizzerà il Titanic, aveva già “annunciato la costruzione di transatlantici che […] non erano così lontani da quel tipo di grandiosità. Il tema delle scialuppe non sufficienti a bordo delle navi era poi un problema risaputo”. A quel che scrive l’autore, si può aggiungere che anche il pericolo rappresentato dagli iceberg era noto e che già vi erano stati incidenti per tale causa, uno dei quali, nel 1880 (quindi diciotto anni prima del romanzo di Robertson), coinvolse una nave di nome Titania.

Marco Ciardi, Le metamorfosi di Atlantide : storie scientifiche e immaginarie da Platone a Walt Disney, Roma : Carocci, 2011.
Da quando Platone la descrisse, Atlantide ha continuato a stimolare ipotesi più o meno scientifiche e opere di fantasia. L’autore ne ripercorre la storia in un volume agile (meno di 200 pagine), ma al contempo ricco di informazioni.
La collocazione classica di Atlantide è nell’Oceano Atlantico. Secondo alcuni autori, non sarebbe stata altro che l’America (pp.29-33). La versione più nota, però, seguendo quanto raccontò il filosofo greco, vuole che Atlantide sia un’altra terra, sprofondata nelle acque dell’oceano in seguito a un cataclisma. Le Canarie e le Azzorre vennero indicate come quel che restava sopra la superficie di un continente sommerso (pp.33-38). A favore dell’ipotesi di un continente perduto nell’Atlantico sembravano giocare anche considerazioni di biogeografia: la presenza in passato di una terra poi scomparsa e di ponti di terra che lo unissero da una parte alle Americhe e dall’altra a Europa e Africa avrebbe spiegato le somiglianze di fauna e flora sui due lati dell’oceano. Su basi analoghe, lo zoologo Philip Lutley Sclater aveva ipotizzato un altro continente perduto che poteva spiegare come mai i lemuri (in riferimento ai quali l’ipotetica terra fu chiamata Lemuria) si trovassero nel Madagascar e, separati da un oceano, nel subcontinente indiano (pp.52-54). Per quanto rivelatasi errata, si trattava, quando fu formulata, di una legittima ipotesi scientifica, poi superata dalla teoria della deriva dei continenti.
Diversi autori hanno sostenuto che le Colonne d’Ercole in realtà non fossero lo Stretto di Gibilterra e che Atlantide si trovasse altrove. L’identificazione di Atlantide con la Sardegna è stata proposta di recente da Sergio Frau, ma Ciardi scrive che questa idea “non rappresenta affatto una novità” dato che già Delisle de Sales, alla fine del XVIII secolo, aveva ipotizzato che l’isola descritta da Platone dovesse essere stata “pressappoco nella posizione dell’attuale Sardegna” (p.42). Per Olaus Rudbeck e Jean-Sylvain Bailly, Atlantide era invece nell’Europa del Nord (pp.38-41).
Un’ipotesi che ha ottenuto una notevole notorietà è che l’Atlantide corrispondesse a Creta e alla civiltà minoica e che il terribile cataclisma citato da Platone fosse l’esplosione vulcanica dell’isola di Thera (poi chiamata Santorini) (pp.139-143).
Sulla scena della ricerca del continente perduto comparvero anche personaggi curiosi come un tale che si presentava con il nome Paul Schliemann asserendo di essere il nipote dello scopritore di Troia, Heinrich Schliemann, e di aver ricevuto dal presunto nonno le prove archeologiche dell’esistenza di Atlantide (pp.66-68).
Non solo si è cercato, nel corso dei secoli, di trovare una collocazione per la storia di Platone, ma la si è anche arricchita di nuovi episodi. Alcuni abitanti di Atlantide sarebbero scampati alla catastrofe e avrebbero raggiunto varie parti della Terra, lasciando tracce nella civiltà e nei miti di quei posti. Idee fantasiose di questo genere furono rese popolari da autori come Ignatius Donnelly (Atlantis : the antediluvian world, 1882) (pp.62-64) e sono entrate nella vasta produzione fanta-archeologica di scrittori come Peter Kolosimo e Erich von Daeniken (p.122).
La storia di Atlantide ha goduto favore anche nel mondo dell’esoterismo (pp.77-89).
Alle diverse speculazioni su Atlantide e le sue vicende si affianca l’opinione degli autori che ritengono, invece, che la leggendaria terra sia solo un’invenzione letteraria di Platone, come pensava per esempio, nel XVIII secolo, Giuseppe Bartoli (pp.43-45).
Ciardi segue anche le apparizioni di Atlantide nella letteratura (per citare qualche nome: Jules Verne, Emilio Salgari, Edgar Rice Burroghs, Aleksej Tolstoj, Arthur Conan Doyle), nel cinema e nei fumetti (da Topolino a Superman a Martin Mystère).

Marco Pizzuti, Scoperte scientifiche non autorizzate : oltre la verità ufficiale, Vicenza : Il punto d’incontro, 2011.
