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Conferenza Mostri di confine (Drezzo, 22 aprile 2007)
GIORGIO CASTIGLIONI
ZOOLOGIA E DINTORNI TRA ITALIA E SVIZZERA
Oggi parliamo di animali di confine e intendiamo la parola "confine"
in due sensi: il confine geografico tra Italia e Svizzera, ma anche quello tra
la scienza e la leggenda.
Il lariosauro, che ha ispirato la tesi di
Sofia e Chiara, attraversa entrambi questi confini. Attraversa quello tra
Italia e Svizzera perché ci sono stati ritrovamenti di lariosauri in
entrambi i paesi (e poi in altri ancora). Attraversa il confine tra scienza
e leggenda perché il lariosauro è un rettile realmente esistito
nel triassico, ma è anche il nome dato al presunto mostro del lago.
Cominciamo con il lariosauro della scienza. Nell'immagine qui sotto vediamo
un modello della testa di questo rettile, realizzato da Giancarlo Colombo, appassionato
studioso del lariosauro.
Testa di Lariosaurus balsami
(modello di Giancarlo Colombo)
"Lariosauro" significa "rettile del lago di Como". Questo
non va inteso come "rettile che viveva nel (o nei pressi del) lago di Como":
a quei tempi il lago di Como neppure c'era e questa zona era coperta dal mare.
Va letto invece come "rettile i cui resti fossili sono stati trovati presso
il lago di Como".
Il primo ritrovamento di fossili di lariosauro (o almeno il primo conosciuto
alla scienza) ha infatti avuto luogo a Perledo, dalle parti di Varenna, sul
lago di Como. Ne parlò il naturalista Giuseppe Balsamo Crivelli in un
suo articolo al quale unì un disegno del fossile. Non diede un nome all'animale,
perché riteneva che prima bisognasse essere sicuri che si trattasse davvero
di una specie ancora sconosciuta. Qualche anno più tardi un altro naturalista,
Giulio Curioni, stabilì che si trattava certamente di una nuova specie
e la chiamò Lariosaurus balsami (del significato di Lariosaurus
abbiamo già detto, balsami è un omaggio a Balsamo Crivelli).
Nello stesso articolo Curioni descriveva anche un altro esemplare che attribuì
ad una nuova specie. La chiamò Macromirosaurus plinij. Poi però
lo stesso Curioni si rese conto che si trattava di un altro esemplare di Lariosaurus
balsami.
Sono stati trovati esemplari del genere Lariosaurus anche in Svizzera,
come il cucciolo trovato in Val Mara che vediamo raffigurato qui sotto:
Fossile di Lariosaurus trovato in Val Mara (Svizzera)
(da "L'Ordine", 6 dicembre 1973, p.6)
Passiamo ora nel campo della leggenda. "Lariosauro" è anche
il nome dato al mostro del lago inventato dal "Corriere comasco" nel
novembre del 1946. Ci sono poi state altre notizie su presunti mostri lacustri
lariani. Nel 1954 il quotidiano "L'Ordine" proponeva questo titolo:
"Visto ad Argegno uno strano animale nelle acque del lago?" Il giornale
dava una descrizione molto vaga, ma si è potuto saperne di più
chiedendo (sia pure a distanza di parecchi anni) alla persona che lo aveva visto:
muso arrotondato, parte posteriore come quella di un maiale, zampe da anatra,
coda, lunghezza totale tra gli 80 e i 90 centimetri. Vista questa descrizione,
possiamo tentare di passare dal campo della leggenda a quella della scienza.
Dire che la parte posteriore era "come quella di un maiale" indicava
che non era stretta come nei pesci, ma più ampia. "Zampe da anatra"
possiamo leggerlo come "zampe palmate". La descrizione va benissimo
per un animale esistente: la lontra. Nel 1954 le lontre erano presenti sul lago
di Como (ora, purtroppo, non ci sono più). Non si sa di stanziamenti
ad Argegno, ma la lontra è un animale dotato di grandi capacità
di movimento. Quindi, se era presente in un altro punto del lago, poteva comunque
raggiungere Argegno. Non mi soffermo sugli altri avvistamenti di cui ho già
parlato nella conferenza di "Zoologia e
dintorni" dello scorso anno, i cui atti potete trovare sul nostro sito.
Passo invece alle notizie di cui sono venuto a conoscenza in seguito.
Ho raccontato la storia del lariosauro a una classe della scuola elementare
di Moltrasio e uno scolaro e sua mamma mi hanno riferito che la nonna raccontava
che, ai tempi della seconda guerra mondiale, quando le donne erano a lavare
i panni al lago, ad Argegno, si era visto uno strano animale con la testa da
cavallo. Anche il cugino della nonna - e qui siamo negli anni '80, sempre ad
Argegno - diceva di aver visto un animale con la testa da cavallo, interamente
ricoperto di squame. Vedendo la testa vicino ad un palo del molo e la coda vicino
ad un altro aveva valutato che fosse lungo sui cinque o sei metri. Aveva anche
fatto un disegno e mi hanno promesso che se riusciranno ad averlo me lo faranno
vedere. Così magari si potrà tentare di dare una spiegazione a
questo avvistamento che, esposto così, sembra più nel campo della
leggenda che in quello della scienza.
