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Le storie dei panda - 6
PROGETTO PANDA
di Cái Pí
disegno di Leda Lanzatella
(2005)
Se noi orsi di padre David, meglio conosciuti come panda, siamo diventati il
simbolo delle specie in via di estinzione, non è che le salamandre di
padre David se la passino poi tanto meglio. Per non parlare dei cervi di padre
David che, al di fuori del nostro Boschetto, sono scomparsi allo stato selvatico
e sopravvivono solo negli zoo. Anche il conto in banca di padre David si sarebbe
estinto da un pezzo se, come riconoscimento del suo impegno a favore delle specie
in pericolo, non avesse ricevuto dei contributi dagli enti preposti alla tutela
della fauna.
Stavolta, però, invece del solito finanziamento era giunta una lettera
scritta in un linguaggio incomprensibile. Così io e i miei amici Grande
Cái Pí e Ga Dá montammo sul monomotore del nostro missionario
naturalista per andare a scoprire cosa stava succedendo.
Arrivammo al palazzo dove aveva sede l’organizzazione. Nell’atrio
spiccava, su un capitello dorico, una bella scultura aborigena australiana che
raffigurava forse un ornitorinco o, più probabilmente, un waitoreke.
Ci inoltrammo nei corridoi finché scorgemmo su una porta un cartellone
appeso un po’ storto sul quale era raffigurato (male) un panda. Così
ci accodammo ad alcuni che entravamo e ci guardammo intorno per individuare
qualcuno cui porre i nostri interrogativi. Dal tavolo dei relatori un tizio
batté il dito sul microfono appurando che funzionava e disse: “Possiamo
cominciare il workshop? E’ qui con noi oggi il dottor Nawnuffin che ci
esporrà le guidelines del progetto. Lascio a lui la parola”.
“E’ finita l’era dei contributi a pioggia” partì
il relatore “Ora i finanziamenti saranno erogati solo dietro implementazione
di progetti validati preventivamente e dotati di requisiti che saranno definiti
in una riunione team con un brainstorming di consulenti in una situazione gruppale
di tipo a matrice”.
Io e Grande Cái Pí ci voltammo d’istinto verso Ga Dá.
Il nostro amico è, infatti, un panda filosofo, avvezzo alla lettura di
Hegel e di Heidegger. Forse lui poteva decrittare l’astruso linguaggio.
“Non ho capito niente nemmeno io” disse Ga Dá, intuendo la
nostra domanda prima ancora che potessimo formularla.
“Può spiegarsi meglio?” chiesi allora al nostro interlocutore.
“Ma sono top manager questi?” domandò al suo vicino.
“No” rispose quest’ultimo “Non capisco perché
li abbiano lasciati entrare. Sulla portineria farò uno di quei réport...”.
“Guardi che report si pronuncia con l’accento sulla o, non sulle
e” lo avvertì Ga Dá, ma i due tizi, maleducatamente, non
ci degnarono più della loro attenzione.
Fu a questo punto che ci accorgemmo di quanto le nostre simpatiche facce facevano
contrasto con le loro facce di culo e, un po’ per questo, un po’
perché, tanto, ignoravano i nostri interventi, lasciammo la sala.
“Uff” sbuffò un tipo che arrivava trafelato “il workshop
è già cominciato”.
Notò la nostra presenza e ci chiese: “Siete dei membri del team?”.
Scuotemmo la testa per rispondere negativamente.
“Solo stakeholders?” domandò ancora.
“Sarebbe a dire?” chiese a sua volta Grande Cái Pí,
ma prima del punto di domanda cominciò a squillare il telefonino del
nostro interlocutore.
“Sì, sono io... ciao Johnny, cosa stai combinando?... pronto?...
pronto?...” rimise in tasca il cellulare “Mi sono andate in off
le batterie. Con tutte queste telefonate, dovrei implementarle ogni momento...
Be’, se ha bisogno, richiamerà”.
“Noi saremmo qui nella speranza di trovare qualcuno che ci spieghi cosa
sta succedendo ai finanziamenti per gli animali in via di estinzione”
spiegò Ga Dá.
Il nostro interlocutore guardò incerto la porta da cui poc’anzi
eravamo usciti.
