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MAH, n.46, dicembre 2016, pp.1-4
LIBRI
Roberto Burioni,
Il vaccino non è un'opinione : le vaccinazioni spiegate a chi proprio
non le vuole capire, Milano : A. Mondadori, 2016
Sui vaccini circolano, purtroppo, molte false informazioni.
L'autore, medico e docente universitario di microbiologia e virologia, ha deciso
di combattere queste pericolose bufale su un terreno dove hanno grande diffusione,
internet e in particolare il social network Facebook, presentando informazioni
rigorosamente scientifiche in una serie di interventi di rapida lettura che
hanno guadagnato una notevole popolarità. In questo modo Burioni ha anche
organizzato il suo libro.
Dati alla mano, l'autore smentisce le bufale messe in circolazione dagli antivaccinisti.
Un'affermazione spesso ripetuta dagli avversari delle vaccinazioni è
quella secondo la quale i bambini non vaccinati sarebbero in generale più
sani per quanto riguarda infezioni comuni e allergie. Gli studi sulla questione,
però, non dimostrano affatto una maggiore incidenza tra i vaccinati.
L'unica reale differenza è nell'incidenza delle malattie che i vaccini
prevengono: i non vaccinati vengono colpiti, ovviamente, in modo molto maggiore,
anche con esiti gravi (pp.37-38).
Prive di fondamento sono pure le asserzioni antivacciniste in merito a un presunto
legame tra epilessia e vaccinazioni. Burioni cita uno studio su bambini che
avevano avuto crisi convulsive dopo la vaccinazione. Su 990 casi presi in esame,
la stragrande maggioranza non ha avuto nessuna conseguenza. Dei soli 26 casi
in cui è stata riscontrata l'epilessia, 23 sono stati rintracciati e
si è trovato che in quasi tutti era presente un'alterazione genetica
correlata all'epilessia. Causa genetica, quindi, e non conseguenza della vaccinazione
(pp.51-53).
I dati scientifici smentiscono anche che le vaccinazioni possano favorire la
morte improvvisa del lattante (pp.55-56) e l'autismo (pp.56-59). Quella del
legame tra vaccini, e in particolare il vaccino trivalente (morbillo-parotite-rosolia),
e autismo è una delle bufale più gettonate dagli antivaccinisti,
anche se è stato dimostrato oltre ogni dubbio che si tratta di un'affermazione
priva di fondamento. Burioni ricorda il caso del Giappone, dove la vaccinazione
con il trivalente era stata sospesa quando erano sorti timori su uno dei ceppi
virali in uso in quel paese, ma il numero delle diagnosi era cresciuto ugualmente
(p.59): un'ulteriore prova che il vaccino non ha nulla a che fare con l'autismo.
Una delle affermazioni più ripetute dagli antivaccinisti è quella
secondo la quale a favorire l'insorgenza dell'autismo sarebbe il mercurio contenuto
nei vaccini. Come spiega l'autore, quello usato nei vaccini è però
etilmercurio, che nelle dosi usate nei vaccini non pone problemi di tossicità,
e non il pericoloso metilmercurio (pp.59-62). D'altra parte, va notato che,
quando si è passati all'uso di vaccini senza mercurio, il numero delle
diagnosi di autismo non è sceso confermando, quindi, che il mercurio
presente nei vaccini non aveva nulla a che fare con l'autismo.
L'attenzione dei nemici dei vaccini per partito preso si è rivolta anche
verso l'alluminio, ma, nota Burioni, si tratta di un elemento diffusissimo sulla
Terra e che si trova anche nel latte materno: “per evitarlo bisognerebbe
non solo smettere di vaccinarsi, ma verosimilmente andare ad abitare su un altro
pianeta” (p.62).
Gli antivaccinisti affermano spesso che a spingere verso l'uso dei vaccini siano
interessi economici delle case farmaceutiche. E' chiaro che le aziende guadagnano
vendendo i vaccini, come qualunque altro loro prodotto, ma Burioni fa notare
che il fatturato dei vaccini non è poi così ampio se confrontato
con quello di altri farmaci. L'autore cita i dati forniti dall'Agenzia italiana
del farmaco per il 2015: per fare un confronto, per il vaccino esavalente, che
previene sei malattie, sono stati spesi 70 milioni di euro, mentre per i farmaci
antiulcera la somma è di oltre un miliardo (pp.63-64).
