BIBLIOTOPIA > ZOOLOGIA E DINTORNI

MOSTRI DEI MARI ITALIANI

di Giorgio Castiglioni

 

Il mostro di Campobello in un disegno
per la copertina di "Tribuna illustrata"

Già nell’antichità si raccontavano storie di mostri marini, alcuni dei quali tanto grossi ed aggressivi da mettere in pericolo le imbarcazioni che solcavano le acque.
Nella seconda metà del Settecento il naturalista Francesco Cetti, in uno dei volumi che compongono la sua storia naturale della Sardegna, ricordava gli “arieti di mare” di Eliano avanzando il dubbio che queste bizzarre creature, che si sarebbero dovute trovare nel mare tra la Sardegna e la Corsica, potessero anche non essere mai esistite (Cetti 1774, appendice, p.63).

Tra il XVI ed il XVII secolo, le stampe nelle opere di Olao Magno, Konrad Gesner, Ambroise Paré, Ulisse Aldrovandi ed altri ancora propongono mostri marini di ogni foggia (Mostri… 1980, in particolare p.35).
Un libro pubblicato nel 1672 raccontava che il 4 marzo di quell’anno sulla costa della Sardegna sarebbe stato trovato uno “spaventevole mostro” (I dinosauri… 1972, p.18).
Nelle acque di Bari, nel 1623, sarebbe stato visto un mostro “grande quanto una galera” che sembrava voler divorare un’imbarcazione (Costa – Mosca 1999, p.166; Saggese - Mosca 2009, p.50).

Nel libro di Giancarlo Costa e Maurizio Mosca che più volte si troverà citato in questo lavoro, si ricordano tre casi del XVII e XVIII secolo (a Bellaria nel 1627 e a Pesaro nel 1715 e nel 1782) avanzando l’ipotesi che potesse trattarsi di pesci luna. A questo proposito, gli autori ricordano l’esemplare catturato a Rimini nel 1934 (Costa – Mosca 1999, p.166).
Il pesce luna (Mola mola), chiamato anche pesce tamburo o pesce mola, ha una forma curiosa (l’articolo del 1956 citato poco più sotto così lo descrive: “più che un pesce sembra una grossa palla schiacciata ai due poli”) e può raggiungere notevoli dimensioni. Si fa di tanto in tanto pescare anche nei mari italiani.
Nel 1898 a Muggia (Trieste) fu catturato un pesce luna che, per il suo peso, non si riuscì a tirare a bordo. Lo si trascinò fino a riva dove fu sollevato con “la grue a mano dei piloti”. L’enorme pesce fu acquistato dal Museo di storia naturale di Trieste. Il diametro era di tre metri. Secondo l’articolo del quotidiano comasco “L’Ordine” (citato nell’elenco in fondo a questo lavoro) pesava 180 kg. Sulle pagine di un altro quotidiano comasco, “La Provinicia”, l’animale pesava invece 400 kg. Ma se la misura di tre metri è corretta, sembra più credibile la seconda misura del peso e, anzi, ci si potrebbe aspettare anche più (Un pesce-luna… 1898). Questo enorme divario nei pesi attribuiti all’esemplare, peraltro, suggerisce di non prestare una fiducia assoluta alle notizie dei giornali.
Ecco qualche altro caso di cattura di pesci luna: a Pietraligure nel 1954 un esemplare che pesava 40 kg, a Marina di Latina nel 1960 un esemplare da tre quintali, a Rimini nel 1956 uno largo quasi due metri per il quale fu stimato un peso di 7 o 8 quintali e all’Arenella, presso Palermo, nel 1902 uno da 12 quintali (le notizie provengono da articoli del quotidiano “L’Ordine” rintracciabili nell’elenco in fondo).
Cento anni dopo, nell’aprile del 2002, un “esemplare di circa 800 chili di peso, un’altezza di 2,70 metri dalla pinna dorsale a quella anale”, si è arenato sulla spiaggia di Riccione. La stessa sorte era toccata nelle due settimane precedenti ad altri quattro pesci luna, uno a Numana (Ancona), un altro a Porto Garibaldi (Ferrara) e due a Trieste (Pesce luna… 2002).
Nel giugno del 1714, nei pressi di Livorno, fu trovato un grosso pesce, lungo 5 metri e pesante 16 quintali, "tondo di figura, col grosso capo tutto unito al busto" (Saggese - Mosca 2009, p.52). Dalla descrizione sembrerebbe anch'esso un pesce luna.

Nel 1742-1743, Antonino Mongitore pubblicò il suo libro De Siciliae memorabilibus, nel quale si racconta che nel 1727 un pesce più grande del tonno, con la forma di un serpente, coperto di macchie colorate, aveva rotto le reti dei pescatori di Sarica, presso Castroreale, in provincia di Messina. Secondo Barloy si trattava di enormi murene (Barloy 1987, p.27; Cordier 1986, p.56; Costa – Mosca 1999, p.170; Bruno – Mosca 2004, p.84; Saggese - Mosca 2009, p.50).
Mongitore riporta anche alcuni altri casi di grossi animali marini, tra i quali un pesce anguilliforme lungo una dozzina di metri trovato presso Trapani nel 1706 (Saggese - Mosca 2009, p.50).
Nel 1818, in Calabria, alcuni pescatori incuriositi da una luce sotto la superficie delle acque avrebbero scoperto che proveniva da un enorme serpentone fosforescente. Barloy annota che “in realtà è una burla” e con lui concordano Giancarlo Costa e Maurizio Mosca: “è palese che ci troviamo di fronte a qualcosa di totalmente inventato” (Barloy 1987, p.27; Costa – Mosca 1999, pp.103-105; Saggese - Mosca 2009, p.52).

