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STUDI DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI CAVALLASCA
2 (2000), pp.21-27
GIORGIO CASTIGLIONI
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, DEMOGRAFICHE ED ENTOMOLOGICHE DEL CANONICO GATTONI
La Biblioteca Comunale di Como conserva tra i suoi manoscritti una serie di carte raccolte sotto il titolo Scritti di geografia, economia, politica. Lavori scolastici ed attribuite a Pietro Paolo Raimondi [1].
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE
Tra di esse troviamo delle Osservazioni Meteorologiche sulla mia Patria.
Anche se non sono autografe, non c'è ragione di dubitare dell'annotazione
sull'ultima pagina del fascicolo dove ritroviamo il titolo con l'aggiunta "del
Canonico Gattoni" [2]. Il titolo è ripetuto anche
su un foglietto infilato tra le pagine dove si precisa: "Il sig.r C.o Gattoni
mi â favorite le qui acchiuse osservazioni, che leteralmente espongo"
[3].
Nelle "acchiuse osservazioni" sono comprese, tra le altre, la notizia
che "dal 1772 in quà si viddero attraversare tutto il nostro orizzonte
cinque Bolidi" e quella di un' "aurora nella quale il cielo sembrò
una divampante fiamma" [4].
Il manoscritto contiene anche una descrizione dell'"Armonica Meteorologica",
ovvero una serie di fili metallici tesi da una torre delle mura cittadine concessa
in uso al canonico, ancor oggi nota come "torre Gattoni", alla sua
abitazione. Quando si preannunciavano variazioni del tempo, i fili, accordati
"in modo da produrre le sette voci fondamentali della musica ed una divisione
di semitoni crescenti e diminuenti", producevano "per ore intiere
spontanej armoniosi suoni giorno e notte" [5].
La conclusione di queste annotazioni meteorologiche è nello stile del
Gattoni:
"Molte esperienze ed osservazioni si son fatte e sul barometro e sui vegetabili a conoscere le influenze della Luna malgrado la rusticana volgar persuasione, e l'equivoche asserzioni de vecchj medici, e fisici; se si eccettuino li effetti della gravitazione si sono ritrovate tanto vere e costanti quanto i congressi delle Lamie alla noce di Benevento, e tant altre moderne fanfaluche, colle quali si sono abbacinati i gonzi." [6]
RIFLESSIONI DEMOGRAFICHE
Seguono, partendo sulla stessa pagina, delle Rifflessioni sopra le annotazioni
Parrochiali di Como, nelle quali l'autore, che espone il "Risultato
d'un calcolo fatto sopra li registri parochiali nel 1775 il quale comprende
lo spazio di anni 174", dimostra come "certe dominanti malattie dello
spirito [...] molto influiscono sul fisico" e come la "brevità
della vita" sia dovuta al "dominante libertinaggio" [7].
Infatti, "le più longhe età nello spazio sopradetto si sono
ritrovate ne claustri religiosi in maggior numero" e la longevità
dei canonici "a che si deve attribuire se non se alla religiosa e morale
condotta inerente" al loro stato? [8]
NOTE ENTOMOLOGICHE
A Gattoni va ricondotto senza dubbio anche un altro degli scritti compresi in
questa raccolta, ovvero alcune annotazioni sugli insetti. Ne abbiamo due versioni.
La più breve, che reca il titolo Dell'entomologia, corrisponde,
con leggere varianti, alla parte iniziale ed a quella finale dell'altra, intitolata
Note entomologiche. Neppure queste carte sono autografe e inoltre,
a differenza del caso precedente, non c'è alcuna annotazione che le attribuisca
esplicitamente a Gattoni. Due indizi sembrano tuttavia decisivi per chiamare
in causa il canonico.
