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MAH, n.38, dicembre 2014, pp.1-4
LIBRI
Marc Bloch, La guerra
e le false notizie : ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921), Roma : Fazi,
2014.
Nel centenario dell'inizio della prima guerra mondiale, la casa editrice Fazi
ripubblica un libro uscito nel 1921 nel quale lo storico Marc Bloch, noto per
i suoi contributi alla storia del Medioevo, oltre a riferire i suoi ricordi
di combattente nella prima guerra mondiale, faceva delle considerazioni sulla
diffusione di false notizie.
Bloch ricordava come gli studi di psicologia della testimonianza mostravano
che i ricordi possono essere alterati. Per lo storico, però, “l'errore
non è soltanto un corpo estraneo da eliminare con tutta la precisione
dei suoi strumenti”, ma è anche esso stesso “un oggetto di
studio”, dato che “falsi racconti hanno sollevato le folle”
(p.104). Bloch osserva che l'errore si diffonde se può “trovare
nella società in cui si diffonde un terreno di coltura favorevole. In
esso gli uomini esprimono inconsciamente i loro pregiudizi, gli odi, i timori,
tutte le loro forti emozioni” (p.106).
L'autore esamina quindi alcuni studi sull'argomento. Parte con un'opera in sette
volumi di Lucien Graux (pp.109-111), molto ampia, ma, secondo Bloch, deludente.
Un limite dell'opera è, a parere di Bloch, l'essere basata quasi esclusivamente
sulle notizie riportate dai giornali: talvolta queste possono riportare ingenuamente
una voce che si è diffusa, “ma il più delle volte la falsa
notizia di stampa è semplicemente un oggetto fabbricato, è abilmente
forgiata per uno scopo preciso […] o per abbellire il racconto”
(p.110).
Bloch passa quindi al saggio di Albert Dauzat (pp.111-113) e ne condivide la
convinzione che le false notizie non siano solo errori nati accidentalmente,
ma che possano anche essere “finzioni abilmente inventate” per sostenere
un'idea o anche per motivi commerciali. Per Bloch si tratta di un testo migliore
del precedente e piacevole da leggere, ma in cui ancora il tema non è
trattato in modo adeguatamente approfondito. Per andare più a fondo,
sostiene lo storico, servono “studi specifici, accurati e circoscritti”
(p.113), dei quali un esempio è il testo di C. W. Oman (pp.113-114) che
parla della voce dello sbarco dei russi a Marsiglia oppure in Scozia, diffusa
alla fine dell'agosto del 1914 e della leggenda degli angeli di Mons (figure
angeliche che sarebbero comparse in soccorso dei soldati britannici).
Lo studio di Fernand van Langenhove (pp.115-120) è apprezzato da Bloch
per “il rigore del metodo e la rara intelligenza psicologica”. Vengono
esaminate le voci sui “franchi tiratori” belgi. Si diceva che nelle
case in Belgio ci fossero feritoie dalle quali sparare e, su tale base, si pensava
che si dovessero attuare rappresaglie contro le case con tali fori che erano
però, in realtà, semplicemente i punti per agganciare le impalcature
per i lavori sulle case. “Tutte queste false notizie” dice Bloch
“si formarono fra gli stessi soldati, sotto il fuoco”.
Secondo lo storico francese, “una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni
collettive che preesistono alla sua nascita; essa solo apparentemente è
fortuita o, più precisamente, tutto ciò che in essa vi è
di fortuito è l'incidente iniziale, assolutamente insignificante, che
fa scattare il lavoro dell'immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto
perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento”
(p.124). La stessa censura attutata durante la guerra, secondo Bloch, aveva
favorito “un rinnovarsi prodigioso della tradizione orale, madre antica
delle leggende e dei miti” (p.125).
Massimo Polidoro,
Indagare i misteri con la lente della scienza, ebook, 2014.
Qual è l'approccio razionale a un presunto mistero? L'autore,
un esperto in materia, ha condensato in questo ebook di rapida lettura (35 pagine
di piccolo formato) i suoi consigli.