La propaganda antivaccinista dà spesso per scontate affermazioni che
sono invece errate. Un esempio è l'obiezione sul vaccino per l'epatite
b che, a loro dire, sarebbe inutile per i bambini in quanto si trasmetterebbe
solo per via sessuale o tramite trasfusioni. Si tratta però, spiega Burioni,
di una convinzione sbagliata. Il virus (chiamato in sigla HBV) ha una notevole
resistenza all'esterno. “Circa il 30% delle persone che contrae l'epatite
B” scrive l'autore “non ha praticato o subito nessuna attività
a rischio” e ci sono “casi certi […] di bambini che si sono
presi l'HBV all'asilo”. Il rischio di contagio non è elevato come
“quello del morbillo, ma esiste”. Burioni fa anche notare che i
bambini hanno un particolare bisogno di essere protetti dall'epatite b: “un
adulto nel 95 per cento dei casi sta male, però alla fine guarisce; invece
i bambini in grande maggioranza non riescono a liberarsi dal virus e se lo tengono
per tutta la vita” (pp.91-95).
Il nettissimo regresso (fino alla scomparsa totale, nel caso del vaiolo) di
malattie per le quali è stata intrapresa una vaccinazione di massa è
una dimostrazione dell'efficacia delle vaccinazioni. Non volendo riconoscere
questo fatto, gli antivaccinisti dicono che il risultato è dovuto solo
al miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie e che non c'è
pericolo di nuove diffusioni dei patogeni. Purtroppo i fatti smentiscono le
loro asserzioni: dove le vaccinazioni vengono trascurate, torna il pericolo
della diffusione dei patogeni. Burioni cita il caso della diffusione della rosolia
tra i fondamentalisti protestanti olandesi, contrari alle vaccinazioni, nel
2005. La malattia, come noto, è molto pericolosa quando colpisce donne
gravide perché il virus può causare gravi danni al feto come è
accaduto, sfortunatamente, in quell'occasione nei casi di tredici gestanti che
non erano vaccinate (pp.73-77).
Considerazioni analoghe si possono fare per altre malattie, come per esempio
la parotite (pp.110-113) e la difterite (pp.115-117). Il discorso vale anche
per la vaccinazione contro la poliomielite (pp.80-90). La scomparsa del virus
della poliomielite da un'area geografica non deve far ritenere superflua la
vaccinazione, dato che il patogeno potrebbe arrivare da altre zone. Può
invece suggerire una diversa strategia vaccinale, come è accaduto di
fatto in Italia e altrove, passando dal vaccino a virus attenuato (il “vaccino
Sabin”, dal nome di Albert Sabin) al vaccino a virus inattivato (il “vaccino
Salk”, dal nome di Jonas Salk). Come spiega l'autore il vaccino Sabin,
in uso anche in Italia anni fa, è più efficace del vaccino Salk
nel garantire l'immunità. In rarissimi casi, però, il virus attenuato
può essere oggetto di una retromutazione, diventando così pericoloso.
Quando la malattia era diffusa, questo rischio era inferiore al beneficio dato
dalla maggiore efficacia del vaccino Sabin rispetto al vaccino Salk. Quando,
grazie alle vaccinazioni, la poliomielite scomparve dal paese, divenne preferibile
usare il vaccino Salk, un po' meno efficace, ma più sicuro (pp.87-89).
L'autore sottolinea l'importanza delle vaccinazioni della madre. Gli anticorpi
passati dalla madre al feto proteggeranno infatti il neonato nei primi mesi
di vita, dopo i quali, scomparsi gli anticorpi materni, si provvederà
alle vaccinazioni (pp.45-47).
Malattie come il morbillo, prima dell'introduzione del vaccino, erano largamente
diffuse. Era normale prendere il morbillo da bambini e il decorso era quasi
sempre benigno, come lo era in genere per altre malattie infantili. Da ciò
deriva una delle classiche affermazioni degli avversari dei vaccini che l'autore
riassume nel titolo di un capitolo: “Non mi sono fatto niente”.
Il rischio di danni gravi per alcune delle malattie per le quali si raccomanda
la vaccinazione è sì basso, ma non è comunque irrilevante.