1) Verso la fine dello scritto, una frase nella versione più lunga recita:
"ma Io non ne trovo de più efficaci se non quello" etc. ed
in quella più breve: "ma il Canonico Gattoni non trova più
efficaci se non quello" etc. [9]
2) Le annotazioni si concludono con una polemica contro "alcuni individui
a faccia umana dotati del singolar privileggio di vivere lungo tempo senza cervello
siccome le tartarughe; ò più mesi senza testa come quelle locuste
da noi dette damigelle." [10] Si confronti tale conclusione
con un passo del diario del canonico in cui egli scriveva dei municipalisti
che "a nostro danno, vivono, come vissero le tartarughe del Redi per ben
sei mesi col cranio vuoto" [11].
INSETTI UTILI
Nel manoscritto si ricorda come alcuni insetti siano di grande utilità.
Ovvi esempi sono l'ape e la "falena della seta". Dai "moscherini
della cociniglia" si ricavava un colorante rosso usato in tintoria (il
chermes). Numerosi erano gli insetti usati in medicina. Il manoscritto ne ricorda
alcuni, tra i quali le sanguisughe (che, secondo la terminologia attuale, non
sono insetti, ma anellidi irudinei) e le cantaridi, coleotteri usati come "vescicanti"
[12].
In un Manuale dell'infermiere della prima metà dell'Ottocento
leggiamo che i "vescicanti oltre il rossore, dolore, ed aumento di calore
alla parte cui si applicano, determinano eziandio una secrezione di siero sotto
la pelle, per cui questa è costretta ad elevarsi sotto forma di vescica.
Varie sostanze si possono adoperare a tale intento, ma comunemente usasi una
pasta fatta colle cantaridi" [13]. Tale impiego aveva
"due scopi principali: per migliorare ed aumentare la circolazione localmente
e per alleviare il dolore" [14]. Gattoni stesso, nel
suo diario, ne annotò l'efficacia come analgesico: "Accorso il Dottor
Cavaleri l'antico Medico di casa riparò l'accidente collo caricarmi di
vescicanti quali tolsero i dolori ed altre mi diede opportune pillole"
[15].
Nel manoscritto si ricorda che, oltre all'uso esterno, "In piciola dose
e con molta precauzione se ne fa anche uso interno ed una più grande
quantità in brev ora levò di vita il nostro Menatti Vescovo"
[16].
L'autore era convinto che ci fossero altri insetti la cui utilità era
ancora insospettata e quindi non sfruttata: "Quanti insetti disprezziamo,
e crediamo inutili ò importuni perche non ne sappiamo le prerogative"?
[17]
In queste annotazioni troviamo qualche curiosa indicazione in questo senso.
Alcuni insetti potevano rivelarsi bocconi prelibati [18].
A tintori e pittori si suggeriva di trovare il modo di utilizzare il "liquore
gommoresinoso" di un "bel colore giallo-rancio" che "sprazza
fuor di bocca, e dalle articolazioni delle zampe" del meloe proscarabeo
(un coleottero) quando lo si afferra [19]. Insetti dotati
di belle colorazioni potevano "servire ad opere galanti di Merceria"
o essere incastonati in "anella coperte di vetro" [20].
Gli effluvi provenienti da "alcune specie di Cerambici odorosi" -
seguendo il consiglio di Anton Maria Vassalli - potevano essere sfruttati per
produrre acque profumate [21]. Vassalli, che aveva spiegato
in un articolo per gli "Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti"
come "estrarre, e ridurre in uso lo spirito rettore de' Cerambici odorosi",
così presentava il risultato: "la ritrovai odorosissima, ed avendola
fatta fiutare a diverse persone, la giudicarono acqua distillata d'odore gratissimo,
che altri diceva di rose, altri pensava, che con le rose si fosse distillato
qualche altro fiore" [22].
"Il Professore Gerbi" scrive ancora l'autore "ci â instrutti
a far cessare il dolor de denti collo stropicciar fra le dita la larva del Curculione
odontalgico [...] indi colle dita toccarsi li denti, e strofinargli se occorre."