“Oh, se anche salto un workshop non sarà poi la fine del mondo”
disse “Venite nel mio ufficio che cerco di dare un feedback ai vostri
input”.
Forse il tipo non era poi stronzo come sembrava per il modo in cui parlava (perché,
quanto al modo di parlare, lo sembrava tantissimo).
Entrammo nel suo ufficio.
“Visto che bei diagrammi di Gantt?” disse indicando i fogli appesi
alle pareti.
“E’ della scuola di Mondrian questo Gantt?” chiese Ga Dá.
“Mondrian? Mi pare di averlo già sentito. E’ un sales manager?
O forse un CEO? Boh, comunque questi sono dettagli operativi: io mi occupo delle
linee strategiche, di project management e di finance planning, di taylorismi
e di fordismi, di questo e di quello... Ah, dimenticavo, io sono Phil Maier”
ci strinse la zampa “Cos’è che volevate sapere?”
“Ci farebbe un piacere se ci spiegasse la questione dei contributi per
le specie animali del Boschetto” risposi “Il tipo alla conferenza
di là stava dicendo qualcosa, ma non abbiamo capito nulla...”
“Diceva robe strane tipo contributi a pioggia, progetti validati...”
aggiunse Grande Cái Pí.
“D’accordo” cominciò lui “Avete in mente il sistema
usato sinora? Diamo tot per i panda, tot per le foche, tot per i calicanti...”
“Ma i calicanti non sono piante?” chiese Grande Cái Pí.
“Ma no, sono dei grossi pesci blu” fece Phil atteggiandosi ad esperto.
“Non si sta confondendo coi celacanti?” suggerì Ga Dá.
Phil, dopo un attimo di perplessità, ammise: “Può essere.
Comunque io lavoro a livello strategico, mi occupo di piani triennali e di implementazioni,
di workshop e di team, di questo e di quello. Calicanti o celacanti è
un dettaglio che rientra nel livello operativo... non so, in un sottoprogetto,
magari così, a spot... per quel che me ne frega poi di quei pesci, brutti
come pochi: fosse per me li estinguerei del tutto con le bombe. Un po’
come l’altro giorno. Mi dicono che si sta estinguendo non mi ricordo più
che cavolo di serpente... Meglio, no? Comunque, va be’, gli faccio il
progetto per il serpente sfigato. Che, tra l’altro, se tentano di metterlo
in pratica, magari è la volta buona che ce ne liberiamo. Ma perché
stavamo parlando del serpente sfigato?”
“Ne stava parlando solo lei” precisò Grande Cái Pí
“A noi premeva sapere qualcosa sui finanziamenti per i panda, i cervi
di padre David e le salamandre di padre David”.
“Avete presente il piano triennale?” s’informò Phil.
“Quello del Grande Fratello di 1984?” chiese Ga Dá.
“No, quello del 1984 è già scaduto” rispose lui non
cogliendo l’allusione letteraria del nostro colto amico “Quello
implementato l’anno scorso”.
“No” rispondemmo.
“Strano” disse lui pensieroso “credevo l’avessero comunicato
infotelematicamente agli stakeholders”.
“Gli...?” chiedemmo in coro nel sentire nuovamente questa curiosa
parola.
Suonò il telefono.
“Scusatemi un attimo” disse lui.
“Forse sono quelli che stanno in equilibrio sugli skateboards” suggerì
Grande Cái Pí sottovoce per non disturbare.
“Sarebbe troppo bello” sussurrammo io e Ga Dá.
“Ciao, Johnny, come va?” diceva intanto Phil al telefono “a
proposito, bello il tuo briefing sulle balene al workshop... ah, era sulle foche
monache? va be’, sempre roba che sta in acqua... eh sì, mi sa che
ho scritto «balene» anche nel progetto che ti ho mandato, controlla...
va be’, tu togli «balene» e metti «foche monache»,
tanto il réport ce l’hai anche infotelematico, no?... ma certo
che va bene anche per le foche: è lo stesso che avevo fatto per quel
serpente sfigato...” ci strizzò l’occhio “ho solo cambiato
il nome dell’animale. Serpente, foca, balena, sono dettagli operativi,
li mettete come volete. Io mi occupo del livello strategico, sai, di on demand
e di on line, di questo e di quello... senti, a proposito del réport
delle balene, me lo puoi mandare indietro, infotelematico, s’intende,
che per sbaglio l’ho cancellato e mi potrebbe servire per un progetto
su degli schifi di pesci che non mi ricordo come si chiamano, qualcosa tipo
ipnotici, no, aspetta, un panda che c’è qui mi dice dipnoi... sì,
ho qui tre panda... ma sì, sono sicuro, almeno i panda li so riconoscere,
sono come quelli dello stemma del Wwf, solo che questi qua di zampe ne hanno
quattro... va bene, ciao, ci vediamo a qualche coffee break e se mi fai ricordare
ti faccio il test della Nasa”.
