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MAH, n.30, dicembre 2012, pp.1-4
LIBRI
Si avvicina il 21 dicembre 2012, giorno indicato come data della fine del mondo
o di un cambiamento epocale da autori new age e cultori di pseudostoria e pseudoscienze.
In questo numero di “Mah” presentiamo le recensioni ad alcuni libri
che parlano di 2012, Maya, profezie, fine del mondo. Abbiamo già recensito
2012: fine del mondo o fine di un mondo? di Paola Giovetti
e 2012 di Roberto Giacobbo in numeri precedenti (rispettivamente n.16,
giugno 2009, e n.19, marzo 2010).
Visto che siamo in tema, facciamo anche noi due previsioni: il 21 dicembre 2012
il mondo non finirà e non comincerà una nuova era diversa dal
tempo in cui viviamo ora e nel marzo del 2013 uscirà il prossimo numero
di “Mah”.
Vincenzo Reda, 101
storie maya che dovresti conoscere prima della fine del mondo, Roma : Newton,
2011.
Il titolo del libro sarebbe potuto finire con “invece di quelle della
fine del mondo”. Oggi dei Maya si sente parlare molto più spesso
per la profezia sulla fine del mondo (o, per altri, della fine di un mondo e
dell’ingresso in una nuova era) a loro attribuita che non per la loro
reale storia. E’ questa che l’autore ci presenta, ricordando fatti
e leggende e descrivendo la loro vita sociale, la religione, i calendari, la
lingua, la scrittura, le scoperte archeologiche.
Alla fine del libro, comunque, Reda dedica qualche pagina alle fantasiose storie
nate intorno alla civiltà maya (pp.289-296). Già Jean-Frédéric
Waldeck aveva fatto supposizioni azzardate ipotizzando che le civiltà
native americane discendessero dalle tribù perdute di Israele. Charles-Etienne
Brasseur de Beaubourg, tentando di tradurre il Codice di Madrid “secondo
un metodo completamente errato”, pensò di aver trovato “una
misteriosa sillaba, mu, sulla quale un furbacchione costruì
[…] una delle più strampalate teorie della storia umana”.
Il personaggio in questione è James Churchward che, “partendo dalle
errate conclusioni di Beaubourg, scrisse un celeberrimo libro: Mu, il continente
perduto”. Reda non dimentica la più famosa delle terre “perdute”:
“Sulla faccenda di Atlantide ci hanno marciato in moltissimi, collocando
quest’isola ovunque, a seconda di quanto poteva risultare funzionale alle
speculazioni dei vari tangheri”.
L’autore cita anche il “gran furbacchione modenese” Peter
Kolosimo e il “suo degno collega” Erich von Däniken, José
Argüelles, il cui libro diede avvio al “delirio del 2012”,
Adrian Gilbert, che “avendo evidentemente tempo da perdere si mise a ricavare
dei profili […] dei complessi bassorilievi scolpiti sulla pietra tombale
di Palenque” e li sovrappose in modo che ne “venne fuori di tutto”,
Maurice Cotterell, “che s’è inventato la faccenda delle macchie
solari” e Roberto Giacobbo, “che ha avuto l’intuizione di
cavalcare l’onda” delle idee di moda, ma prive di ogni fondamento
storico, sui Maya.
Tutto il clamore intorno al fatidico 21 dicembre 2012, insomma, avrà
ben poco a che fare con la vera storia dei Maya, ma di certo l’autore
non sbagliava quando scriveva che certamente “sarà un bel business”
(p.295).
Roberto Alajmo, Arriva
la fine del mondo (e ancora non sai cosa mettere), Roma - Bari : Laterza,
2012.
Il catastrofismo è sempre di moda. L’autore ricorda
brevemente alcuni esempi, dal libro di Caterina Kolosimo Sopravviveremo
al 1982? (p.11) al millennium bug, il problema informatico relativo
al calcolo delle date che, secondo gli amanti dei disastri, avrebbe dovuto avere
conseguenze terribili che non si sono però viste (p.7), alle più
recenti profezie di Harold Camping (pp.11-12). Naturalmente non poteva mancare
la presunta profezia maya per il 21 dicembre 2012. Alajmo scrive che “gli
studiosi delle civiltà pre-colombiane propendono per un’interpretazione
rassicurante: un periodo di transizione di 20-40 anni che preluderebbe a una
nuova era di consapevolezza” (p.4). In realtà gli studiosi (quelli
veri) delle civiltà precolombiane si guardano bene dal ripetere queste
affermazioni di tono new age che non hanno alcun legame con la reale
storia dei Maya o di qualunque altro popolo americano.