[23] Gerbi, professore di matematica all'Università
di Pisa, scriveva che in genere bastavano pochi secondi per sentire gli effetti,
anche se, nel caso di un "dolore più ostinato [...] abbisognano
perfino otto e dieci minuti primi, e tre o quattro applicazioni delle dita".
Una volta tolto il dolore bisognava "nuovamente toccare il dente per due
o tre volte all'oggetto d'impedirne il ritorno". Le dita che avevano schiacciato
le larve (o anche l'insetto "formato di poco, cioè quando contiene
ancora molto umido [...]. Anzi è ben fatto di servirsi promiscuamente
delle larve, e degli insetti"), secondo l'autore, mantenevano la loro virtù
curativa "per circa lo spazio di un anno, per quanto si lavino frequentemente,
e si adoprino a tutti gli usi ordinarj. Solo si osserva, che essa va lentamente
diminuendosi a proporzione che si tocca un maggior numero di denti cariati."
Il metodo funzionava bene, a detta del Gerbi, se le carie erano dovute ad un
"vizio locale", non altrettanto quando la causa era un "vizio
generale d'umori" e poco o nulla se i denti cariati erano numerosi. Lo
studioso indicava anche altri insetti che potevano essere usati per questo fine
e ricordava di aver conosciuto "uno che faceasi morir tra dita un ranocchio
verde, comprimendolo, e dicea poi di guarire con esso il mal di denti"
[24].
Degli insetti antiodontalgici si occupò anche Gioacchino Carradori. Anch'egli,
in un articolo per il "Giornale fisico-medico", nominò diversi
insetti che sembravano possedere, in diversi gradi, questa caratteristica. Carradori
proponeva anche una spiegazione: "Il mio parere si è, che egli agisca
puramente per una virtù anodina particolare, cioè che induca nel
sistema nervoso, che egli investe, una modificazione tale, per cui diventi incapace
di stimolo doloroso". Un anestetico, insomma, e non una cura [25].
Carradori pubblicò poco dopo sulla stessa rivista un altro articolo sull'argomento,
dove si dava notizia, tra l'altro, di un tentativo fatto con le cantaridi: "Le
cantaridi si sono adoprate sempre applicandole tali quali al dente cariato,
ma con la cautela, che non toccassero la gingiva, per non produrre escoriazione;
e in pochi minuti hanno quasi sempre calmato il dolore" [26].
Anche Giovanni Castiglioni suggeriva l'uso delle cantaridi (una "forte
tintura di cantaridi preparata coll'alkool") per curare i dolori di denti
ed anch'egli avvertiva di evitare il contatto con le gengive e la lingua per
evitare di "produrre vescichette ed escoriazioni". Tale rimedio aveva
come vantaggi la "facilità di essere preparato, ed applicato"
e la "conservabilità per anni in vasi chiusi" [27].
Un articolo pubblicato sugli "Avanzamenti della medicina e fisica"
(nuovo titolo del "Giornale fisico-medico"), invitava ad una maggior
cautela nel valutare gli effetti degli insetti antiodontalgici: "Molte
odontalgie hanno realmente ceduto all'applicazione [...]; ma poche sono state
quelle, che hanno per sempre cessato". Dunque, "il rimedio non è
disprezzabile, ma non è quello specifico, che è stato tanto da
alcuni decantato" [28].
FARFALLE
I colori delle ali delle farfalle e quelli dei bruchi potevano offrire dei modelli
per l'abbigliamento e l'arredamento [29].
Per esempio, il "Papilio Nymphalis Atalanta [...] detto da noj vulcano"
(Vanessa atalanta) poteva ispirare la scelta dei colori "per i
gilè d'inverno", la Sphinx ligustri per "tende, e
tapezzerie d'inverno" (ed il bruco di questa sfingide per un "sott
abito di panno"), la sfinge testa di morto per "vesti velutate da
camera per li asmatici, vecchj, umorali, e minacciati da vicina idrope e soffocamento"
[30].