La prima regola è quella di “accertarsi che il mistero esista veramente”.
Tante volte il presunto fatto misterioso non si è in realtà neppure
verificato e quindi tutte le speculazioni ideate per spiegarlo si rivelano del
tutto inutili. E' dunque opportuno esaminare le fonti, valutandone l'attendibilità,
risalendo a quelle originali, confrontando le diverse versioni. Per comprendere
un presunto mistero, potrebbe servire un esperimento e in tal caso Polidoro
invita a “riprodurre le condizioni originali”: la spiegazione del
presunto mistero potrebbe essere nel tipo di materiale usato o in altri fattori
che potrebbero sfuggire all'attenzione. Dato che non si può sapere tutto,
quando sono necessarie competenze specifiche, è opportuno chiedere il
consiglio di esperti. L'autore ricorda il “rasoio di Occam”: è
certamente più probabile che sia corretta una spiegazione più
semplice rispetto a una che, per essere accolta, richiede di accettare ipotesi
contorte. Punti a vantaggio di un'ipotesi sono che permetta di fare previsioni
verificabili, che spieghi più fenomeni e in modo più lineare delle
altre, che sia coerente con le conoscenze appurate. “L'ipotesi paranormale”,
scrive Polidoro, “può certo essere più affascinante e può
farci più piacere, può farci sentire speciali, ma può essere
solo un'illusione” (p.20).
Quando si fa un esperimento per verificare un presunto mistero, è necessario
essere scrupolosi. Si devono contare tutti i tentativi e ogni prova deve essere
portata a termine. Non si può accettare, per esempio, che un sensitivo
chieda di scartare alcuni tentativi falliti all'inizio o alla fine della serie
dicendo che non era ancora pronto o che era stanco. Se sostiene che per lui
è necessario un “riscaldamento” o che dopo un certo numero
di prove non riesce più a essere concentrato, deve dichiararlo prima
che si parta. Durante la serie di tentativi, non si devono cambiare le modalità
con cui vengono eseguiti e le condizioni in cui si svolgono le prove vanno annotate
in modo chiaro. E' opportuno fare un numero alto di prove (l'autore consiglia
di arrivare almeno a 100 e possibilmente a 250) per evitare che risultati apparentemente
positivi siano dovuti a un caso fortunato. Le prove vanno effettuate con il
metodo del “doppio cieco”.
Come comportarsi quando qualcuno ci dice che è stato testimone di un
fatto paranormale? l'autore ritiene che la risposta migliore sia dire “Non
lo so, io non c'ero”, facendo però poi notare che eventi simili
possono avere spiegazioni razionali. Per il confronto con i sostenitori di affermazioni
pseudoscientifiche, Polidoro propone i consigli di Ray Hyman: essere preparati,
mettere in chiaro gli obiettivi, contestare le idee e non attaccare le persone,
fare ricerche e cercare di arrivare alla fonte originale, non andare oltre le
proprie competenze, lasciar parlare i fatti senza lanciare con facilità
accuse di mala fede, essere precisi, usare il “principio della carità”
presupponendo, sino a prova del contrario, che l'interlocutore sia in buona
fede, evitare il sensazionalismo.
L'ebook, insieme ad altri scritti da Polidoro, si può avere gratuitamente
iscrivendosi alla newsletter dell'autore.
Gian Marco Bragadin,
Il linguaggio segreto di segni e coincidenze, Milano : Sperling &
Kupfer, 2014.
Secondo l'autore, coincidenze inaspettate e improbabili sarebbero
una sorta di messaggio per chi vi si imbatte. Bragadin parla di “quasi
venti anni di sperimentazione diretta” (p.49) e per una consistente parte
del libro racconta le sue esperienze. Purtroppo queste “prove” non
hanno un gran peso: è facile ingannarsi, soprattutto se si tiene molto
a una propria tesi, e nel libro non sono mai citate misure per rendere in qualche
modo oggettiva, e non legata solo a impressioni soggettive, la raccolta delle
coincidenze. Quando poi l'autore cita casi verificabili di coincidenze a suo
dire eccezionali, si nota che in realtà non c'è nulla di straordinario.