Il mostro della Osborne

Durante il XIX secolo si moltiplicarono gli avvistamenti di “serpenti di mare”, termine generico con il quale si indicavano presunti enormi animali marini la cui forma poteva ricordare, almeno vagamente, quella di un serpente o di un’anguilla. I sostenitori della tesi che gli avvistamenti del serpente di mare potessero essere spiegati con l’esistenza di uno o più animali ancora sconosciuti alla scienza hanno offerto diverse ipotesi: rettile marino, anguilla, cetaceo, anfibio, pinnipede. Gli scettici hanno pensato che, quando non fossero del tutto privi di fondamento, gli avvistamenti potevano riferirsi in realtà ad animali conosciuti anche se, in quella occasione, non riconosciuti: calamari giganti, regaleci o altri pesci serpentiformi, invertebrati marini, gruppi di cetacei, squali elefante (i resti decomposti di questi ultimi hanno dato spesso l’illusione di trovarsi di fronte a carcasse di animali misteriosi o addirittura di plesiosauri) (Castiglioni 1999; Costa – Mosca 1999).
Uno di questi avvistamenti ottocenteschi viene da acque italiane.
Nel 1877, il luogotenente W. P. Haynes della nave britannica Osborne disse di aver visto nel mare di fronte alla costa settentrionale della Sicilia, a circa duecento metri di distanza, emergere dalle acque una serie di pinne che si susseguivano per una decina di metri. Dopo pochi secondi scomparvero e apparve la parte anteriore del corpo di un mostro marino con la pelle liscia come quella di una foca (The sea serpent 1877; The sea monster 1877; Gould 1886, p.321; Ley 1951, p.175; Cordier 1986, pp.56-57; Creature leggendarie 1994, p.32; Costa – Mosca 1999, pp.163-164; Bruno – Mosca, p.98; Saggese - Mosca 2009, pp.48-49). Secondo il primo resoconto (The sea serpent 1877) l'animale aveva la testa di forma simile a quella di un proiettile e con le lunghe pinne nuotava "alla maniera di una tartaruga". E' verosimile che proprio di una grossa tartaruga si trattasse: la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea) può raggiungere in effetti dimensioni ragguardevoli e la pelle del dorso potrebbe in qualche modo soimgliare a quella di una foca. L'ipotesi della tartaruga sembra ben spiegare il secondo disegno e il testo che a esso si riferisce. Non sembra, però, compatibile con la serie di pinne del primo disegno. D'altra parte, i due disegni non necessariamente devono riferirsi ad un unico animale. I due articoli pubblicati nel 1877 su "Scientific American", pur se sembrano dare per scontato che si trattasse di un unico animale, parlano in effetti di due avvistamenti distinti, anche se a breve distanza di tempo.



I due disegni del mostro della Osborne (da The sea monster 1877)

Il criptozoologo francese Jean-Jacques Barloy si è chiesto se le pinne invece che “sul dorso […] non siano piuttosto situate sul fianco” (“Quando il mostro si gira sul fianco, può sembrare che siano poste sul dorso”) e ha quindi classificato il mostro della Osborne come un “multipinne”, ovvero un “cetaceo primitivo” corrispondente alla “scolopendra marina” di cui parlò nell’antichità Eliano (e nel XVI secolo lo riprese Rondelet). Il “multipinne” avrebbe queste caratteristiche: “La testa tonda sarebbe collocata in cima a un collo flessibile, non molto lungo; sui due fianchi, il corpo sarebbe munito di una serie di pinne (da quattro a dodici) appuntite e leggermente inclinate in avanti; la pelle è sostenuta da placche ossee; il colore è bruno, con marezzature gialle” (Barloy 1987, pp.27, 38, 41).
Senza nulla togliere al libro di Barloy, una lettura piacevole ed interessante, la “scolopendra cetacea” mi sembra un animale un po’ troppo assurdo per pensare che possa realmente esistere qualcosa di simile.

Lo scettico Henry Lee citava l’opinione di Frank Buckland secondo il quale le pinne potevano appartenere non ad un solo animale, ma a quattro squali elefante (Cetorhinus maximus) che nuotavano in fila. A. C. Oudemans, sostenitore dell’esistenza del serpente di mare (che secondo lui era un pinnipede), scartava l’ipotesi: “non lo credo per la semplice ragione che gli squali elefante vivono solo nel Mare Artico e non si vedono mai più a sud delle coste della Gran Bretagna e del Massachusetts” (Oudemans 1892, n.148).
Al di là del fatto che si consideri più o meno valida la teoria di Buckland e Lee (condivisa anche da Saggese - Mosca 2009, p.49), va detto comunque che in realtà l’habitat dello squalo elefante è molto più ampio di quello indicato da Oudemans. Esemplari di questa specie sono stati spesso osservati anche nei nostri mari, come si vedrà più sotto.


Particolare del primo disegno del mostro della Osborne.


Tre squali elefanti nuotano in fila (da Mostri in mostra : animali acquatici tra realtà e fantasia,
testi di Giancarlo Costa e Maurizio Mosca, illustrazioni di Daniela Brambilla, Massimo
Demma e Franco Testa, Milano : Acquario e Civica Stazione Idrobiologica, 1999, p.35).


Oudemans cita, senza condividerli, altri due tentativi di identificare il “serpente di mare” della Osborne con animali conosciuti. Un tale Andrew Wilson scrisse che poteva trattarsi di un regaleco, ma l’aspetto di questo pesce non ha nulla in comune con le descrizioni e i disegni del “mostro”. Un certo Searles V. Wood lo paragonò ad un manato, ma anche questa ipotesi non è per nulla convincente (Oudemans 1892, n.148).

