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MAH, n.35, marzo 2014, pp.1-4
LIBRI
Bart D. Ehrman, Gesù
è davvero esistito?, Milano : A. Mondadori, 2013.
Alla domanda che fa da titolo, l’autore dà una risposta affermativa.
Qualunque cosa si pensi di Gesù e del Cristianesimo, sostiene Ehrman,
la storicità di Gesù non può essere messa in dubbio. L’esame
delle fonti, cristiane e non, mostra diverse tradizioni indipendenti che ne
attestano l’esistenza. D’altra parte, sottolinea l’autore,
su questo “concordano all’unanimità gli studiosi” specializzati
nel cristianesimo antico (p.14).
Nell’antichità neppure i detrattori del Cristianesimo misero in
dubbio che Gesù fosse esistito. “Il primo autore a negare l’esistenza
di Gesù” scrive Ehrman “sembra sia stato nel XVIII secolo
Constantin François Volney” (p.14).
Uno degli argomenti più noti dei sostenitori dell’idea che Gesù
non sarebbe mai esistito è che la sua figura ricalcherebbe anche in precisi
dettagli altre figure di uomini-dei. Già nel 1875, in un libro di Kersey
Graves, venivano proposti paralleli stretti e che potrebbero apparire sorprendenti
se non fosse che, nota Ehrman, “le asserzioni sono quasi sempre campate
in aria” (pp.213-215). Una delle figure chiamate spesso in causa è
quella di Mitra (pp.215-217). Il dio persiano “sarebbe nato il 25 dicembre
da una vergine” e i suoi seguaci avrebbero “consumato un pasto per
commemorare la morte riparatrice del dio loro salvatore”. Questi e altri
dettagli colpiscono l’attenzione perché sembrerebbero mostrare
che Gesù altro non sarebbe che una replica di Mitra. C’è,
però, un problema: “non ci sono prove. E’ un’invenzione”.
Neppure con gli altri uomini-dei proposti come precursori di Gesù si
hanno risultati validi: “i presunti parallelismi […] non sono così
ovvi” e “in altri casi i parallelismi sono pure invenzioni”
(è il caso della crocifissione, che non risulta in realtà per
nessuna di tali figure) (p.218). D’altra parte, afferma l’autore,
la stessa “opinione un tempo condivisa che gli dei di morte e rinascita
fossero diffusi nell’antico mondo pagano è caduta in disgrazia
tra gli studiosi” (p.226). Non ci sono neppure prove che anche una sola
di queste divinità fosse conosciuta nella zona e nel tempo in cui nacque
il cristianesimo (p.234).
Anche altri argomenti addotti dai “miticisti” (coloro che ritengono
che Gesù sia solo un mito e non un uomo realmente esistito) si dimostrano
fragili.
L’asserzione che Nazaret neppure esisteva nel I secolo, per esempio, è
stata smentita dalle scoperte archeologiche (pp.193-200).
Secondo Robert Price, la vita di Gesù altro non sarebbe che una parafrasi
dell’Antico Testamento. Ehrman nota che alcuni dei paralleli proposti
da Price sono forzature e che quelli esistenti non implicano che Gesù
sia una figura inventata: il fatto di descriverle secondo la “forma narrativa
assunta da storie e tradizioni più antiche” non significa che “il
nucleo delle vicende narrate sia storicamente inattendibile” (p.201).
Ehrman rimprovera ai miticisti anche una certa disinvoltura nell’attribuire
a interpolazioni successive i testi che contraddicono la loro tesi: “se
un passo contraddice le vostre opinioni, vi basta sostenere che in origine non
era stato scritto dall’autore”. Esistono certamente ritocchi fatti
ai testi (lo stesso Ehrman ne ha parlato ampiamente in altri suoi libri), ma
l’analisi testuale deve essere condotta in modo corretto e non “motivata
dalla convenienza” (p.258; cfr anche p.194).
Graeme Donald, Il
cugino di Darwin : le (clamorose) cantonate della scienza, Novara : De
Agostini, 2013.