Bragadin ricorda il romanzo di Morgan Robertson Futility che, pubblicato
nel 1898, aveva una trama con molte somiglianze con il noto incidente del Titanic,
avvenuto nel 1912. Secondo lui, “non si può parlare di casualità”
(pp.64-65). Che le coincidenze tra il romanzo e il disastro del Titanic non
siano un caso è vero, ma non nel senso in cui pensa Bragadin. Robertson
faceva riferimento alle caratteristiche dei transatlantici dei tempi, aggiungendovi
qualcosa per fare apparire la nave del suo romanzo come un passo avanti a quelli:
non può dunque sorprendere che appaia simile a una nave costruita in
seguito. Il pericolo degli iceberg e la carenza di scialuppe di salvataggio
erano problemi ben noti: non vi è dunque nulla di strano nel fatto che
se ne parlasse nel romanzo e che abbiano avuto un ruolo tragico nel caso del
Titanic. D'altra parte, già prima del Titanic e prima del romanzo di
Robertson c'erano state collisioni con iceberg, una delle quali riguardò
una nave di nome Titania – e tale nome mostra anche che si era già
ricorso a denominazioni simili e che quindi non è incredibile la somiglianza
tra il nome della nave del romanzo (Titan) e quello del Titanic.
Parlando dell'11 settembre (p.133), l'autore elenca una serie di coincidenze
legate al numero 11. La somma delle cifre di tre numeri relativi ai morti negli
attentati, per esempio, farebbe 11: “il volo numero 11 aveva 92 passeggeri”
(9 + 2 = 11), “il volo 77 aveva 65 passeggeri” (6 + 5 = 11) e “il
numero totale delle vittime degli aerei è stato 254” (2 + 5 + 4
= 11). I passeggeri del volo AA 11 erano in realtà 81, inclusi i cinque
dirottatori, ma in effetti si arriva a 92 persone a bordo contando anche i membri
dell'equipaggio. L'AA 77 (che colpì il Pentagono) non aveva 65, ma 64
persone a bordo (58 passeggeri, inclusi i cinque terroristi, sei membri dell'equipaggio).
Era l'UA 175 (l'altro aereo che colpì le Torri Gemelle) che ne aveva
65 (56 passeggeri, inclusi i cinque dirottatori, e nove membri dell'equipaggio).
Infine, il quarto aereo dirottato (UA 93), aveva a bordo 44 persone (37 passeggeri,
compresi quattro terroristi, e sette membri dell'equipaggio). Il numero totale
dei morti è dunque 265 (e non 254 come si legge nel libro) e la somma
delle tre cifre non dà come risultato 11. Dunque la storia dell'11 vale
solo per due dei quattro voli e non vale per il numero totale.
Il libro non parla solo di coincidenze. L'autore infila nelle pagine numerosi
riferimenti ad affermazioni senza fondamento scientifico e storico.
Bragadin scrive che i nativi australiani hanno facoltà speciali come
la telepatia. Come riferimento dà un libro di Marlo Morgan (…
e venne chiamata Due Cuori) da lui descritto come “un susseguirsi
di eventi inconcepibili per il nostro tipo di società” (p.8). Tali
eventi, però, sono risultati “inconcepibili” anche per gli
stessi nativi australiani che hanno duramente contestato il libro, spiegando
che quanto viene in esso raccontato non corrisponde affatto alla realtà.
Le presunte esperienze dell'autrice tra i nativi australiani si sono rivelate
insomma un'invenzione romanzesca.
L'autore scrive, come fosse un fatto appurato, che l'apostolo Giovanni nell'Ultima
Cena di Leonardo sarebbe in realtà Maria Maddalena (pp.176-177):
anche in questo caso siamo invece nel romanzesco. Nel libro compare anche la
famosa “profezia delle api”: “Albert Einstein ha detto: «Se
le api sparissero dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro
anni di vita»” (p.58). Tuttavia non esiste alcuna prova che Einstein
abbia mai detto ciò e, d'altra parte, non si capisce neppure perché
Einstein, indubbiamente un genio della fisica, dovrebbe essere un'autorità
sul ruolo ecologico delle api.