Gattoni aveva un grande interesse per le farfalle. In un suo testamento, leggiamo
che tra i "libri, de quali ho, per il mio stato, speso assai, quelli della
storia delle farfalle sono stati pagati in ragione di lire tré per ogni
carta di figure miniate" [31].
Nel suo diario, annotava: "il Sig.r D. Luigi Porro [...] nel passeggiare
in campagna di S. Croce col suo Cameriere mi hà preso una farfalla [...]
era la Cedronella di Linneo" [32].
Il canonico aveva una collezione di farfalle che era cominciata, stando a quel
che leggiamo nel manoscritto, con una "Sphynx atropos" (ovvero la
Acherontia atropos, la sfinge testa di morto):
"Una di queste nell oscurità della sera con un ronzio spaventoso
volò nella stanza del can.co Gattoni e di slancio appoggiossi sulla fiamma
d'una candela in sua mano e l'estinse: inavertito ne fù sorpreso, ma
un suo compagno intento ad operare restò quasi senza sentimenti per lo
spavento. Era allora scolare, e conosciuto l accidente volle tenere l'atropos
per memoria del caso[.]
Ecco la prima farfalla principio d'osservazioni e della collezione" [33]
La raccolta del canonico è ricordata anche quando si parla della "Sphynx
nerij" (sfinge dell'oleandro, Daphnis nerii): veniamo informati
che "di questa bellissima e gigantesca farfalla se ne veggono tre nella
indicata collezione" [34].
Quando viene presentata la "Papilio Aeques Heliconius", troviamo la
seguente annotazione: "Cotesta è una delle più preziose,
e rare che noi abbiamo. Non si trova che nelle alpi altissime[.] alcune di tali
farfalle veggonsi nella bellissima collezione del celebre Naturalista Canonico
Gattoni" [35]. Perché la sua "bellissima
collezione" non mancasse di queste "preziose, e rare" farfalle,
il canonico ne aveva acquistati degli esemplari da "un mercante di corpi
naturali" che "non ne volle mai dare a minor prezzo di otto Z[ecchi]ni
per cadauna" [36].
INSETTI NOCIVI
Accanto agli insetti utili, ce n'erano anche di "schiffosi, è dannosi"
[37].
Già nella parte dedicata alle farfalle, erano ricordati i danni procurati
ai cavoli dai bruchi e si consigliava, per difendere questi ortaggi di innaffiarli
mattina e sera con una "decozione delle foglie di sambuco" [38].
Nella parte finale dello scritto sono riportati altri consigli per liberarsi
da alcuni indesiderati animaletti [39].
Per difendere archivi e biblioteche dalle "camole", Hermann proponeva
di usare l' "oglio di cedro, la pasta formata dalla farina di frumento
mista con limatura di ferro" [40]. Contro il curculione
del grano bisognava, secondo Giambattista Gazzola, "tenere degli odori
forti di corpi imputriditi nel granajo come riporvi de gamberi vivi e lasciar
che muoiano ed infracidiscano" oppure, più semplicemente, porre
sul grano rami verdi di canapa da scuotere poi sopra il fuoco o l'acqua quando
gli insetti, da essi attratti, vi siano saliti [41]. Benedetto
Gatti, per liberare i letti dalle cimici, suggeriva l'impiego della tintura
del "meloes vesicatorius" [42].
NOTE:
[1] BIBLIOTECA COMUNALE DI COMO (BCCo), ms 2.3.16.
[2] Ivi, 46 v.
[3] Ivi, allegato alla c.40.
[4] Ivi, 39r.