Secondo l’autore, esisterebbero tecnologie che darebbero energia a costo quasi nullo, ma i “poteri forti” farebbero in modo che chi le propone venga sistematicamente ignorato e screditato dalla scienza “ufficiale”.
Una vittima di questo complotto sarebbe Nikola Tesla, il cui nome, secondo Pizzuti, sarebbe stato cancellato e dimenticato perché scomodo per i grandi interessi economici (pp.45, 47, 122). Parlando di Martin Fleischmann e Stanley Pons, le cui “straordinarie scoperte sulla fusione fredda” sarebbero per lui un altro esempio di scienza osteggiata dai potenti, Pizzuti scrive che “hanno fatto la stessa fine di Tesla, uno scienziato che loro, probabilmente, avendo studiato esclusivamente sui libri di testo, neppure conoscono” (p.148). E’ davvero improbabile che Fleischmann e Pons non conoscano Tesla. Contrariamente a quanto scrive l’autore del libro, Tesla non solo non è stato dimenticato, ma è uno degli scienziati più famosi. Come Pizzuti stesso riferisce (p.136) a lui è stata anche dedicata un’unità di misura. E’ vero invece che Tesla è spesso ricordato per alcuni suoi tratti eccentrici, sui quali peraltro si è molto ricamato, piuttosto che per i suoi reali contributi scientifici, decisamente notevoli (basti pensare ai suoi studi sulla corrente alternata).
Pizzuti cita anche Edward Leedskalnin, che avrebbe costruito il complesso di Coral Castle sollevando grossi massi di pietra calcarea sfruttando “campi di forza sconosciuti alla scienza ufficiale” (pp.189-204), John Hutchison, che avrebbe scoperto prodigiosi fenomeni fisici (pp.205-210), Wilhelm Reich, con i suoi “orgoni” (pp.221-235), a suo dire esponenti di una scienza sgradita ai grandi interessi economici e che per questo sarebbe bollata come pseudoscienza e “sistematicamente demonizzata da mass-media e istituzioni” (pp.146-147). In realtà, che certe affermazioni siano classificate come pseudoscienza deriva più semplicemente dal fatto che alle loro roboanti pretese non corrispondono prove concrete. Nonostante ciò le pseudoscienze, al contrario di quanto scrive Pizzuti, sono tutt’altro che “demonizzate” dai media: al contrario i suoi sostenitori ricevono una grande attenzione e programmi televisivi assai seguiti come “Voyager” e “Mistero” offrono loro una notevole cassa di risonanza.
Anche le voci sugli ufo rientrerebbero, secondo l’autore, in un piano per nascondere l’esistenza di conoscenze sgradite alle lobby dell’energia. Si tratterebbe di velivoli segreti che sfruttano un’energia antigravitazionale e le affermazioni sull’origine aliena degli oggetti volanti non identificati sarebbero un depistaggio per non far sapere che esiste tale tecnologia (pp.173-174).
Le “salite in discesa” sono tratti di strada in cui, per esempio, l’acqua versata o una pallina posta a terra sembrano muoversi in salita anziché seguire la discesa. Si tratta di un’illusione ottica che fa sì che ciò che è in realtà una leggera salita appaia come una lieve salita. Gli oggetti, dunque, si muovono normalmente secondo la forza di gravità. Per Pizzuti, invece, anche questa spiegazione è un esempio di occultamento di verità scomode da parte della “scienza ufficiale”: le “salite in discesa” sarebbero invece, a suo dire, casi di effettive anomalie gravitazionali (pp.379-406).
La fisica moderna sarebbe, secondo l’autore, un elaborato imbroglio che ha portato alla “trasformazione della scienza oggettiva nell’opinione di alcune lobby” (p.325). In particolare, la teoria della relatività si sarebbe affermata, a suo parere, non per le prove scientifiche offerte, ma perché faceva comodo ai detentori di monopoli energetici (p. es. pp.305, 316, 318). Secondo Pizzuti, i fisici dal ‘900 hanno smesso di cercare “un senso dell’universo, per iniziare a servire incondizionatamente le logiche del profitto” (p.316). In un’altra pagina del libro scrive che “salvo rare eccezioni […] i ricercatori accademici non sono partecipi di alcuna cospirazione del silenzio” e che sono anzi “i primi a non conoscere l’esistenza di un sistema globale di controllo sulla ricerca”, ma “finiscono inconsapevolmente per essere utilizzati come marionette” (p.148).
Nella traduzione (p.199) di un brano tratto da Magnetic current, del citato Leedskalnin, leggiamo di “lampeggiamenti” e “luci del nord”. Si potrebbe suggerire che lightning e north lights andrebbero tradotti come “fulmine” e “aurora boreale”, sperando che l’autore non risponda che anche queste traduzioni sono un inganno ordito dai fisici per favorire le lobby del petrolio.