Appoggiò la cornetta. “Dicevamo?”
“Cosa sono gli stakeholders?” chiedemmo.
“I portatori di interessi” fece lui con aria meravigliata, come
se stesse dicendo un’ovvietà.
“Ne sappiamo quanto prima” dissi a nome di tutti e tre.
“Insomma, tutti quelli che hanno un interesse attivo barra passivo nelle
attività di un’azienda o di una qualsiasi altra cosa. Facciamo
un esempio. C’è una fabbrica. Il proprietario è uno stakeholder,
perché ha interesse che la fabbrica funzioni (anche se spesso sembra
il contrario). Ma anche i dipendenti sono stakeholders perché se la fabbrica
fallisce devono cercarsi un altro lavoro (anche se spesso devono farlo comunque).
E se la fabbrica butta nel lago gli scarti di lavorazione, anche le papere sono
stakeholders, perché rischiano di crepare tutte. Che, per inciso, sarebbe
un vantaggio: animali che fanno casino per niente. E’ un po’ come
l’altro giorno. Mi dicono che in una riserva in uno stato africano che
non mi ricordo e che manco sapevo che esistesse c’è un calo nel
numero degli elefanti... Tanto di guadagnato, dico io: occupano un sacco di
spazio e non servono a nulla. Comunque, ok, vi faccio un progetto. O un altro
giorno ancora mi chiamano allarmati per dirmi che sembra sia scomparso il tale
uccellino... Non dormirò la notte! Certo, era meglio se scompariva quello
che mi caga sempre sul parabrezza.”
Squillò ancora il telefono.
“Scusate... Ciao Rob... Cosa facciamo per il pelobate fosco? Ma, non so,
si potrebbe fare un metaplan o un brainstorming oppure ce ne sbattiamo e lo
lasciamo estinguere, tanto non so nemmeno cos’è... ok, ok, non
ti arrabbiare, ti mando un progettino... anzi, senti, ho per sbaglio cancellato
il réport, ma me lo dovrebbe rimandare Johnny, quello delle balene, no,
delle foche monache, anzi, fai così, manda una mail a lui e digli di
mandarti il réport e dove c’è scritto balene (o foche monache
se l’ha già corretto) tu scrivi pelobati foschi, ok?...”
Stava per metter giù, ma, con una smorfia che sembrava dire che aveva
dimenticato qualcosa di importante, riaccostò di colpo la cornetta all’orecchio.
“Ah, Rob, non dimenticare di fare un réport per gli stakeholders...”
disse d’un fiato, ma troppo tardi.
“Aveva già riattaccato” ci disse “va be’, gli
mando una mail come reminder: sapete, questi studiosi vivono un po’ in
un loro mondo. Mi stavate chiedendo del serpente sfigato, giusto?”.
“No” negò deciso Grande Cái Pí “A noi
di questo serpente non frega niente”.
“Nemmeno a me” disse lui “Anzi, i serpenti mi stanno sulle
balle. Comunque, non preoccupatevi: da quel che mi hanno detto, è spacciato.
Un po’ come l’altro giorno: mi chiamano e mi dicono che il gorilla
di montagna è in pericolo. Meglio lui di me, no? Comunque, va be’,
facciamo un progetto anche per il gorilla di montagna”.
“Stavamo chiedendole” intervenni io “dei finanziamenti per
la salvaguardia dei panda, dei cervi di padre David e delle salamandre del medesimo”.
“Avete presentato un progetto validabile?” chiese lui.
“A dire il vero...” cominciai, ma un altro driiiiin mi interruppe.