D'altra parte, osserva Burioni, anni addietro non erano obbligatorie le cinture
di sicurezza e l'apposito seggiolino per i bambini in automobile e il casco
per andare in motociclette e in molti possono dire di non aver subito alcun
danno pur viaggiando in tali condizioni, ma, scrive l'autore, “chiunque
di noi, sulla base di questa esperienza, facesse viaggiare i propri bimbi senza
seggiolino, andasse in moto senza casco o acquistasse un'automobile priva dei
moderni sistemi di sicurezza potrebbe essere definito un perfetto idiota senza
bisogno di ulteriori approfondimenti diagnostici” (pp.109-110).
Di fronte ai notevoli benefici che portano, i rischi delle vaccinazioni sono
bassissimi (pp.127-133). Ci sono più pericoli in azioni che vengono compiute
abitualmente. Per quanto riguarda le vaccinazioni ai bambini, scrive Burioni,
“il rischio maggiore lo corrono in auto nel tragitto da casa all'ambulatorio”
(p.133).
Matt Kaplan, Scienza
del magico, Torino : Codice, 2016
La magia funziona? Secondo l'autore del libro, la risposta potrebbe
essere positiva anche se i risultati non proverrebbero da presunte forze soprannaturali,
ma avrebbero una spiegazione scientifica. Anche prodigi descritti nei miti e
leggende delle antiche civiltà, secondo Kaplan, potrebbero avere origine
da fatti reali.
L'autore ricorda, per esempio, le ipotesi di spiegazioni basate su fenomeni
naturali che sono state avanzate per le piaghe d'Egitto narrate nell'Esodo.
Una di queste propone che un'eruzione vulcanica abbia creato uno tsunami che
avrebbe spinto nel Nilo delle alghe rosse (e questo spiegherebbe la prima piaga,
con l'acqua trasformata in sangue). L'invasione delle rane (seconda piaga) sarebbe
spiegata dagli anfibi che abbandonavano le acque in cui stavano, diventate un
ambiente ostile, mentre gli insetti della terza e quarta piaga sarebbero stati
non animaletti, ma ceneri vulcaniche provenienti dalla detta eruzione che, finendo
sulla pelle, avrebbero prodotto irritazioni cutanee (sesta piaga) (pp.89-93).
Congetture come queste possono anche apparire ingegnose, ma, in assenza di riscontri
fattuali, sono piuttosto deboli come spiegazioni. Anche Kaplan riconosce che
“queste interpretazioni […] sono intriganti, ma potrebbero non essere
corrette” (p.92). A suo parere, la narrazione biblica potrebbe essere
stata ispirata da eventi reali precedenti, come quello dell'eruzione di Thera,
tramandati sino al tempo dell'Esodo, ma anche su questa sua versione si potrebbero
fare le medesime osservazioni. Queste considerazioni possono essere il leitmotiv
del libro.
In un noto episodio biblico, Dio proibisce a Adamo ed Eva di mangiare il frutto
dell'albero della conoscenza. Kaplan propone di identificare tale frutto con
un fungo con proprietà psicoattive (pp.176-181). “In tutta sincerità,”
scrive l'autore “penso che Adamo, Eva e il Giardino dell'Eden siano pura
fantasia, ma ho anche il sospetto che l'autore della storia sapesse che in natura
c'erano cose in grado di spalancare gli occhi e la mente. E può darsi
che le avesse addirittura provate” (p.180). L'analogia appare, però,
piuttosto forzata e l'idea che quella del frutto della conoscenza sia soltanto
un'allegoria, senza legami con reali proprietà di frutti (o funghi) esistenti,
sembra più semplice e plausibile.
Nell'Odissea, la maga Circe trasforma in animali i compagni di Ulisse, mentre
quest'ultimo non soggiace ai malefici perché protetto da un fiore chiamato
moly, datogli da Ermes. Kaplan riferisce una congettura secondo la
quale l'episodio farebbe riferimento alle proprietà di due erbe. La maga
avrebbe dato ai malcapitati dello stramonio (Datura stramonium) il
cui consumo può causare allucinazioni, mentre il fiore che fa da antidoto
per Ulisse sarebbe il bucaneve (Galanthus nivalis) che, contenendo
galantamina, avrebbe potuto contrastare gli effetti dello stramonio (pp.27-32).
Anche in questo caso abbiamo una congettura elaborata con richiami a dati scientifici,
ma non si vedono nel testo riscontri tali da far preferire una spiegazione come
questa.