[5] Ivi, 40v-42r (parte citata: 41r). Sull'armonica meteorologica:
Lettera del Sig. Ab. Don Giulio Cesare Gattoni Canonico della Cattedrale
di Como al Ch. Sig. Don Pietro Moscati [...] Sopra una nuova maniera di scoprire
i più piccoli cambiamenti nell'Atmosfera con un apparato infinitamente
più sensibile degli altri fino ad ora conosciuti, in "Opuscoli
scelti sulle scienze e sulle arti", VIII (1785), pp.298-309; versioni manoscritte:
BCCo, ms 2.4.43; BCCo, ms 3.3.21. Cfr anche GIOACCHINO CARRADORI, Transunto
dell'Osservazioni Armonico-meteorologiche Fatte dall'Ab. Gaetano Berrettari
in Pistoia, in "Annali di chimica e storia naturale", XVIII (1800),
pp.56-61 (specialmente le pp.57-58); A[NGELO] BELLANI, Suono reso da un
filo metallico teso in pien'aria, in "Giornale dell'I.R. Istituto
Lombardo e Biblioteca Italiana", XIV (1846), p.435, e XV (1846), pp.136-141.
[6] BCCo, ms 2.3.16, 42r.
[7] Ibid.
[8] Ivi, 43r.
[9] Ivi, 48v = 55v (qui ed in seguito, i numeri delle carte
delle due versioni sono indicati ponendoli di seguito separati dal segno "=".
La presenza di un solo numero indica che la parte cui si fa riferimento compare
solo nella versione più lunga).
[10] Ibid.
[11] GIULIO CESARE GATTONI, Giornale gallo-cisalpino
(BCCo, ms 6.4.1), p.257, 6 dicembre 1797.
Sulle cavallette, cfr Traduction d'une lettre Du Colonel Pringle à
M. Small, in "Observations sur la Physique, sur l'Histoire Naturelle
et sur les Arts", XVI (1780), p.236; tr. it. Lettera del Sig. Colonnello
Gio: Pringle al Sig. Small Sulla vita delle Cavallette, in "Opuscoli
scelti sulle scienze e sulle arti", III (1780), pp.427-428, dove si legge
che questi insetti sarebbero sopravvissuti senza testa fino a 174 giorni.
Sulle tartarughe, cfr FRANCESCO REDI, Osservazioni intorno agli animali
viventi che si trovano negli animali viventi, in ID., Opere, vol.3,
Milano, Società Tipografica de' Classici Italiani, 1810, pp.335-337:
"avendo più volte cavato il cervello a molte generazioni di volatili
e di quadrupedi; ed osservatone gli eventi, mi venne pensiero di veder quel
che succedesse nelle Tartarughe terrestri; e ad una di quelle, nel principio
di Novembre, fatto un largo forame nel cranio, cavai pulitamente tutto il cervello,
[...] visse fino a Maggio; sicché ella campò sei mesi interi.
[...] Son vissute ancora altre molte Tartarughe, alle quali nella stessa maniera
[...] cavai tutto quanto il cervello [...] E ho detto, che vivessero lungo tempo;
imperocché quelle, che camparono meno dell'altre, arrivarono a cinquanta
giorni di vita, e l'altre passarono molti e molti mesi senza morire. Non son
sole le Tartarughe terrestri ad aver questa virtù di viver lungamente,
e di muoversi di luogo prive totalmente del cervello, ma ciò avviene
ancora alle Tartarughe d'acqua dolce, e ne ho fatta la prova in molte e molte
di esse [...]. Credo, che ancora le Tartarughe di Mare possano lungamente vivere
senza cervello [...]".
A titolo di curiosità, si segnala un articolo pubblicato nel 1894 sul
quotidiano cattolico comasco "L'Ordine": una "tartaruga colossale"
in mostra all'esposizione di Milano "ora vive senza mangiare: proprio l'opposto
di certi patrioti che mangiano, senza che diano però segni di vita, essendo
la loro esistenza perfettamente inutile" (Una tartaruga colossale,
in "L'Ordine" (Como), 1 settembre 1894, p.2).
[12] BCCo, ms 2.3.16, 47r = 49r. Sul baco da seta, cfr anche
ivi, 51v-52r.