Il cugino di Darwin del titolo italiano è Francis Galton
che fu un sostenitore dell’eugenetica giustamente bollata nel libro come
una pratica che ha violato i diritti umani pretendendo di farlo in nome della
scienza. L’eugenetica (pp.57-71) è una delle diverse pseudoscienze
e affermazioni erronee di cui parla il libro (in effetti più che “cantonate
della scienza” sarebbe meglio parlare di errori in cui si cade quando
manca il metodo scientifico). Tra gli altri argomenti toccati ci sono la frenologia
(pp.11-20), l’alchimia (pp.28-34), il magnetismo di Franz Anton Mesmer
(pp.157-163), gli “orgoni” di Wilhelm Reich (pp.165-166), le idee
di fisiologia umana basate sugli “umori” (pp.169-172), gli esagerati
poteri attribuiti ai messaggi subliminali (pp.80-89) o all’apprendimento
tramite messaggi “ascoltati” durante il sonno (pp.89-90), il presunto
“effetto Mozart”, secondo il quale ascoltare la musica del famoso
compositore avrebbe effetti positivi sullo sviluppo intellettuale (pp.90-92),
l’idea che la Terra sia piatta (pp.72-79) oppure cava (pp.150-156). Sono
proposte storie di “scienziati pazzi” come quella di Serge Voronoff
che propugnava l’innesto di ghiandole di animali in corpi umani per dar
loro maggior vigore (pp.53-56) e quella di Il’ja Ivanov con l’idea
di creare ibridi tra uomini e scimmie antropomorfe (pp.121-124). Ci sono le
storie sullo yeti (pp.113-114) e le vicende dell’uomo di Piltdown, un
noto falso paleontologico che era stato presentato come una forma di transizione
nell’evoluzione umana (pp.118-120). Alla questione dell’“anello
mancante” nell’evoluzione umana è dedicato un capitolo (pp.111-125).
E’ vero che tale locuzione rischia di essere fuorviante e che sarebbe
meglio parlare di forme di transizione. Tuttavia la trattazione dell’argomento
nel libro non è sempre chiara. L’autore scrive che “nessuno,
neppure Darwin, ha mai dimostrato che l’uomo discenda dalle scimmie”
(p.114). Qui è questione di termini. Se si intende che l’uomo non
discende dalle scimmie oggi esistenti, l’affermazione è
senza dubbio corretta. Donald critica (p.115) anche Desmond Morris per la sua
nota definizione dell’uomo come “scimmia nuda”, ma in realtà
tale definizione è legittima. Uomini e scimpanzé sono più
vicini tra loro nella filogenesi di quanto lo siano con i gorilla e dal momento
che gorilla e scimpanzé sono inclusi nella definizione di “scimmie”,
non c’è motivo per escluderne l’uomo e il progenitore comune
di uomo e scimpanzé, più recente del progenitore comune tra quest’ultimo
e il gorilla.
E’ errata l’affermazione che “il numero della Bestia è
sempre stato 616, e non 666” e che “i traduttori moderni della Bibbia
[…] hanno preso un abbaglio” (p.88). Il numero 666 non è
un errore di traduttore moderni: è attestato in codici antichi, così
come altri hanno il 616 (e un codice, però tardivo, ha il 615).
Dario Bressanini,
Le bugie nel carrello, Milano : Chiarelettere, 2013.
Che latte viene usato per la mozzarella di bufala? Quello di
bufala, ovviamente. Non sempre, però, è del tutto vero. Un’indagine
del 2007 dell’Università di Padova ha analizzato 64 campioni di
37 marchi diversi scoprendo che nell’80% dei casi il latte di bufala era
stato allungato con latte di vacca. Solo per due aziende le mozzarelle erano
risultate del tutto di latte di bufala. Le aggiunte erano in genere di lieve
entità, sotto il 3%, ma in tre casi, compreso un marchio che si fregiava
del titolo di DOP (denominazione di origine protetta), superavano il 20% (pp.91-92).
Insomma, talvolta la mozzarella di bufala era un po’… una bufala.