Alajmo propone anche un breve “repertorio delle catastrofi in arrivo”
che comprende ipotesi che scientificamente hanno senso, per quanto non vi siano
motivi per credere a un pericolo imminente, come una disastrosa esplosione della
caldera di Yellowstone (pp.19-20) o l’impatto di un asteroide con la Terra
(pp.22-24). Queste catastrofi improbabili o inventate, richiamate solo con qualche
cenno, sono però solo una sorta di introduzione a una serie di considerazioni
sui disastri costruiti quotidianamente. Senza dubbio Alajmo troverà facilmente
d’accordo i suoi lettori quando punta il dito contro la cattiva politica,
la bassa qualità della televisione, il vivere al di sopra della sostenibilità
senza curarsi delle conseguenze per il futuro, ma nel complesso le sue declamazioni
non sono diverse da quelle dei tanti che spiegano agli amici al bar come dovrebbe
funzionare il mondo e dei discorsi da profeta da bar condividono anche i limiti,
come si può vedere quando parla di Giampaolo Giuliani, lo “scienziato
irregolare” che ritiene di aver trovato un metodo per prevedere i terremoti,
e della comunità scientifica (pp.28-29). Scrive l’autore: “Il
fatto è che, prima di dichiarare perentoriamente che una cosa è
possibile o impossibile, ogni scienziato avrebbe il dovere di pensare che la
storia è piena di cose che prima non si potevano fare e poi invece sì.
Da quando il Sole ha smesso di girare intorno alla Terra, l’apertura mentale
dovrebbe essere materia obbligatoria, nelle facoltà scientifiche”.
Dopo aver ricordato il caso Di Bella, Alajmo aggiunge che “forse anche
Giuliani era un visionario della stessa razza. Ciò che colpisce nel monolitico
fronte della comunità scientifica è l’assoluta certezza
che non possa esistere progresso fuori dall’Accademia”. In realtà
nella vera comunità scientifica l’apertura al nuovo è all’ordine
del giorno. Sono piuttosto gli “irregolari” a restare immobili sulle
loro posizioni, anche quando ci sono prove contrarie. In ogni caso, il fatto
che si facciano continuamente nuove scoperte non significa che ogni affermazione
sia una potenziale verità futura. L’unico modo per distinguere,
nel campo della scienza, un’affermazione valida e promettente da una sciocchezza
è chiederne le prove. L’apertura mentale, nel campo della scienza,
non è affermare che ogni idea può essere valida, ma accettare
che la validità di un’idea sia stabilita dalle prove che può
portare.
Saverio Gaeta, Andrea
Tornielli, A. D. 2012 : la Donna, il drago e l’Apocalisse, Milano
: Piemme, 2011.
Il titolo gioca, ovviamente, sull’anno della profezia
new age attribuita ai Maya. Il testo però la liquida in realtà
in poche righe all’inizio dell’introduzione, insieme ai libri di
Zecharia Sitchin e alla previsione di un cataclisma per il 2003 enunciata da
Nancy Lieder, una donna che sostiene di essere in contatto con gli extraterrestri.
Gli autori scrivono giustamente che “gli studiosi seri delle antiche civiltà
mesopotamica e precolombiana non danno alcun credito a queste previsioni e credenze
collegate alla New Age” (p.6). Tuttavia le loro interpretazioni delle
apparizioni della Madonna, che sono il vero argomento del libro, cadono in un
errore analogo.
Gli autori citano Donald Anthony Foley secondo il quale le apparizioni sarebbero
“una sorta di preludio (o di risposta) a […] specifici episodi rivoluzionari”
che avrebbero condotto a una progressiva secolarizzazione (p.21). Per esempio,
l’apparizione di Guadalupe sarebbe una risposta alla Riforma protestante
(come risposta potrebbe apparire un po’ tardiva, dato che avvenne quattordici
anni dopo le 95 tesi di Lutero, ma gli autori risolvono il problema dicendo
che nel 1531 si è “al culmine della Riforma” – p.21)
mentre quella di La Salette, del 1846, un preavviso dei moti del 1848. Più
che alle presunte preoccupazioni della Madonna, però, la scelta degli
episodi che sarebbero legati alle apparizioni corrisponde alle simpatie e antipatie
ideologiche degli autori.
Gli autori attribuiscono alla Madonna, certamente incolpevole, anche un tentativo
di sabotaggio del progresso delle conoscenze scientifiche, sostenendo che con
l’apparizione di Lourdes, del 1858, avrebbe implicitamente messo in guardia
il genere umano” (p.70, citazione di Foley) dal libro di Charles Darwin
L’origine delle specie, pubblicato l’anno seguente.
Come gli autori new age proiettano sui Maya le loro idee, insomma,
Gaeta e Tornielli proiettano le loro sulle apparizioni mariane.
Margherita Hack, Gianluca
Ranzini, Stelle da paura, Milano : Sperling & Kupfer, 2012.
In questo libro per ragazzi si parla dello spazio, ma anche
delle affermazioni infondate legate a corpi e fenomeni astronomici o a presunti
abitatori del cosmo. Si spiega perché non sono credibili le affermazioni
fatte da “strani personaggi” che sostengono che la missione lunare
del 1969 sia una messa in scena (pp.89-108). Si mostra che i “cerchi nel
grano” non sono opera di alieni, ma di qualche burlone terrestre (pp.131-150).