Su un sito sono
apparse le foto di un "mostro", simile alla classica raffigurazione
del mostro del Loch Ness, nelle acque di Dervio. Sono attribuite a un certo
"Luigi da Colico" e datate "Sabato 30 Marzo", senza indicare
l'anno. L'ultimo 30 marzo caduto di sabato è stato nel 2002. Si dice
che doveva essere lungo "almeno 12 metri". "Non si tratta apparentemente
di un trucco fotografico", dice il sito, ma in realtà ha tutta l'aria
di esserlo. Comunque sono carine e visto che oggi si parla di zoologia "e
dintorni" anche queste foto meritano un posto.
Ci sono notizie su "mostri" anche in altri laghi italiani e svizzeri.
Ne citiamo solo qualcuna come esempio.
Il lago Maggiore attraversa anche lui la frontiera perché, come è
noto, per la maggior parte della sua estensione è in territorio italiano,
ma la parte più settentrionale è in territorio svizzero. Proprio
nella parte svizzera, dove il Ticino entra nel lago, si dice che nel 1934 sia
stato visto uno strano animale dalla testa di cavallo. Come si vede, è
una descrizione che torna spesso. Chissà: magari se in futuro qualcuno
vedrà un cervo o un animale affine entrato nelle acque del lago, poi
la stampa dirà che si tratta del noto mostro dalla testa di cavallo,
già tante volte avvistato in passato.
Nel 1965, per il lago di Garda, si parlò addirittura di un plesiosauro
o di un dinosauro. Erano scesi anche i sub a vedere, ma ovviamente non era saltato
fuori nulla.
Nel 1976 torniamo in Svizzera: lago di Lucerna. Avvistamento di un mostro tipo
"Nessie" (il nomignolo dato al mostro del Loch Ness).
Nel 2003, ancora nella parte svizzera del lago Maggiore, uno studioso di animali
misteriosi svizzero disse di aver visto qualcosa che sembrava un tronco, ma
pareva animato. Uno potrebbe dire che se sembrava un tronco è perché
era un tronco e se pareva animato era perché era mosso dalle
onde. Invece che un tronco poteva essere un insieme di frammenti vegetali uniti
a formare una scia (qualcuno l'avrà già visto anche nel nostro
lago). Trattandosi di corpi che restano vicini, ma sono separati, seguono il
movimento in modo più fluido e quindi possono ancor più sembrare
un corpo animato.
Possiamo trovare qualcosa di più concreto spostandoci al lago di Orta.
In questo laghetto c'è un'isola e sull'isola una basilica. Nella sacrestia
della basilica, appesa al soffitto, c'è una vertebra di drago.
La "vertebra del drago" dell'isola di Orta (foto dell'autore)
La vertebra c'è davvero: l'ho vista io stesso e (come vedete qui sopra)
l'ho anche fotografata. Naturalmente uno potrebbe avere qualche dubbio sul fatto
che sia davvero di un drago. In effetti, con ogni probabilità si tratta
della vertebra fossile di un cetaceo. Detto in modo molto rozzo (mi perdoneranno
i naturalisti), la vertebra di un "nonno" delle balene.
Qualcuno potrà comunque rimanere perplesso e si chiederà cosa
ci fa una vertebra fossile in una chiesa. Nei tempi passati, però, non
era così strano che si appendesse nelle chiese quello che oggi ci aspetteremmo
di trovare piuttosto in un museo di storia naturale. Per esempio, venivano appesi
al soffitto i coccorilli - ovviamente imbalsamati. Ce n'era uno anche in una
chiesa di Como, Santa Marta. Ce ne sono ancora in diverse chiese, tra le quali
un santuario di Rapallo.
Il coccodrillo del santuario di Rapallo (foto famiglia Castiglioni)
Ce n'era uno pure al Sacro Monte di Varese. Questo non si è conservato
bene come quello di Rapallo (o, per fare un altro esempio, quello di Ponte Nossa).
Quel che resta è stato messo in una teca conservata nel museo del Sacro
Monte.
Il coccodrillo del Sacro Monte ci offre l'occasione di raccontare un'altra storia
che sta ai confini tra l'Italia e la Svizzera e tra la scienza e la leggenda.