Parlando degli esperti di vini, Bressanini dice che lo “mette a disagio
il linguaggio da iniziati, troppo evocativo e poco scientifico” (p.111)
da loro impiegato. Alla prova dei fatti, sanno davvero distinguere il valore
di un vino? L’autore non ne è convinto e cita un esperimento in
cui erano stati da assaggiare vini di diverse annate che nelle tabelle risultavano
di qualità diversa. Gli “intenditori”, magari, erano riusciti
ad accorgersi che erano differenti, ma la preferenza per l’una e l’altra
era apparsa casuale (pp.117-121). In un altro interessante esperimento, erano
stati proposti un vino pregiato (e costoso) e uno economico: quando i vini erano
presentati facendo sapere il relativo prezzo, i giudizi degli assaggiatori avevano
premiato quello più costoso, ma quando erano offerti senza dare tale
informazione non c’erano state differenze nei giudizi (pp.115-116).
Tra gli altri alimenti presi in esame nel libro ci sono le uova, il latte, il
tonno. L’autore dedica la sua attenzione anche ai coloranti. Un capitolo
si occupa dell’agricoltura “biodinamica”, basata sulle idee
di Rudolf Steiner: Bressanini fa notare come tali idee siano del tutto prive
di fondamento scientifico (pp.55-79).
Ben Goldacre, La
cattiva scienza, Milano : B. Mondadori, 2013.
Già pubblicato in italiano nel 2009 (l’edizione
originale è del 2008), il libro di Ben Goldacre. medico e ottimo divulgatore,
è stato riproposto nel 2013 in edizione economica. La “cattiva
scienza” del titolo si riferisce a pratiche proposte come medicina, ma
che di scientifico hanno ben poco. Un esempio sono i trattamenti “disintossicanti”
che farebbero uscire dal corpo imprecisate “tossine”. L’acqua
in cui vengono posti i piedi si colora in effetti di scuro: sono le “tossine”
che escono? Ovviamente no. L’acqua diventa scura anche senza metterci
nulla: si tratta della ruggine che si produce sugli elettrodi di ferro impiegati
in queste presunte terapie (pp.8-11). Un caso analogo è quello delle
candele auricolari, coni di cera una cui estremità viene posta nell’orecchio
mentre si dà fuoco all’estremità opposta. Secondo le pretese
dei produttori, aspirerebbero il cerume. Chi le usa, potrà trovare nei
coni alcune concrezioni che potrebbero sembrare grumi di cerume. In realtà,
sono cera del cono fusa (pp.11-13). Ci sono pratiche pseudoscientifiche che
hanno conquistato una vasta popolarità e che sono sostenute persino da
medici, nonostante ci siano prove che siano assurdità prive di efficacia
clinica. Un caso clamoroso è quello dell’omeopatia che Goldacre
smonta in un capitolo del libro (pp.35-68). L’autore mette in guardia
anche dalle mode nel campo della nutrizione (pp.93-118).
Liquidate le pseudoscienze che cercano di accreditarsi come “medicina
alternativa”, l’autore punta il dito anche contro le malefatte delle
case farmaceutiche (pp.145-170), un argomento che l’autore ha poi affrontato
in modo più ampio in un suo successivo libro (Bad pharma, pubblicato
in italiano con il titolo Effetti collaterali, recensito sul n.33,
settembre 2013, di “Mah”).
Sempre attuali sono le riflessioni sulle responsabilità dei media nel
diffondere idee distorte sulla medicina e su alcuni trattamenti (si vedano in
particolare le pp.171-188, 203-216, ma alla questione si accenna più
volte anche nel resto del libro). Un esempio è la diffusione di inutili
allarmismi (pp.225-236), come nel caso dell’infondata affermazione del
legame tra vaccino trivalente e autismo, smentita in modo completo dai dati
scientifici (pp.237-279).
Allen Frances, Primo,
non curare chi è normale, Torino : Bollati Boringhieri, 2013.