 

Il diavolo di mare

Un articolo di giornale del 1901 ci racconta che alcuni marinai avevano ucciso nelle acque del mare presso il faro di Messina uno strano pesce del peso di quattro quintali. L’animale era così descritto: “Esso ha sulla fronte lunghe corna divergenti come quelle d’un bue, ed ha due ali membranose come quelle dei pipistrelli e la bocca larga circa un metro: è di colore chiazzato di viola.”
Ancora presso Messina due decenni dopo, per la precisione nel mese di giugno del 1923, viene pescato un pesce lungo due metri e mezzo e largo tre metri e trenta centimetri per un peso di circa due quintali. “Ha la pelle nuda, un po’ rugosa e nella parte superiore è di colore nerastro con contorni paonazzi mentre sul ventre la pelle è liscia e bianca. Ha un capo caratteristico breve e largo, coi margini anteriori lateralmente guarniti da escrescenze fogliacee a forma di orecchie d’asino. Ha una pinna dorsale unica e stretta. La coda è distinta dal corpo, di color nero, lunga quattro metri, sottile come una frusta. E’ armato sul capo di un aculeo dentato, temuto perché credesi avvelenato”. Si pensava che il pesce venisse in superficie perché inseguito dai pesci spada.
Qualcuno potrà sorridere. Invece animali che possono corrispondere a questa descrizione esistono davvero. Si tratta dei mobulidi, pesci dotati di pinne tanto ampie da sembrare ali, con una lunga e sottile coda e, ai lati della larghissima bocca, due pinne cefaliche (a queste si riferiscono evidentemente le descrizioni citate quando parlano di "corna" o di "escrescenze [...] a forma di orecchie d'asino").
Il più noto e più grosso mobulide è la manta (Manta birostris). Un po’ più piccola, ma sempre di dimensioni ragguardevoli (può superare abbondantemente i 4 metri di larghezza e i 3 quintali di peso) è la Mobula mobular, che vive anche nei mari italiani e alla quale si riferiscono con ogni probabilità gli articoli qui sopra citati. A causa delle pinne cefaliche, che possono assomigliare a corna, questo pesce è chiamato in italiano diavolo di mare o pesce vacca (quest’ultimo nome, però, in alcune zone è usato per indicare un altro pesce, lo squalo capopiatto, Hexanchus griseus). Di dimensioni inferiori (ma può comunque superare il metro di larghezza) è la Mobula hipostoma.
Nel 1948, a Voltri, dalle reti di un peschereccio spuntò un pesce che risultava sconosciuto a tutti i pescatori. Così fu descritto sul giornale: “Il pesce pesa più di 40 chili, ha le pinne quasi a membrana come i pipistrelli e la coda lunga e sottile da topo”. Si trattava evidentemente di un raiforme. Il fatto che gli fu affibbiato il nome di “pesce diavolo”, se non era dovuto solo alla sua “straordinaria bruttezza”, potrebbe suggerire che avesse le ‘corna’ e che fosse anch’esso una Mobula.
Nelle Curiosità livornesi di Francesco Pera si legge che nel 1740 “venne gettato sulla spiaggia di Livorno un pesce di smisurata grandezza con due braccia ed ali , del peso di 4.000 libbre”. Per Giancarlo Costa e Maurizio Mosca la bestia era “certamente un altro cetaceo, [...] ma avrebbe potuto anche essere il solito Cetorhinus, o un esemplare gigante di razza o di aquila di mare” (Costa – Mosca 1999, p.166; Saggese - Mosca 2009, p.52). Il fatto che si parli di “ali” fa pensare (sempre che la notizia sia attendibile) che l'ipotesi migliore sia quella di un raiforme e se le “due braccia” possono essere interpretate come pinne cefaliche potremmo essere ancora una volta di fronte ad una Mobula.

Una Mobula affiora alla superficie (fotografia di Eletta Revelli)

 

Il "rinoceronte marino" di Camogli (1923) e altri squali elefante

Nel 1923 a Camogli venne pescato “uno strano squalo lungo 6 m e pesante 1.200 kg”, con una strana protuberanza sopra la testa. Una fotografia della bestia fu pubblicata su “La Domenica del Corriere” dove viene chiamato “rinoceronte marino” (Un “rinoceronte marino”? 1923; Costa – Mosca 1999, pp.167-168; Brancaglion 2001, p.92; Saggese - Mosca 2009, p.69).
Il criptozoologo Maurizio Mosca, in un suo articolo, ha affermato che poteva trattarsi di una specie sconosciuta, ma anche, più semplicemente, “di uno squalo cetorino o manzo affetto da malformazioni” (Mosca 1998, p.31; Saggese - Mosca 2009, p.152).
Anche soltanto osservando l’immagine pubblicata dal giornale, non si può che concordare con l’identificazione con un cetorino (altro nome dello squalo elefante, Cetorhinus maximus). Del “rinoceronte marino” non è comunque rimasta solo la foto: lo squalo, infatti, fu imbalsamato ed è tuttora al Museo di storia naturale di Genova. La “gobba” sulla testa, mi riferisce il direttore del Museo Roberto Poggi, ora si nota appena e probabilmente non era altro che il risultato di una lacerazione prodotta nel trarre a riva il pesce (Poggi 2004-2005).