[13] ERNESTO RUSCA, Manuale dell'infermiere ossia istruzione
nel modo di assistere i malati, Milano, Paolo Andrea Molina, 1833, p.107.
Poco prima (pp.99-103), l'autore si era occupato delle sanguisughe. Sulla raccolta
delle cantaridi, cfr LUIGI FIGUIER, Gl'insetti, Milano, Treves, 1881,
pp.567-568 (e illustrazione a p.561): "Siccome vive in società numerose,
si raccoglie facilmente e con minori spese che non sarebbe necessario per altre
specie della stessa famiglia che vivono isolatamente, ma che hanno le stesse
proprietà medicinali. Si conosce la presenza delle Cantaridi per l'odore
di topo che mandano da lontano. Allorché, guidati da questo odore, si
è scoperto l'albero, per lo più un frassino, sul quale si sono
posate le Cantaridi, le raccolgono nel modo seguente. Di buon mattino si stende
al piede dell'albero una tela di un tessuto chiaro, e si scuotono molto i rami.
Questi intorpiditi dal freddo della notte non cercano di fuggire. Quando si
crede sufficiente il raccolto, si rialzano i quattro lembi, e s'immerge ogni
cosa in una vaschetta d'aceto annacquato. Questa immersione basta a far morire
le Cantaridi. Le trasportano poi in un granaio, o sotto una tettoia ben aerata.
[...] Di tanto in tanto, onde secchino più prontamente, le muovono con
un bastone, e non colle mani nude. La stessa precauzione deve esser presa anche
durante il raccolto."
[14] LOUIS S. GOODMAN - ALFRED GILMAN, Le basi farmacologiche
della terapia, Milano, Francesco Vallardi, 1963, vol.2, p.1027. "L'uso
di un rubefacente può alleviare il dolore prodotto da un[o] spasmo intestinale
sia perché l'aumentata circolazione sanguigna ha un'azione benefica sullo
spasmo intestinale sia perché gl'impulsi afferenti viscerali vengono
bloccati da quelli cutanei" (ibid.). Cfr anche FELICE FRANCESCHINI, Gli
insetti utili, Milano, Hoepli, 1882, pp.30-35; voce Vescicante, Vescicatorio,
in Nuova enciclopedia italiana ovvero Dizionario generale di scienze, lettere,
industria, ecc., vol.XXIII, Torino, Utet, 1888, pp.103-104; ALBERTO LOIZZO,
Cantaride, in Enciclopedia medica italiana, 2a ed., Firenze,
Uses, 1974, vol.3, coll.640-641.
[15] GATTONI, Giornale gallo-cisalpino, cit., p.
non numerata a fianco della 1048, 27 febbraio 1800. Il canonico cita i vescicanti
anche ivi, p.1052, 1 marzo 1800, e nella Lettera del cittadino C.o G.C.
Gattoni al cittadino Crisanto Cavaleri, Como, Carl'Antonio Ostinelli, 1799,
p.16.
[16] BCCo, ms 2.3.16, 53v; cfr GIUSEPPE ROVELLI, Storia
di Como, parte III, tomo II, Como, Carl'Antonio Ostinelli, 1803, p.326:
"vuolsi, che un corrosivo di cantaridi sportogli dal cameriere per isbaglio
in luogo della medicina gli cagionasse, o piuttosto gli accelerasse la morte".
L'uso interno era molto contestato e l'"aver prescritto una medicina così
pericolosa" poteva condurre in carcere (Osservazioni Sull'uso delle
cantaridi prese in sostanza in certe malattie della vescica; del Sig. G.C. Smyth
Medico straordinario di S.M. il Re d'Inghilterra. lette nella R. Società
nel 1790, in "Giornale fisico-medico", 6 (1793), t.II, p.193).