Il DSM (Diagnostic and Statistic Manual) è
un testo di riferimento per la definizione dei disturbi mentali. Secondo Allen
Frances, che ha fatto parte del comitato che ha redatto il DSM-III
e ha coordinato la stesura del DSM-IV, “i DSM hanno
ottenuto risultati contrastanti. Sono stati estremamente utili nel migliorare
l’affidabilità della diagnosi psichiatrica e nel promuovere una
rivoluzione nella ricerca psichiatrica. Tuttavia hanno avuto anche la conseguenza
indesiderata e non prevista di innescare e mantenere un’impennata nell’inflazione
diagnostica” (p.98). Una deriva verso un ulteriore eccesso di diagnosi
è un pericolo che l’autore vede con forte preoccupazione nella
redazione del DSM-5.
L’estensione delle diagnosi in seguito all’adozione di nuovi criteri
ha due facce. C’è il lato positivo: vengono incluse persone realmente
bisognose di cure, ma che prima non ricevevano una diagnosi e, di conseguenza,
neppure la cura che poteva aiutarle. C’è però anche il lato
negativo, quello di medicalizzare chi non ne ha bisogno, con conseguenze negative,
anche molto pesanti (l’autore riporta alla fine del libro alcuni casi,
così come ne mostra altri in cui una corretta diagnosi, un’opportuna
terapia e un uso ben ponderato dei farmaci hanno aiutato i pazienti). Frances
sottolinea che non basta verificare la presenza dei sintomi descritti nel manuale,
ma bisogna considerare se sono persistenti e invalidanti e se sono in gioco
altre cause, come l’uso di droghe.
L’autore cita tra gli esempi di diagnosi fatte con eccessiva larghezza
il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd), attribuito
anche a bambini che sono solo “normalmente immaturi” e non hanno
bisogno di cure psichiatriche (pp.163-167), il disturbo bipolare infantile (pp.167-170),
il disturbo bipolare II (pp.173-175). Nel caso dell’autismo (pp.170-173),
la falsa epidemia ha avuto anche una falsa, e dannosa, spiegazione secondo la
quale il vaccino trivalente ne sarebbe la causa. Come spiega Frances, in realtà
il maggior numero di diagnosi non è legato a una maggiore incidenza del
disturbo, ma all’allargamento dei criteri nel DSM-IV, e il fatto
che l’autismo venga diagnosticato spesso in un momento vicino alla vaccinazione
“è una coincidenza cronologica puramente casuale: l’età
tipica in cui si manifesta l’autismo è quella in cui si fanno le
prime vaccinazioni”.
Frances ricorda come in un passato recente abbiano avuto una certa diffusione
le diagnosi di personalità multipla, una definizione molto discussa.
L’autore ritiene che si tratti “di una sciocchezza (o, per metterla
giù in modo più elegante, un contagio temporaneo e collettivo
dovuto alla suggestionabilità di medici e pazienti) e di sicuro non di
un disturbo mentale vero e proprio” (pp.153-156).
L’autore ritiene che l’American Psychiatric Association, che pubblica
il DSM, si trovi “in un conflitto di interessi irrisolvibile,
dato il suo doppio ruolo di depositaria del sistema diagnostico (un bene pubblico)
e di beneficiaria dei ricavi della pubblicazione” (pp.14, 201).
Frances non risparmia critiche alle case farmaceutiche che cercano di favorire
l’uso di farmaci anche quando non sono per nulla necessari (p.e. pp.235-243),
ma nello stesso tempo non nega affatto la loro importanza quando usati correttamente
e non dà credito ai trattamenti “alternativi” sui quali il
giudizio negativo è netto: “I rimedi naturali che pretendono di
avere un effetto sulla salute mentale sono ancora meno controllati dei farmaci.
Poiché non vengono monitorati dalla FDA, i promotori di rimedi naturali
possono fare proclami vergognosi privi di supporto scientifico. Non c’è
modo di sapere se i loro prodotti sono sterili, sicuri o efficaci. Che siano
tutti ritrovati da ciarlatani è un’ipotesi più che plausibile.”
(p.266)