A sinistra: lo squalo di Camogli (da Un “rinoceronte marino”? 1923; ripresa in Rossi sd)
A destra: testa di squalo elefante (foto: National Oceanic and Atmospheric Administration, da Wikimedia Commons)

 

Una notizia dell'estate precedente riferiva la cattura di un animale acquatico "sconosciuto" lungo tre metri e mezzo, del peso di due quintali e mezzo, con una bocca da 70 centimetri senza lingua né denti ed una curiosa proboscide lunga 35 centimetri (Un mostro marino... 1922; Saggese - Mosca 2009, p.68).
Può sembrare una descrizione un po' rozza di uno squalo elefante, chiamato così, appunto, per il prolungamento del muso, evidente soprattutto negli esemplari più giovani. La cattura di squali elefante nel mar Ligure non era, d'altra parte, un evento così raro: tra il giugno del 1921 e il giugno del 1923 ne furono catturati almeno dodici esemplari (Poggi 2004-2005).

Nel 1929 "La Domenica del Corriere" annunciò la cattura di un "mostro" a Riposto, in provincia di Catania (La cattura di un mostro 1929).
Dalla foto sembra di poter dire che anche questo "gigante marino", lungo sette metri e mezzo, era uno squalo elefante. Sul muso sembrano esserci due strani solchi, ma potrebbe trattarsi semplicemente della pinna pettorale destra ripiegata sul muso stesso.

 

 

Un pesce liocorno nel Tirreno (1940)

Su un numero del 1940 della "Domenica del Corriere" c'è la foto di uno “strano pesce, lungo m 1,50 e dai colori iridescenti, [...] sconosciuto nei nostri mari” pescato a Caletta, in provincia di Livorno (La fine di un viaggiatore 1940).
Si tratta chiaramente di un pesce liocorno (Lophotus lacepede), una specie raramente osservata nei nostri mari (Lagenbeck 2011).


Dettaglio della foto con il pesce liocorno
(la foto è stata ruotata di 90°)

 

Lo zifio di San Giuliano (1957)

Il 10 febbraio del 1957 apparve un articolo che poteva attirare l’attenzione degli zoologi (i quali, peraltro, avrebbero potuto a ragione storcere il naso vedendo che un cetaceo veniva definito un “pesce”). Un gruppo di pescatori scorsero un grosso animale agonizzante e, legatolo con funi, lo trascinarono a riva. La bestia pesava 10 quintali. Secondo l’articolo, “alcuni esperti del Museo di Storia Naturale di Genova, hanno sentenziato che si tratta di un cetaceo di specie non precisabile” (Cetaceo "imprecisato"... 1957).
Dai dati d’archivio del Museo di storia naturale di Genova è emerso che in effetti il 9 febbraio del 1957 un grosso cetaceo si era arenato sulla spiaggia di San Giuliano di Genova ed era stato esaminato dal personale del museo. La conclusione non era, però, stata che si trattava di una “specie non precisabile”: la bestia era stata riconosciuta immediatamente come una femmina di zifio (Ziphius cavirostris) (Poggi 2004-2005).

 

Lo zifio di Campobello (1968)

Il 10 febbraio 1968 sulla spiaggia di Tre Fontane, a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, un tale Silvestro Messina vide un osso spuntare dalla sabbia. Scavando in quel posto disseppellì una serie di vertebre e un cranio. Lo scheletro, ricomposto, era lungo sette metri e si pensava che ne mancassero un paio ancora per essere completo.

La ricostruzione dello scheletro del "mostro" di Campobello (da Manocchia 1968)

La "Tribuna illustrata" dedicò un articolo con foto (e la copertina) al "mostro di Campobello". Un pescatore del luogo disse di aver incontrato in mare, un mese prima che si trovasse lo scheletro, una specie di "lucertolone con piccole pinne pettorali al posto delle zampe" con testa simile a quella di un vitello, ma schiacciata e dotata di una "piccola proboscide rigida", lungo circa otto metri, di colore verde con chiazze grigie sul dorso, verde più chiaro sui fianchi e biancastro sul ventre, con la coda che terminava a punta (Manocchia 1968).

Sulla base di questa descrizione l'animale di Campobello è presentato come un gigantesco rettile marino nel libro di John Keel Creature dall'ignoto, citato anche da Umberto Cordier nella sua Guida ai draghi e mostri in Italia (Cordier 1986, pp.152-153).
Nel libro di Giancarlo Costa e Maurizio Mosca Mostri dei mari si fa un cenno all'ipotesi "sorprendente che potesse trattarsi di un vero coccodrillo", ma nella didascalia della foto si dice che si trattava "certamente di un cetaceo tuttora sconosciuto" (Costa – Mosca 1999, pp.131-133, 165).
In un articolo pubblicato su "Focus" si è suggerito che l'animale fosse "probabilmente una pseudorca o un globicefalo" (Brancaglion 2001, p.92).

Osservando però il cranio, che nella ricostruzione fotografata è messo sottosopra, si vede che si tratta di uno zifio (Ziphius cavirostris).
La forma del cranio della pseudorca e del globicefalo è decisamente differente ed entrambe le specie hanno numerosi denti, mentre sulla mandibola del "mostro" di Campobello ci sono solo due alveoli dentari posti sulla punta del rostro, come è caratteristica dello zifio.

Il cranio dell'animale di Campobello (l'immagine è stata rovesciata dato
che nella ricostruzione è stato messo sottosopra) a confronto con un
cranio di zifio mostrato sul sito della Smithsonian Institution.