Secondo LOIZZO, Cantaride, cit., p.641, "La dose letale si aggira
su 1-2 g di cantaride o 10-15 mg di cantaridina" (la sostanza velenosa
presente in questi insetti). Cfr a. RICHARD ZUR STRASSEN, I coleotteri,
in BERNHARD GRZIMEK, Vita degli animali, vol.2, Milano, Bramante, 1973,
p.255: "La sostanza velenosa più efficace contenuta nel sangue dei
Coleotteri è la cantaridina, che curiosamente non produce alcun effetto
apprezzabile su molti Vertebrati insettivori (ad esempio Rane, Ricci, Chirotteri
e Uccelli), ma che risulta letale per l'uomo già nella dose di 0,03 gr."
Alla voce Cantaridi della Nuova enciclopedia italiana, cit.,
vol. IV, 1877, pp.975-976, leggiamo che questi coleotteri, che avevano anche
fama di essere dotati "di virtù afrodisiache e di potere abortivo",
figuravano allora al decimo posto tra le cause di morte per avvelenamento. L'estensore
della voce annotava che, per quanto si cerchi di farne una "polvere minuta",
restavano sempre "punti che derivano dagli elitri". Tuttavia "altri
insetti portano elitri aventi il colore ed il riflesso metallico di quelli delle
cantaridi, e particelle di paglia o di canutiglia possono imitarne l'apparenza".
Dunque "pagliette che si credono di cantaridi" andavano sperimentate
ponendole sul labbro per vedere se provocavano una vescichetta.
Cfr anche la relazione di Emilio Cornalia negli "Atti della Società
Italiana di Scienze Naturali", VIII (1865), pp.269-270: "Essendo stato
altre volte incaricato dal tribunale criminale di Milano se un frammento quasi
appena visibile di un insetto potesse appartenere ad una cantaride, sospettandosi
d'un caso di avvelenamento", Cornalia studiò 50 specie di coleotteri
simili concludendo che si può sempre distinguere la cantaride per "disegni
ed accidenti di superficie diversi.
Un tal lavoro di zoologia legale potrebbe servire in ogni caso analogo, anche
nei casi in cui la chimica non valesse a far scoprire il principio venefico
della cantaride."
[17] BCCo, ms 2.3.16, 47r = 49r.
[18] Ivi, 47r = 49r, 53v. Cfr PIERO BARGAGLI, Insetti
commestibili, in "Rivista europea. Rivista internazionale", n.s.,
VIII (1877), vol. II, pp.880-888; ALBERTO SALZA, Insetti da mangiare,
in "Airone", n.216 (aprile 1999), pp.26-51; Si può mangiare…,
in "Focus Extra", n.3, estate 2000, pp.34-35.
[19] BCCo, ms 2.3.16, 53r. Molte specie di coleotteri "quando
vengono toccate o disturbate si difendono emettendo goccioline di sangue dalle
zampe, nel punto in cui il femore si articola con la tibia: il loro sangue contiene
infatti delle particolari sostanze che per l'odore o il sapore disgustoso, oppure
per l'azione caustica o venefica, costituiscono un mezzo di difesa efficacissimo"
(ZUR STRASSEN, I coleotteri, cit., p.255).
Sul meloe, cfr FRANCESCHINI, Gli insetti utili, cit., p.37: "questi
brutti insetti [...] Se si irritano toccandoli, mandano dalle articolazioni
delle loro membra e dell'addome un liquido vischioso, giallastro o rosso-ranciato
ed acre, che alcuni assicurano capace di determinare delle eruzioni pustolose,
mentre altri dichiarano affatto innocente. In altre epoche i Meloe erano usitatissimi
in medicina, e facevasi, sotto il nome di olio di scarabeo, una preparazione
che veniva adoperata nella cura dei bubboni pestilenziali. Fu sostenuta da alcuni
scrittori la loro efficacia nella cura della idrofobia, ma riconosciutasi invece
affatto nulla, furono abbandonati; attualmente i Meloe non sono più usati
che come vescicatorio per usi veterinari".