Un capitolo è dedicato a confutare l’astrologia (pp.151-171). In
quello seguente, si parla di ufo e di alieni. Viene ricordato il caso di Roswell
e il filmato di Ray Santilli che mostrerebbe un’autopsia eseguita su un
alieno. Gli autori, comunque, rassicurano i lettori: “Non preoccupatevi,
non era un alieno, era un pupazzo” (p.185). L’ultimo capitolo (pp.195-214)
riguarda il fatidico 21 dicembre 2012. Hack e Ranzini fanno notare che la presunta
profezia maya per quella data in realtà non esiste, così come
non esistono il fantomatico pianeta Nibiru che si starebbe avvicinando alla
Terra (se ci fosse, sarebbe già stato avvistato da tempo) e una “nube
di energia chiamata Cintura Fotonica”. E’ invece vero che in quella
data, visto dalla Terra, il Sole sarà allineato con la Via Lattea, ma
– notano gli autori – non vi è nulla di speciale: succede
ogni anno. Non ci sarà invece alcun allineamento peculiare di pianeti
e comunque, anche se ci si volesse riferire a una data in cui capiterà,
un allineamento planetario “non produrrebbe alcun effetto”.
Lawrence E. Joseph,
Apocalisse 2012 : sopravvivere alla catastrofe, Milano : Corbaccio,
2010.
Per sostenere che il 21 dicembre 2012 sarà un giorno
memorabile, l’autore richiama ovviamente la profezia dei Maya. A dir la
verità, non c’è alcuna prova che i Maya abbiano fatto previsioni
in tali termini, così come si può escludere con certezza che i
Maya abbiano mai parlato di “tunnel vibrazionali attraverso il continuo
spazio temporale” (p.9). Oltre ai Maya in salsa new age e alle
profezie di Edgar Cayce e Mitar Tarabic (pp.27-28), Joseph chiama in causa anche
fenomeni reali come i picchi dell’attività solare o la moria delle
api, facendoli convergere però senza fondamento verso la fatidica data.
Il tono oscilla tra la previsione catastrofica e quella ottimistica dell’inizio
di una nuova era, opzioni che vengono anche unite quando, citando “la
teoria dell’equilibrio punteggiato, che sostituiva all’andamento
lento e graduale del processo evolutivo concepito da Darwin un andamento a strattoni
dovuti agli impatti extraterrestri e ad altri cataclismi” (in realtà,
comunque, la teoria degli equilibri punteggiati non dice questo), afferma che
“questi impatti accelerano l’evoluzione” e portano “l’ecosistema
globale […] a un livello più elevato” (p.113).
Leon Festinger,
Henry W. Riecken, Stanley Schachter, Quando la profezia non si avvera,
Bologna : il Mulino, 2012.
Nel 1954 una donna statunitense disse che gli extraterrestri
le avevano annunciato un’imminente catastrofe che si sarebbe verificata
il 21 dicembre di quell’anno. Gli alieni, comunque, sarebbero giunti a
portare in salvo chi accoglieva il loro messaggio. La notizia della profezia
attirò l’attenzione di alcuni studiosi di sociologia dell’università
del Minnesota guidati da Leon Festinger. Alcuni di loro fecero visita al gruppo
dei seguaci della profezia mostrandosi interessati e riuscirono a essere reclutati
tra le loro file. Avrebbero avuto così la possibilità di osservare
dall’interno i comportamenti degli adepti mentre si preparavano al presunto
giorno del giudizio e poi quando il fatidico giorno sarebbe passato senza fine
del mondo e dischi volanti in arrivo.
Il fallimento della profezia determinò nei seguaci ciò che Festinger
e colleghi chiamarono “dissonanza cognitiva”: quello in cui credevano
era in contrasto con i fatti. “La dissonanza” osservano gli autori
del libro “produce disagio, e di conseguenza si creano delle pressioni
per ridurla o per eliminarla” (p.51). Il modo che può apparire
più ovvio per eliminare il contrasto è quello di prendere atto
della smentita e abbandonare la convinzione dimostratasi errata. Chi, però,
aveva dato una grande importanza alla propria convinzione può trovare
estremamente difficile ammettere di aver sbagliato e possono quindi esserci
tentativi di trovare una spiegazione che permetta di non abbandonarla e un rinnovato
fervore nel sostenerla e nel cercare di convincere altri. E’ quello che
si verificò nel gruppo studiato dagli autori. Qualche persona che si
era avvicinata al gruppo, dopo la smentita della profezia si allontanò,
ma altri vi restarono legati.
Alcuni degli adepti avevano investito molto nella faccenda. Avevano sostenuto
pubblicamente le loro convinzioni sulla fine del mondo e gli alieni sfidando
l’incredulità e anche la derisione. C’era chi aveva lasciato
il lavoro nella convinzione che non serviva tenerlo perché il mondo sarebbe
finito a breve. Uno dei più accesi sostenitori della causa era stato
licenziato dal college per il quale lavorava, che non aveva tollerato le sue
bizzarre dichiarazioni. Per queste persone era chiaramente difficile riconoscere
che era stata solo un’illusione. Gli autori individuano un altro fattore
nel sostegno sociale, ovvero nel trovarsi in compagnia di altri “credenti”
nel periodo della smentita, in modo da darsi una sorta di conferma tra loro.