 

Foto del cranio (da Manocchia 1968) nella quale si
vedono bene i due alveoli sulla punta della mandibola


Il pescatore che disse di aver visto il "mostro" ancora vivo affermò anche (o almeno così riferì la "Tribuna illustrata") che aveva raccontato della bestia, ma nessuno gli aveva creduto, e che ora il ritrovamento delle ossa gli dava ragione (Manocchia 1968).
Tuttavia lo scheletro, lungi dal confermare questo presunto avvistamento, lo smentisce completamente.
E' ovvio che la descrizione del pescatore non può riferirsi all'animale al quale apparteneva lo scheletro. E' vero che le descrizioni dei testimoni possono essere imprecise e i giornali possono riferirle in modo non del tutto fedele, ma la differenza tra uno zifio e un lucertolone resta un po' troppo grande. Peraltro anche a chi non avesse capito che i resti appartenevano a uno zifio sarebbe potuto nascere qualche dubbio sul fatto che uno scheletro così ripulito da ogni brandello di carne o altri tessuti che qualcuno lo aveva scambiato per un fossile (così dice la "Tribuna illustrata") potesse appartenere a un animale che era ancora vivo soltanto un mese prima.
D'altra parte, ci sono particolari del mostro che appaiono suggeriti da dettagli dello scheletro o, per essere più precisi, da un'interpretazione errata di tali dettagli. Lo zifio ha una pinna caudale, ma osservando lo scheletro può sembrare che l'animale abbia una coda che finisce a punta, proprio come il presunto mostro. La "piccola proboscide rigida" del mostro ha tutta l'aria di essere un'erronea interpretazione della punta della mandibola. Nel disegno pubblicato sulla "Tribuna illustrata" (opera di Ciriello), la mascella del mostro è chiaramente ispirata alla mandibola dell'animale trovato a Campobello. La mascella del lucertolone acquatico termina appunto con una sorta di proboscide rigida che ricalca la forma dell'estremità del rostro dello zifio. Quelle che nel mostro appaiono come narici corrispondono agli alveoli dentari dello zifio.

La mascella con "proboscide" e le narici del "mostro" nel disegno di Ciriello per la "Tribuna illustrata" corrispondono alla mandibola e agli alveoli dentari dello zifio di Campobello.
(immagini da Manocchia 1968)

Non solo, dunque, l'animale descritto dal pescatore non può essere quello cui apparteneva lo scheletro, ma non è neppure credibile che il presunto testimone si riferisse a un altro animale e che ne abbia parlato prima che si trovassero i resti dello zifio, dato che la descrizione ricalca, pur sbagliando nell'interpretarla, la forma dello scheletro.

Un immigrato nell'Adriatico (2006)

Nel novembre del 2006 il pescatore Rocco Cazzato catturò nelle acque di Tricase, in provincia di Lecce, un pesce di forma allungata. Tra i due lobi della pinna caudale si vedeva una sorta di prolungamento filiforme. Si tratta in realtà di una specie conosciuta, Fistularia commersonii, ma sino a quel momento non c'erano notizie sulla sua presenza nel mare Adriatico, anche se era già stato trovato nel Mediterraneo. La specie haraggiunto questi mari passando per il canale di Suez. Un mese dopo, un altro esemplare di questa specie fu preso nelle acque della Croazia meridionale (Dulcic, Scordella, Guidetti 2007).

L'esemplare di Fistularia commersonii pescato nelle acque di Tricase
nel 2006 (l'immagine è la riproduzione di una pagina di giornale inviata
a Lorenzo Rossi che cortesemente me l'ha inoltrata aggiungendo
il suo parere (senza dubbio esatto) che si trattasse di una Fistularia.

 

Strani pesci e cetacei

Quello che segue è un elenco di avvistamenti, catture e “spiaggiamenti” di grossi pesci o cetacei (i diversi casi, tranne dove diversamente indicato, sono tratti dagli articoli del quotidiano comasco “L’Ordine” elencati nella bibliografia posta al termine di questo lavoro, all’interno della quale sono individuabili tramite la data).
Alcuni di questi casi sono chiaramente privi di ogni plausibilità. Altri si riferiscono certamente ad animali noti alla scienza, anche se non sono stati identificati come tali. Alcune descrizioni sono molto generiche e sembra quindi impossibile determinare di quale specie parlino. Chi tra i lettori pensi di poter attribuire un nome ad una o più di queste bestie marine può naturalmente inviarci le sue ipotesi.

Livorno, 1881 e 1886.
Al Molo Nuovo viene pescato un cetaceo “lungo appena due metri, senza coda, ed esile dalla testa in giù, che è grossissima ed ha una certa somiglianza con quella del leone. Gli occhi sono ampi, piccoli i denti, il naso è leonino e duro come sasso; ha poca carne; è tutt’osso e collo. Pesa 200 chilogrammi”. Joachim Langeneck suggerisce l'ipotesi che l'animale possa essere uno squalo elefante (quindi non un "cetaceo" come diceva l'articolo) (Langeneck 2011).
Ancora a Livorno, cinque anni dopo, un cetaceo di dimensioni colossali viene trovato sulla scogliera dell’Ardenza.

Sardegna, 1886.
Secondo un giornale sardo, sarebbe stato ritrovato su una spiaggia un cetaceo del peso di 6400 quintali. Tale misura potrebbe far supporre che l’animale fosse fatto di piombo o, più probabilmente, che l’autore dell’articolo avesse scritto per errore “quintali” invece di “chilogrammi”.

Chioggia, 1889.
“Un immane mostro marino” viene catturato dai pescatori ed esposto al Ponte della Pietà a Venezia. “Ha molta somiglianza con la balena, ma è provvisto di un muso lungo che pare quello d’un maiale”. Il "muso lungo" potrebbe far pensare a uno squalo elefante (Langeneck 2011).