Come si diceva all'inizio di questa recensione, l'autore ritiene che diverse
pratiche magiche potessero realmente funzionare, anche se non per misteriose
forze soprannaturali, ma per motivi fisici, chimici, biologici. Kaplan ritiene,
per esempio, che un aruspice avrebbe potuto realmente trarre indicazioni sulla
salubrità di un luogo osservando lo stato del fegato di bestie che lì
vivevano (pp.140-145). L'autore stesso, comunque, riconosce di non essere riuscito
ad ottenere una conferma quando ha provato a mettere alla prova una di queste
ipotesi. L'unicorno vive solo nelle leggende, ma questo non impediva che si
mettessero in circolazione presunti esemplari del suo corno. Un ottimo candidato
a recitare il ruolo era il lungo dente del maschio del narvalo. Al corno dell'unicorno
veniva attribuita la proprietà di difendere dai veleni. Lo stesso si
diceva di pietre e fossili di denti di squalo che si trovano in una grotta di
Malta dove avrebbe dormito san Paolo. Anche in questo caso, all'autore era venuta
l'idea che ci potesse essere una spiegazione razionale: il calcio presente nei
denti del narvalo e nelle pietre e nei fossili della grotta avrebbe potuto reagire
con l'arsenico. In questo caso, Kaplan ha voluto provare a verificare l'ipotesi
facendo lui stesso degli esperimenti con arenaria, denti fossili e arsenico.
Il risultato è stato però negativo (pp.61-65).
E l'astrologia? L'autore dice che fatica “ancora ad accettare che le posizioni
dei corpi celesti al momento della nostra nascita ci inducano a vivere eventi
positivi o negativi”, ma anche in questo caso vuole trovare “un
fondo di verità” e dice di avere “il sospetto che in futuro
scopriremo che la posizione del sole e della luna ci influenzano più
di quanto crediamo” (p.83). L'autore fa riferimento in particolare alla
possibilità di un'influenza delle fasi lunari, indipendentemente dalla
diversa luce diffusa, sul sonno (pp.79-83). A dire il vero, si tratta di qualcosa
di ben diverso dall'astrologia e quindi, quand'anche fosse provato, non pare
si possa interpretarlo come se attribuisse ad essa “un fondo di verità”.
L'autore cita un esperimento svolto da Christian Cajochen e colleghi e da loro
descritto in un articolo pubblicato nel 2014 su “Current Biology”.
Come dice il titolo dell'articolo (Evidence that the lunar cycle influences
human sleep), gli autori ritengono di aver dato “prova che il ciclo
lunare influenza il sonno umano”. Kaplan si mostra propenso ad accogliere
questa conclusione, affermando comunque la necessità di ulteriori indagini
e riconoscendo correttamente che i risultati di quelle effettuate non sono univoci.
Segnala che altri due studi hanno confermato il risultato, ma ne cita anche
uno che ha dato esito negativo (p.81). Sarebbe stato interessante, e non solo
per questo specifico argomento, se l'autore si fosse anche soffermato su un
punto che viene sottolineato in quest'ultimo articolo (Manel Cordi et al., Lunar
cycle effects on sleep and the file drawer problem, pubblicato anch'esso
su “Current biology” nel 2014), ovvero la questione delle ricerche
non pubblicate (il “file drawer problem” del titolo). Gli autori
riferiscono che tre studi con esito negativo e, tra questi, i due con un campione
più ampio, “have never been published as full journal papers”.
Nel loro computo prevalgono nettamente i risultati negativi. Cajochen e colleghi
hanno risposto (nella stessa annata della medesima rivista) che gli studi con
campioni più vasti non sono necessariamente i migliori (“more is
not necessarily better”). Un successivo ampio studio (José Haba-Rubio
et al., Bad sleep? Don’t blame the moon! A population-based study,
“Sleep Medicine”, 16 (2015), pp.1321–1326) ha dato, comunque,
nuovamente un risultato negativo. Gli autori di quest'ultimo studio concludono
con una citazione di Thomas Henry Huxley: “la grande tragedia della scienza:
la distruzione di una bella ipotesi da parte di un brutto fatto”. Quale
che sia il verdetto in questo particolare caso, si deve sempre tenere conto
che congetture come molte di quelle esposte nel libro di Kaplan possono certamente
essere affascinanti, ma avrebbero bisogno di qualche “brutto fatto”
in più a loro sostegno.