Al Sacro Monte andavano in pellegrinaggio gli abitanti di diversi paesi. Tra
questi c'era la località svizzera di Breno. La loro processione verso
il Sacro Monte varcava quindi il confine italo-svizzero. La tradizione racconta
che c'era una bestiaccia che dava fastidio al bestiame di Breno e che gli abitanti,
liberatisi di quella presenza, ne avrebbero portato le spoglie al Sacro Monte.
Si tratterebbe del coccodrillo. Ovviamente che ci fosse un coccodrillo a recare
danno alle bestie di Breno non è molto plausibile.
Quel che resta del coccodrillo del Sacro Monte
(foto di Bernardino Croci Maspoli)
Carlo Amoretti, naturalista vissuto tra '700 e '800, aveva elaborato una diversa
ipotesi, non più credibile peraltro. Girando per i paesi dell'Alto Lario
aveva sentito raccontare che nei monti intorno al lago di Como vivevano dei
"lucertoni", come scriveva lui, ovvero dei lucertoloni, dei grossi
sauri. Alcuni dicevano che avessero quattro zampe (come la maggior parte dei
sauri), altri che ne avessero solo due. Amoretti aveva anche sentito dire che
uno di questi animali sarebbe stato ucciso a Moscia, una località svizzera,
da un priore. Si era convinto che esistessero davvero.
Di animali descritti come lucertoloni o serpenti con due o quattro corte zampette
si parla anche in altre zone dell'arco alpino e anche un leggenadario rettile
della Sadegna, lo scultone, è stato descritto in questo modo.
Gli studiosi di animali miteriosi usano in genere il nome tatzelwurm
che significa "serpente con le zampette" (Wurm in tedesco
è il verme, ma nel linguaggio popolare indica anche in generale qualunque
animale che striscia). Una pubblicazione svizzera ("Alpenrosen") del
1841 mostrava il disegno di uno stollenwurm che è raffigurato
come un serpente con due corte zampette (ha solo quelle anteriori).
Ad Amoretti era stato anche detto che questi lucertoloni succhiavano il latte
alle mucche. Le storie su rettili che amano il latte sono molto diffuse anche
se zoologicamente infondate. Amoretti aveva allora proposto questa ricostruzione.
L'animale di Breno sarebbe stato uno di questi lucertoloni, che infatidiva le
mucche succhiando loro il latte. Gli abitanti avevano fatto un voto alla Madonna
perché li liberasse dalla bestiaccia, pensando di portarne poi al Sacro
Monte, come un ex voto, il corpo. Per qualche motivo, poi, tolto di torno l'animale,
non erano risuciti ad avere a disposizione il corpo e allora si erano procurati
un coccodrillo e avevano portato questo al posto del lucertolone al santuario.
Questa ipotesi, come abbiamo detto, non è davvero molto plausibile.
Per sostenere la sua tesi che esistessero davvero questi lucertoloni, Amoretti
citava anche un naturalista svizzero, Johann Jakob Scheuchzer, che aveva incluso
in una sua opera una "storia dei draghi svizzeri", con alcune figure.
Uno dei "draghi" raffigurati ha l'aspetto di un serpente con delle
piccole zampette, quattro in questo caso (se ne vedono tre, ma si può
supporre che una di quelle posteriori sia coperta dal corpo). Tra gli altri
"draghi" di Scheuchzer si può ricordare anche il serpente volante
del monte Pilato: una leggenda ben ricordata ancor oggi.
Draghi svizzeri
(da Johann Jakob Scheuchzer, Ouresifoites Helveticus,
Lugduni Batavorum : Van der Aa, 1923)
Varchiamo quindi per l'ultima volta in questo mio intervento il confine tra Italia e Svizzera e portiamoci a Peglio (da non confondere con Pellio Intelvi). Nella chiesa di Sant'Eusebio e Vittore c'è un dipinto del Fiammenghino nel quale compare un essere raffigurato con le fauci spalancate. Uno studioso di arte, in un articolo, si è chiesto se questa creatura non possa essere stata ispirata dalle leggende sul lariosauro. La risposta che io darei è no perché la storia del lariosauro come mostro lacustre comincia nel 1946. Il lariosauro inteso come rettile del triassico è certo ben più antico, ma, come abbiamo detto, divenne noto solo nel XIX secolo. A nessuno dei due, quindi, poteva richiamarsi il Fiammenghino, vissuto molto tempo prima. Nello stesso dipinto, però, poco più in là, c'è una presenza interessante: un serpente alato con dei denti che non sfigurerebbero di fronte a quelli di un lariosauro.
Serpente alato dipinto dal Fiammenghino
(Chiesa di Sant'Eusebio e Vittore, Peglio)
Giorgio Castiglioni, bibliotecario a Parè e Moltrasio, ha studiato notizie, voci e leggende su animali misteriosi ai quali ha dedicato diversi articoli. Aveva partecipato anche alla conferenza di "Zoologia e dintorni" del 2006.