L'autore della recensione a Über die begründung […] di Carlo
Sieber, in "Biblioteca Italiana", XIX (1820), pp.494-495, riteneva
opportuno "andar guardingo" quando si parlava di cure per l'idrofobia
e citava il meloe come esempio di pretesi rimedi rivelatisi invece inutili ("Non
si ottennero forse, al dire di varj medici, delle guarigioni d'idrofobi dall'uso
del meloe proscarabeo?").
[20] BCCo, ms 2.3.16, 53r-53v.
[21] Ivi, 47r-47v = 55r.
[22] ANTON MARIA VASSALLI, Memoria sopra il cerambice
odoroso, in "Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti", XIII
(1790), pp.81-94 (citazioni a p.92).
[23] BCCo, ms 2.3.16, 47v = 55r.
[24] RANIERI GERBI, Sull'insetto odontalgico, e sul modo
con cui produconsi dagl'insetti le galle, in "Opuscoli scelti sulle
scienze e sulle arti", XVIII (1795), pp.94-111 (sull'argomento trattato,
vedi le pp.94-96).
[25] GIOVACCHINO CARRADORI, Lettera sopra la virtù
Antiodontalgica di più Insetti, in "Giornale Fisico-Medico",
7 (1794), t.I, pp.3-16 (v.a. la recensione nella sezione "Libri nuovi"
degli "Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti", XVII (1794), pp.17-18).
[26] ID., Tentativi per determinare in che consista la
virtù anti-odontalgica di varj Coleopteri, in "Giornale fisico-medico",
7 (1794), t.III, pp.261-268; sulle cantaridi, pp.263-264.
[27] GIOVANNI CASTIGLIONI, Lettera [...] Sull'efficacia
della tintura di Cantarelle in alcuni dolori di Denti, ivi, 8 (1795), t.III,
pp.148-153.
[28] L.N., Sentimento [...] sopra l'Efficacia degl'Insetti
Antiodontalgici, in "Avanzamenti della medicina e fisica", 9
(1796), t.I, pp.143-148.
[29] BCCo, ms 2.3.16, 49v-53r, 54r-55r.
[30] Ivi, 50r, 51r.
[31] ARCHIVIO DI STATO DI COMO, Notarile, 4970, n.685,
18 settembre 1794 (la data sul testamento è il 4 aprile dello stesso
anno). Il merito di aver scoperto, ancora sigillato, questo testamento è
di Ivo Mancini che ringrazio per la segnalazione.
[32] GATTONI, Giornale gallo-cisalpino (BCCo, ms
4.6.1, allegato), p.4, 20 gennaio 1789. La "Citronella" (Gonepteryx
rhamni) è ricordata anche nelle Note entomologiche: BCCo,
ms 2.3.16, 54v.
[33] Ivi, 51r.
[34] Ibid.
[35] Ivi, 50v. La farfalla in questione è una Parnasius.
[36] Ivi, 54r. Il nome non è qui indicato, ma la descrizione
è chiaramente quella di una Parnasius (di cui si parla poco
dopo nel manoscritto).
[37] Ivi, 47r = 49r.
[38] Ivi, 54r-54v.
[39] Ivi, 47v-48r = 55r-55v.
[40] Dissertazione del sig. Giovanni Hermann [...] sul
quesito Quante specie d'insetti vi sono, che negli Archivj, e nelle Biblioteche
danno il guasto a' Manoscritti ed a' Libri? [...], in "Opuscoli scelti
sulle scienze e sulle arti", I (1778), pp.28-37.
[41] Transunto d'una memoria Sulla tela che i gorgoglioni
granarj fanno sul frumento, gran-turco ec. del sig. Co. Giambattista Gazzola,
ivi, XVI (1793), pp.425-426
[42] Sull'azione delle cantaridi sopra i cimici del sig.Benedetto
Gatti chimico e speziale in Como, ivi, XVIII (1795), pp.262-263.