Bragadin dice di avere sperimentato la regressione a vite precedenti, una pratica
priva di ogni fondamento: “Grazie all'aiuto di una sensitiva, potei risalire
alle mie vite precedenti. In due e forse più esistenze ero stato un guerriero,
un Cavaliere Templare” (p.145). In un'altra occasione l'autore avrebbe
“visualizzato un extraterrestre” che gli avrebbe “rivelato
che lui è energia, quindi ha una frequenza” (p.136), affermazione
che, peraltro, da un punto di vista scientifico non significa nulla, così
come nessun senso ha una frase come: “Veniamo ora al DNA Multidimensionale
a cui si riferisce una tra le nuove tecniche spirituali quantistiche più
potenti insegnata dall'Arcangelo Metatron” (pp.240-241). L'uso abbondante
e fuori luogo dell'aggettivo “quantistico” è, d'altra parte,
ormai una moda.
Secondo Bragadin, “famoso per illustrare i principi della quantistica
è l'esperimento della «centesima scimmia» (pp.218-219). In
base a questa storia (presentata peraltro non come un esperimento, ma come un'osservazione
sul campo), quando 99 scimmie avevano appreso un comportamento, questo cominciava
a presentarsi anche in altri esemplari che pure non l'avevano visto attuare,
come se venisse attinto da una sorta di coscienza collettiva. Non si capisce
perché ciò dovrebbe “illustrare i principi della quantistica”.
In ogni caso la presunta scoperta è semplicemente un'invenzione ed è
stata del tutto smentita.
Ancora più che quando si parla di fisica si dovrebbe essere attenti e
rigorosi quando si entra nel campo della medicina. Purtroppo in questo libro
è accaduto il contrario e vengono citate solo pratiche senza alcun fondamento.
Per quanto riguarda l'omeopatia (p.137), i risultati degli studi scientifici
hanno dimostrato che non ha alcun effetto oltre al placebo. Bragadin segnala
come “gran parte della nuova medicina sottolinei l'importanza dell'alimentazione,
soprattutto se ciò porta a combattere l'acidità del sangue”
(p.137). Che l'alimentazione sia importante per la salute è vero, ma
per saperlo non c'è bisogno di una presunta “nuova medicina”,
che spesso, peraltro, non è affatto “nuova”, ma al contrario
ripropone concezioni sorpassate, e che comunque non è certo “medicina”.
Parlare di “acidità del sangue” e di diete “alcaline”
che la combattono è oggi di moda, ma sono parole senza senso: il sangue
non varia il suo pH così facilmente come credono, o vogliono far credere,
i sostenitori di tali idee e se realmente ci fosse un'acidità pericolosa
ci vorrebbe ben altro che le reclamizzate, e inutili, “diete alcaline”
(d'altra parte anche un eccesso di alcalinità sarebbe pericoloso). Contrariamente
a quel che scrive l'autore, la kinesiologia applicata non serve per scoprire
allergie e, a dire il vero, neppure per altro (pp.145-146).
Un atteggiamento positivo è certamente un vantaggio per la qualità
della vita del paziente, ma dire che si possano guarire i tumori con il “pensiero
positivo” propugnato da Louise Hay (pp.53-54; cfr anche p.138) è
affermazione falsa e pericolosa. L'autore dà credito persino alla Nuova
medicina germanica di Ryke Hamer (pp.141-142), ex medico radiato dall'ordine,
le cui idee sulla genesi e cura dei tumori non hanno alcun fondamento scientifico:
chi si affida ad esse trascurando le cure di provata efficacia si espone a un
gravissimo pericolo. Prima di parlare di queste pratiche (o, ancora, della “metamedicina”
di Claudia Rainville – pp.142-143), Bragadin avrebbe fatto bene a chiedere
il parere di un esperto in materia.