Porto Recanati, 1894.
Si parla di un delfino femmina che avrebbe “tutte le impronte umane, meno le gambe e le braccia”. Lasciamo al lettore il compito di indovinare cosa possa significare questa descrizione.

Camogli, 1909.
Pescato un non meglio precisato pesce lungo 18 metri per oltre 10 quintali di peso. La notizia è estremamente vaga. Se la notizia è attendibile e le misure sono corrette, comunque, si sarà trattato di un cetaceo e non di un pesce.

Pietrarsa, 1928.
La "Domenica del Corriere" mostra la foto (che purtroppo non è affatto chiara) di quella che viene definita la "carogna di un enorme squalo". Alla carcassa sono attribuiti una lunghezza di 20 metri, una misura mai riscontrata neppure nei più grossi squali conosciuti. Facendo un confronto con un uomo che nella foto è vicino alla bestia, la distanza su cui si distende la carcassa sembra comunque essere minore, forse intorno ai 12-13 metri, ma è anche possibile che parte del corpo sia ripiegato dietro o sotto la massa visibile, così come è possibile che parti del corpo si siano staccate. Per quanto la foto non sia chiarissima, sembra che si possano intravedere dei solchi golari che suggerirebbero l'ipotesi di una balenottera (Balaenoptera physalus). Di questo parere è Joachim Langeneck. Anche per Saggese e Mosca l'animale è certamente una balenottera (Il mostro arenato 1928; Saggese - Mosca 2009, p.67; Langeneck 2011).

Ischia, 1934.
Alcuni pescatori segnalano “un mostro lungo una ventina di metri” (Barloy 1987, p.27; Costa – Mosca 1999, p.166; Saggese - Mosca 2009, p.67).
Un po' poco per tentare un'identificazione. Comunque più che un pesce o un cetaceo, sembrerebbe una bufala.

Imperia, 1948.
Il capitano della S. Domenico vede un enorme mostro, con “una testa di squalo con una grande cresta circondata da una strana fosforescenza”, collo lunghissimo, “corpo corazzato simile a quello di una tartaruga” e “coda appuntita e irta di pinne colossali” (Costa – Mosca 1999, p.164; Saggese - Mosca 2009, pp.69-70).
Impossibile: i film con Gamera sono cominciati negli anni ‘60.

Mar Tirreno, 1953.
“Un enorme pesce, appartenente ad una specie sconosciuta è stato catturato fra la costa della Toscana e quella della Sardegna. L’esemplare, lungo 3 metri, del peso di circa quattro quintali, mai visto prima d’ora in quelle acque, ha una strana coda, simile a quella di un aereo, con timoni di direzione e di profondità, ed una testa quasi perfettamente rotonda”.

Nel 1953 nello stretto di Messina e nel 1958 al largo della spiaggia di Grillone (Calabria) sarebbero state avvistate delle anguille (o murene) giganti (Barloy 1987, p.27; Cordier 1986, pp.57-58; Costa – Mosca 1999, p.171; Saggese - Mosca 2009, p.71).

San Giorgio Siculo, 1956.
Una capra entrata nelle acque del mare a San Giorgio Siculo sarebbe stata afferrata e divorata da uno squalo di dimensioni fantascientifiche: una ventina di metri di lunghezza (!) e venticinque quintali di peso. Fantascientifica anche l’abilità del mostro: un qualunque squalo lungo anche solo la metà si sarebbe verosimilmente arenato prima di arrivare alla capra.

Palo, 1958.
Nelle reti di un peschereccio venne trovato un osso di un cetaceo: “è la parte superiore della testa, misura circa quattro metri di lunghezza. Le aperture orbitali raggiungono circa 80 centimetri di diametro”. Secondo l’articolo, non si riusciva a ricondurre l’osso ad alcuna specie conosciuta e si attendeva l’arrivo di esperti in materia.

Riviera di Ponente (Liguria), 1963.
Due pescatori traggono dalle acque del mare “un pesce di oltre 80 kg. di peso di una specie sconosciuta”. L’animale “ha la testa simile alla cernia, di colore rosso vivo; è senza squame, e verso la coda assume un colore bluastro. Possiede un lungo becco, di stranissima forma”. Joachim Langeneck suggerisce che possa trattarsi di un pesce re (Lampris guttatus): "le caratteristiche sembrano collimare, e il becco rilevato potrebbe corrispondere alle mascelle protratte a tubo, tipiche dei Lampriformi" (Langeneck 2011).

Imperia, 1965.
Il peschereccio "Stella" cattura un pesce lungo 4 metri e pesante 5 quintali, "dotato di grossa testa simile a quella di un toro" (Saggese - Mosca 2009, p.70).
A marzo, il peschereccio "Terzaruolo" trova "la strana testa di un animale vagamente somigliante a quella di un ippopotamo" (Saggese - Mosca 2009, p.70).

Golfo di Napoli, 1971.
Nella Baia di Bacoli “venne catturato un animale lungo 3 m del peso di 250 kg. Le caratteristiche sono quelle di uno squalo con una grande bocca dotata di denti piccolissimi” (Costa – Mosca 1999, p.167; Saggese - Mosca 2009, p.69).
Un altro squalo elefante?

Golfo di La Spezia, 1977.
Gli occupanti di una barca avrebbero visto “il mare ribollire e dalle onde apparire uno strano e grosso essere marino” (Cordier 1986, p.118). Una descrizione troppo vaga per azzardare qualunque ipotesi.