“Scusate... ciao Rob, dimmi... ok, hai avuto il réport sulle balene,
bene: usa quello e al posto di balena scrivi gorilla di montagna... ah, sì,
scusa, tu hai il pelobate fosco, non il gorilla di montagna, e allora scrivi
pelobate fosco... ma sì, può essere che passando dalla balena
al pelobate ci sia qualche feed da modificare, ma quel che conta è il
layout complessivo... ecco, giusto, togli la pizza e metti quello che mangia
il pelobate... nemmeno le balene mangiano la pizza?... ma sì, la pizza
sarà rimasta da quando il réport era su una specie di serpente...”
e rivolto a noi fece un gesto per indicare che era stufo del serpente “certo
che il serpente sfigato mangia la pizza: abbiamo comprato tonnellate di pizza
per ‘sti cazzi di serpenti... ma dai, ce l’ha detto il Panzoni,
gliel’ha detto suo cognato che ha una catena di pizzerie: se non lo sa
lui... e poi credi che quelli là sappiano cosa mangia il pelobate, non
sanno nemmeno cos’è... comunque, se proprio ci tieni, mettici quello
che mangia, correggi pure i dettagli, quelli sono cose a livello operativo,
io ho messo gli indirizzi di piano, come dire, sai, lavorare per progetti e
fare sforzi trasversali, questo e quello... sì, sì, va bene, ora
scusami ti devo lasciare che ho qui tre panda in ufficio”.
Riagganciò.
“Non doveva dirgli quella cosa degli stakeholders?” chiese Ga Dá.
Lui si batté il palmo sulla fronte: “E’ vero, mi sono dimenticato...
scusate un attimo...”.
Impegnato a digitare il numero, non si accorse dei nostri sogghigni.
“Rob? Sì, sono io, Phil. Mi sono dimenticato di dirti di fare un
réport per gli stakeholders... come non sai cosa sono gli stakeholders?...
i portatori di interessi attivi barra passivi... tipo il padrone che porta i
soldi in Svizzera e visto che c’è si fa un lifting, le papere che
muoiono... no, non per il lifting, almeno non credo, ma se vuoi facciamo un
focus group sul topic... dai, se ci vediamo a uno showroom ti spiego meglio...”
Allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo: “Scusatemi,
oggi è una di quelle giornate che sembra un brainstorming telefonico...
Allora, si diceva del serpente sfigato...”
“Ancora con questo serpente del cazzo?” sbottò Grande Cái
Pí.
“Ah, è vero, scusate, si diceva dei panda, dei cervi e dei pelobati
di padre David...” cercò di rammentare Phil.
“Quasi giusto” gli concessi “a parte che sono salamandre e
non pelobati”.
“A proposito, voi sapete cos’è un pelobate?” ci chiese.
“Una specie di rospo” rispondemmo.
“E non mangia la pizza?”
Scuotemmo decisi la testa.
“D’accordo, torniamo a voi. Magari potreste fare un gruppo di lavoro
organizzato a matrice...”
“Noi eviteremmo volentieri” disse Grande Cái Pí.
“In effetti non serve a niente” ammise Phil “ma, se è
per questo, niente di quello che facciamo qui serve a qualcosa. A parte far
guadagnare una fracca di soldi a noi consulenti, s’intende”.
Stavo per ricondurre il nostro interlocutore all’argomento che ci interessava,
ma suonò ancora il telefono.
“Un numero sempre maggiore di questi animali è ucciso dalle eliche
dei motoscafi? Ma sai che la notizia mi dà i brividi” ci guardò
muovendo circolarmente la mano con il palmo verso l’alto, come per dire:
“Sapessi quanto...”
“D’accordo, ti butto giù un progetto” proseguì
“Ma dammi un feedback necessario per l’implementazione: è
elle apostrofo amantino o lamantino tutto attaccato?... tutto attaccato, ok,
e, così per curiosità, com’è fatto un lamantino?...
ah sì, adesso l’ho in mente. Ciao”.
“Ecco cos’era” bisbigliò attaccando la cornetta “pensavo
di essermi scontrato con una foca morta da un paio di secoli”.
“Gli stakeholders” dicemmo noi in coro.
“Caspita, è vero” disse lui battendo un pugno sul tavolo
“Lo chiamo più tardi per avvertirlo. Oppure faccio finta di niente.