Cefalopodi

Scultura di un polpo
(Acquario civico di Milano)

Un altro gruppo di animali marini che si presenta spesso in voci e leggende e nelle ricerche dei criptozoologi è quello dei cefalopodi (anche in questa parte, salvo dove indicato diversamente, le informazioni sono tratte dagli articoli citati tra le fonti).
L’erudito Claudio Eliano (II-III sec.) racconta di un enorme polpo che saliva sulla terra e divorava animali terrestri. Il polpo, poi, si diede a saccheggiare il pesce affumicato che alcuni mercanti conservavano in un magazzino. Scoperto l’insolito ladro, i mercanti riuscirono solo con grande fatica ad ucciderlo (Bruno – Mosca 2004, pp.17-19).
Silvio Bruno e Maurizio Mosca, in un loro recente lavoro, ricordano una “smisurata Idra che infestava” il porto di Trapani nel 1560. Gli stessi autori citano un polpo di 64 kg che sarebbe stato pescato a Capo di San Vito, in Sicilia, nel 1743 (Bruno – Mosca 2004, p.21; Saggese - Mosca 2009, p.34).
In tempi più recenti, nel settembre del 1954, nello stretto di Messina sarebbe stato preso un polpo del peso di 60 chili (Bruno – Mosca 2004, p.33; Saggese - Mosca 2009, p.33).
Una stazza ancora maggiore avrebbe avuto un polpo catturato nello stesso mese a Siracusa: secondo l’articolo dal quale traggo la notizia superava i 100 chilogrammi. Cifre come queste appaiono decisamente esagerate.
Di quest’ultimo polpo, l’articolo racconta che avrebbe attaccato un subacqueo, salvato dall’intervento del fratello. Le storie di polpi che attaccano nuotatori o sommozzatori causandone magari la morte sono numerose.
Giancarlo Costa e Maurizio Mosca, nel loro prezioso libro, ne ricordano due ambientate nei mari italiani nell’Ottocento. “Sir Grenville Temple nel suo Escursione nel Mar Mediterraneo racconta di un capitano marittimo assalito nel mare della Sardegna e annegato in un metro e mezzo d’acqua”. Nel 1867, ad Andria, un uomo che nuotava sarebbe stato assalito ed ucciso da un polpo (Costa – Mosca 1999, pp.37-38).
Nel 1955, dal mar Ligure vennero due notizie di attacchi di polpi a uomini, in entrambi i casi senza l’esito tragico delle due storie appena citate. A Portofino, una piovra avrebbe attaccato tre ragazzi che nuotavano trascinandoli sott’acqua, ma sarebbe poi stata uccisa. Un mese dopo, ad Imperia, un polpo si sarebbe avvinghiato ad un pescatore subacqueo facendogli correre il rischio di annegare (oltre agli articoli del 1955 indicati tra le fonti, Costa – Mosca 1999, p.48).
Nel dicembre del 1954, Piccard (il figlio) riferì che un enorme polpo (le dimensioni non sono però specificate dall’articolo) si era avvinghiato al batiscafo “Trieste” nelle acque di Castellammare di Stabia.
A Sapri, nel 1986, pare si sia parlato di un enorme polpo: il corpo sarebbe stato lungo 4 metri ed i tentacoli 10. Secondo Maurizio Mosca, più probabilmente si sarebbe trattato di un calamaro. Un calamaro di enormi dimensioni (i tentacoli avrebbero raggiunto la lunghezza di cinque metri) sarebbe stato avvistato anche nel 1977 da tre pescatori a Tremonti, in Liguria (Costa – Mosca 1999, pp.48, 168).
A Portoferraio, nel 1914, sarebbe stato pescato una specie di polpo con nove tentacoli lunghi oltre due metri. “Il corpo ha la forma di un tronco abbastanza acuminato e sopra il dorso reca delle appendici mobili simili a quelle delle istrici”. Inoltre, “a detta degli intelligenti” (?), la bestia aveva palpebre mobili con le quali poteva chiudere completamente gli occhi. Il resoconto suona piuttosto assurdo, ma non si può escludere che si tratti di una descrizione alquanto imprecisa, con dettagli fraintesi o inventati, di un reale cefalopode. In tal caso, la forma appuntita del corpo e il numero delle braccia farebbero pensare a un calamaro più che a un polpo (i calamari hanno dieci braccia, ma uno potrebbe essere andato perso).

 


FONTI:

* Jean-Jacques Barloy, Gli animali misteriosi : invenzione o realtà?, Roma : Lucarini, 1987.
* Giorgio Brancaglion, Yeti, mostri e altre bestie, in “Focus Extra”, n.4, inverno 2001, pp.84-92.
* Silvio Bruno, Maurizio Mosca, Sulla scia dei mostri marini, supplemento a “Rivista marittima”, dicembre 2004.
* Giorgio Castiglioni, Il mostro della Leda ed altri serpenti di mare, Paré ; Moltrasio : Biblioteche comunali, 2004 (prima ed.: Cavallasca : Biblioteca comunale, 1999).
* La cattura di un mostro, in “La Domenica del Corriere”, 7 aprile 1929, p.4
* Cetaceo "imprecisato" pescato in riviera, in "L'Ordine" (Como), 10 febbraio 1957, p.6.
* Francesco Cetti, I quadrupedi di Sardegna, Sassari : Piattoli, 1774.
* Umberto Cordier, Guida ai draghi e mostri in Italia, Milano : Sugarco, 1986.
* Giancarlo Costa, Maurizio Mosca, Mostri dei mari, Milano : Mursia, 1999.
* Creature leggendarie, sl : Hobby & Work, 1994.
* I dinosauri del Teneré, di G. Ligabue, G. Pinna, A. Azzaroli, Ph. Taquet, Milano : Longanesi, 1972.
* J. Dulcic, G. Scordella, P. Guidetti, On the record of the Lessepsian migrant Fistularia commersonii (Rüppell, 1835) from the Adriatic Sea, "Journal of Applied Ichthyology, 24 (2008), pp.101-102; online: http://www3.interscience.wiley.com/cgi-bin/fulltext/119400093/PDFSTART
* La fine di un viaggiatore, in “La Domenica del Corriere”, 31 marzo 1940, p.4
* Charles Gould, Mythical monsters, London : Senate, 1995 (prima ed.: 1886).
* Joachim Langeneck, comunicazione all'autore, 30 gennaio 2011.
* Willy Ley, Dall'unicorno al mostro di Loch Ness : un'escursione nella zoologia fantastica, Milano : Bompiani, 1951.
* Franco Manocchia, Il mostro di Campobello, in "Tribuna illustrata", n.8, 25 febbraio 1968, pp.4-6.
* Maurizio Mosca, Squali misteriosi, in “Criptozoologia”, [4] (1998), pp.30-35.
* Mostri, draghi e serpenti nelle silografie dell’opera di Ulisse Aldrovandi e dei suoi contemporanei, a cura di Erminio Caprotti, Milano : Mazzotta, 1980.
* Il mostro arenato, "La Domenica del Corriere", 25 novembre 1928, p.7.
* Un mostro marino nel Mar ligure, in "L'Ordine", 31 agosto 1922, p.1
* A. C. Oudemans, The Great Sea-Serpent : an Historical and Critical Treatise, rist. elettr. Landisville : Arment Biological Press, 2000 (www.herper.com/ebooks/) (prima ed.: 1892).
* Pesce luna di circa 800 chili muore sulla spiaggia di Riccione, in “La Provincia” (Como), 23 aprile 2002, p.6.
* Un pesce-luna di straordinarie dimensioni, in “La Provincia” (Como), 14 novembre 1898, p.2.
* Roberto Poggi, comunicazioni all’autore, 29 ottobre 2004, 13 dicembre 2004, 17 dicembre 2004, 13 gennaio 2005.
* Un “rinoceronte marino”?, in “La Domenica del Corriere”, 3 giugno 1923, p.4.
* Lorenzo Rossi, "Mostri" di casa nostra, sd, dal sito Criptozoo.com (http://www.criptozoo.com/absolutenm/templates/criptiditerrestritemplate.asp?articleid=40&zoneid=14)
* Pasquale Saggese - Maurizio Mosca, All'ombra dei falsi mostri, Torino : Ananke, 2009.
* The sea monster, in “Scientific American”, 4 agosto 1877, p.71; ripubblicato in Incredible life : a handbook of biological mysteries, compiled by William R. Corliss, Glen Arm : The Sourcebook Project, 1981, pp.515-516.
* The sea serpent sighted from a royal yacht, in "Scientific American", 14 luglio 1877, p.20.

 

Articoli del quotidiano di Como “L’Ordine” (in ordine cronologico):

6 maggio 1881, p.2.
Un cetaceo enorme, 6 maggio 1886, p.3.
Mustroso [sic] cetaceo presso a Livorno, 17 dicembre 1886, p.3.
16 febbraio 1889, p.3.
Delfino.... meraviglioso, 29 agosto 1894, p.2.
La pesca di un pesce luna formidabile, 15 novembre 1898, p.1.
Un mostro marino pescato a Messina, 12-13 luglio 1901, p.1.
Pesce-tamburo, 5-6 agosto 1902, p.2.
9 settembre 1909, p.2.
Singolare mostro marino, 1 dicembre 1914, p.3.
Un mostro marino nel Mar ligure, 31 agosto 1922, p.1.
La cattura di un pesce mostruoso nello stretto di Messina, 9 giugno 1923, p.3.
Mostro marino catturato presso Varazze, 25 aprile 1939, p.2.
Un mostro marino pescato al largo di Voltri, 5 settembre 1948, p.IV.
La cattura di un pesce misterioso, 17 giugno 1953, p.I.
Un pesce-luna di 40 Kg., 5 maggio 1954, p.I.
L’afferra un polipo trascinandolo sul fondo, 11 settembre 1954, p.IV.
Un enorme polipo si avvinghia al batiscafo, 4 dicembre 1954, p.IV.
Uccidono un polipo gigantesco che li aveva tratti sott’acqua, 4 maggio 1955, p.IV.
Avvinghiato da un polipo rischia di morire, 2 giugno 1955, p.IV.
Pesce-toro di 25 q.li divora capra assetata, 4 gennaio 1956, p.IV.
Pesce luna largo due metri, 7 aprile 1956, p.IV.
Inconsueta preda catturata a Sestri, 21 luglio 1956, p.IV.
Pescato in mare osso «misterioso» di quattro metri, 26 agosto 1958, p.6.
16 settembre1960, p.6.
Pescato a Varazze pesce (80 Kg.) sconosciuto, 25 agosto 1963, p.8.

Nota: i titoli degli articoli del 1954 e del 1955 qui sopra citati contengono l’errore piuttosto frequente di chiamare “polipo” il “polpo”.

 

RINGRAZIAMENTI:

Un grazie a Eletta Revelli, Vito Gentile, Joachim Langeneck, Antonino Marcianò, Maurizio Mosca, Roberto Poggi, Lorenzo Rossi.

 


Prima pubblicazione: 1 febbraio 2011.
Aggiornamento: 6 luglio 2017 (rispetto alla prima versione è stata cambiata la parte sul secondo disegno del "mostro" della Osborne: la consultazione di un altro articolo scritto ai tempi mi ha fatto passare a ritenere valida una diversa ipotesi sulla natura dell'animale).