Metti che poi qualche stakeholder si impunta e non posso più usare il
motoscafo…”
“Non stavamo parlando del serpente” mise subito in chiaro Grande
Cái Pí.
“Certo, certo, perché parlare di serpenti?” disse Phil “A
me personalmente fanno ribrezzo...”
“Ma a proposito di noi animali del Boschetto...” intervenne Grande
Cái Pí, ma ancora una volta il telefono ci bloccò.
“Sì, ciao Francesco... puoi ripetere il nome dell’animale,
scusa?... marsicano?... sì, sì, orso marsicano, ora mi ricordo,
pensa che buffo, che magari uno, voglio dire uno non esperto come noi due, potrebbe
anche confondersi e capire orso marziano” intanto con una biro correggeva
dei fogli che aveva tolto da una cartelletta “d’accordo, ti mando
il progetto... ok, senti, l’orso marsicano cosa mangia... perfetto, se
mangia di tutto, mangerà anche la pizza... senti, dei panda qui mi chiedono
se conosci un'orsa che si chiama Domitilla... ok, digli che lo salutano Cái
Pí, Grande Cái Pí e Ga Dá... e saluta da parte mia
Carla... tua moglie... ah, si chiama Elisabetta? be’, è facile
confondersi, son nomi un po’ simili, e poi i nomi sono cose a livello
operativo, sai che io sono più sullo strategico, tipo problem solving
e counsel board, questo e quello... comunque salutami lei e tutti gli stakeholders”.
Invece di riagganciare, Phil posò sul tavolo la cornetta.
“Così non ci disturba nessuno” disse e cominciò a
spiegarci il mondo dei fantomatici “progetti”. Dopo una mezz’ora,
rintronati da project management e marketing, stakeholders e brainstorming,
taylorismi e fordismi, questo e quello, cominciavamo a perdere lucidità.
Ga Dá, senza rendersene conto, cominciò come in trance ad enunciare
proposizioni sull’ermeneutica.
“La filosofia dell'esistenza...” biascicava il nostro amico “il
rapporto tra la forza del linguaggio come intuizione e l'elaborazione concettuale
della filosofia... la portata ontologica dell’arte come parte integrante
di un processo incompiuto...”
A me e a Grande Cái Pí, per un attimo fugace, parve persino di
capire quello che Ga Dá stava dicendo. Fortunatamente, il pericoloso
stato di allucinazione durò poco e presto, con nostro sollievo, ci rendemmo
conto che ci era estraneo quanto il mondo reale ad un project manager.
“La storicità dell’esistenza come sintesi di passato e presente...”
continuava il povero Ga Dá “e fusione di orizzonti diversi...”
“Interessante!” disse Phil “Se lo implementiamo con qualche
parola in inglese e ci buttiamo qua e là ‘lavorare per progetti’,
può venir fuori un réport bellissimo”.
“Grazie di tutto, Phil” salutammo “Ma il nostro amico ha bisogno
di un po’ d’aria”.
“Certo” disse lui aprendoci la porta mentre portavamo a spalla il
nostro filosofo “per il progetto non vi preoccupate: ve lo forwardo io.
Salutatemi i vostri stakeholders”.
Nell’atrio rovesciammo in faccia a Ga Dá il contenuto delle bottigliette
di acqua minerale che erano sul capitello dorico: tanto facevano pop art anche
vuote. Il nostro amico si riprese e balzati sul nostro aeroplano facemmo rotta
verso casa.
Epilogo
Dal “Corriere del Panda”.
Consegnato un vagone di pizze al Boschetto. Si tratta del contributo annuale
dell’ente che tutela le specie in via di estinzione. Gli abitanti del
Boschetto, vista l’abbondanza di queste derrate, hanno aperto la “Pizzeria
di Padre David”.
“Tutti i progetti sono stati validati al 100%” ci ha detto Phil
Maier, consulente esterno dell’ente “Ma sono contento in modo particolare
per i miei amici panda”. Ma per qualche specie il contributo è
arrivato troppo tardi. Un raro serpente, infatti, si è estinto poco prima
di poterne usufruire. “Se non ci fosse stato un ritardo di pochi mesi
nell’implementazione, i serpenti sarebbero salvi” ha commentato
Maier “Meno male che non rispettiamo mai i tempi”.